Progressività fiscale versus disuguaglianze

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di Antonio De Lellis (Attac Italia, CADTM Italia)

Questo particolare momento storico, caratterizzato da forti disuguaglianze e dove la progressività fiscale è spesso non pienamente compresa o confusa con altri concetti, richiede una valutazione adeguata per spiegare al meglio la portata di una delle norme più importanti della nostra Carta costituzionale. L’ articolo 53 della Costituzione stabilisce che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Il principio di progressività delle imposte è un concetto fiscale che stabilisce che le aliquote fiscali aumentano all’aumentare del reddito del contribuente. In altre parole, le persone con redditi più alti pagheranno una percentuale maggiore di tasse rispetto a quelle con redditi più bassi. Secondo il dossier presentato da Cadtm Italia nel 2017, se si considera il mancato gettito dovuto alla ridotta progressività delle riforme fiscali e al mancato cumulo, per via di una miriade di imposte sostitutive, “otteniamo una perdita per lo Stato, nel [solo] 2016, di 8,3 miliardi di euro, pari al 4,5% del gettito Irpef”. Applicando lo stesso calcolo agli ultimi 34 anni (dal 1974), il mancato gettito complessivo ammonta a 146 miliardi. Tale ammanco di entrate è stato colmato dall’emissione di titoli di Stato che, in virtù degