Pubblica amministrazione e partecipazione, di Daniela Patrucco, Vicepresidente ReteEnergie, il granello di sabbia n.29, maggio-giugno 2017

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Da Daniela Patrucco ricevo questo importante contributo, che getta luce su un aspetto solitamente trascurato. La partecipazione la fanno (o non la fanno) i cittadini, non il Comune, inteso come Ente, persona giuridica. Il Comune è la rappresentanza a livello locale. Tuttavia…i cittadini-partecipazione si rapportano, nei fatti, con un organismo fatto di persone, non con un concetto. Se l’organizzazione comunale è gerarchica, la comunicazione scorre dall’alto verso il basso, ma non viceversa, questo organismo fatto di persone demotivate e frustrate saranno partner idonei ad avviare e realizzare percorsi partecipativi con i cittadini? La democrazia ha una sua forza espansiva, la democratizzazione della vita pubblica iniziata in un punto da un lato richiede, dall’altro provoca, una trasformazione personale e collettiva.

Ieri (19 maggio) il Consiglio dei Ministri ha approvato la riforma del pubblico impiego che reca il nome della ministra proponente, Marianna Madia. Le considerazioni che seguono cadono dunque particolarmente a proposito. 
Pino Cosentino

di Daniela Patrucco (vicepresidente Reteenergie)

Anziché introdurre riforme in modo continuo, è necessario creare le condizioni affinché le organizzazioni pubbliche siano in grado di adattarsi al cambiamento”. Pur datata, questa breve enunciazione dell’OCSE (Government of the future, 2000) mantiene sempre una sua validità. Sebbene sia oggettivamente difficile cogliere nelle recenti continue riforme (o tentativi di) un progetto di ampliamento delle forme della partecipazione democratica, condivido una breve e schematica riflessione su alcune questioni che, ancorché trascurate, rischiano di essere centrali nel dibattito su partecipazione, democrazia e cittadinanza. La domanda cui cerco di rispondere è la seguente: quali requisiti dovrebbe avere l’Amministrazione Comunale, intesa come rappresentanza politica e come personale stipendiato, per essere capace di accogliere e stimolare la partecipazione dei cittadini ai processi decisionali?

Dalla “macchina comunale” all’organizzazione di tipo aziendale

La “macchina comunale”. È così che siamo soliti riferirci all’organizzazione della Pubblica Amministrazione locale, rigidamente suddivisa in settori all’interno dei quali – oltre al livello politico – operano dirigenti, capi-settore, funzionari, semplici impiegati e operai (se pur in costante calo), in una perfetta organizzazione di tipo gerarchico. Attrezzati con questo tipo di organizzazione “statica”, noi pretendiamo di governare una società “liquida”, con l’obiettivo (dichiarato) di agevolare la partecipazione di centinaia di migliaia di cittadini ai processi decisionali.

Dagli anni ’90 del secolo scorso, rincorrendo i nuovi modelli organizzativi via via adottati dalle aziende, la pubblica amministrazione ha a sua volta (sulla carta) tentato di affrancarsi dal vecchio modello organizzativo di tipo burocratico (una macchina in cui ciascun componente svolge un ruolo ben preciso e limitato) mettendo in atto politiche orientate alla soddisfazione del “cittadino/cliente”. Il modello post-burocratico mantiene un’impostazione di tipo gerarchico ma ci dà ragionevole certezza di ottenere risposte in tempi certi alle nostre domande (purché ritenute pertinenti sia nella forma che nella sostanza) e ci fornisce una maggiore quantità di informazioni rispetto al passato. Mentre si perseguiva la logica aziendale – dove non c’è concorrenza – le aziende si sono dotate di modelli organizzativi orizzontali (il cd modello giapponese tra gli altri) che vedono allo stesso tavolo di lavoro dirigenti e operai e che allargano le loro relazioni a reti esterne. L’organizzazione-rete è un modello dotato di autonomia e di confini variabili: al suo interno i soggetti scambiano risorse e cooperano tra di loro intorno a obiettivi comuni. In una parola, comunicano costantemente.

Le amministrazioni locali hanno affrontato questo percorso di cambiamento organizzativo con varie modalità e si trovano oggi a diversi stadi di attuazione. Tutto a posto? Alcune peculiarità proprie delle pubbliche amministrazioni, che le differenziano dalle imprese, imporrebbero l’adozione di alcuni correttivi rispetto ai modelli aziendali.

Scusi dove trovo l’organizzazione?

La parola organizzazione è un sostantivo ed è anche un mito. Se cercate un’organizzazione non la troverete. Quello che troverete è che ci sono degli eventi, legati insieme, che accadono entro certi confini, e queste sequenza, il loro cammino e la loro sincronia sono le forme cui noi attribuiamo una sostanza quando parliamo di organizzazione.” (K. Weick, 1993).

Se entriamo in qualsiasi ambiente e osserviamo per qualche tempo ciò che avviene al suo interno possiamo vedere l’organizzazione, meglio e ben oltre quanto ci consentirebbe un organigramma. Se cerchiamo punti fermi, quanto più prolunghiamo l’osservazione delle interazioni tanto più possiamo scorgere eventuali dinamiche ricorrenti. In una società “liquida”, in costante cambiamento, è ragionevole pensare in questi termini a un’organizzazione.

L’amministrazione condivisa: le regole del gioco della partecipazione

Se concordiamo che la Società (intesa come l’insieme degli individui appartenenti a un gruppo) e la Pubblica Amministrazione sono in massima parte organismi sovrapponibili – posto che i cittadini sono al contempo soci azionisti, lavoratori e clienti, produttori e consumatori (prosumer) di servizi e molto altro – allora i cittadini devono necessariamente essere parte degli eventi che sostanziano l’organizzazione. I cittadini devono partecipare alla definizione della situazione, all’elaborazione delle domande e non già “solo” alla scelta delle risposte. Perché le modalità con cui si elaborano le strategie possono essere altrettanto interessanti degli obiettivi che si vogliono raggiungere.

I dipendenti comunali sono essi stessi cittadini che giocano o dovrebbero giocare un ruolo rilevante nei processi comunicativi e partecipativi anche se il più delle volte li consideriamo alla stregua di “ingranaggi” di una “macchina”, altro da noi.

Un’indagine del 2004 sul benessere organizzativo nella pubblica amministrazione aveva fatto emergere una serie di difficoltà che incontrano i dipendenti pubblici nell’ambiente lavorativo; ci si era chiesti se un buon livello di benessere e di serenità del personale non fossero funzionali a un migliore approccio nel rapporto con i cittadini. Secondo quanto emerso dalla rilevazione erano considerate criticità le difficoltà dei singoli individui a vedere valorizzate le proprie specificità e la sensazione dei lavoratori di non essere ascoltati, la loro richiesta di coinvolgimento e la loro necessità di partecipare ai processi decisionali interni all’amministrazione. La differenza con i dipendenti del settore privato? Al netto della gratificazione di non essere considerati alla stregua di un ingranaggio, il punto è che al dipendente pubblico non si può chiedere di prescindere dal suo doppio ruolo di prosumer. È un caso che il dipendente pubblico – come molto spesso il cittadino – lamenti mancanza di ascolto e di coinvolgimento? Ascolto e coinvolgimento sono i fondamenti della comunicazione.

I modelli organizzativi post-burocratici ci hanno dato più informazione ma a noi serve comunicazione. Troppo spesso si confonde l’informazione con la comunicazione. Mentre l’informazione è un processo unidirezionale, che va dalla fonte (chi emette il messaggio) al destinatario (chi lo riceve), la comunicazione è un processo bidirezionale, che coinvolge la fonte e il ricevente in un’interazione che non può prescindere – mai – dal contenuto del messaggio che passa da un soggetto all’altro. Una buona comunicazione implica l’ascolto: migliore è l’ascolto, migliore sarà la risposta. In un circuito virtuoso di continua elaborazione delle posizioni di partenza l’”ascolto attivo” potenzia il messaggio della fonte. Pertanto la partecipazione dei cittadini – dipendenti e non – alla governance locale non è la meta ma il punto di partenza.

La governance stessa deve essere interpretata e gestita come un progetto partecipato in cui si dà la parola ai cittadini garantendo un ascolto attivo, che faccia percepire al cittadino che ciò che sta dicendo è ascoltato e tenuto in considerazione e può determinare un cambiamento.

Troppo spesso anche le amministrazioni locali più avanzate in termini di strumenti e normative per favorire la partecipazione mettono paletti ben precisi per “guidare” i cittadini all’interno di un quadro preventivamente costruito: come le imprese che innovano, le amministrazioni tendono ad anticipare le domande (e le risposte), in questo modo accelerando il processo attraverso l’imposizione di una road-map già definita, il cui traguardo difficilmente sarà molto diverso da quello auspicato dall’amministrazione.

Al contrario, il momento della partecipazione deve essere inteso come un momento esplorativo, generativo, dove nulla è dato per scontato, dove non ci sono paletti, dove è possibile sbagliare, dove l’esperto può essere chiunque. L’esplorazione è una possibilità di cambiamento se non ci si lascia fagocitare dall’urgenza classificatoria, se si riesce a sopravvivere alla temporanea mancanza di senso, se si considera l’errore come possibilità di apprendimento collettivo.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 30 di Settembre-Ottobre 2017: “Democrazia Partecipativa”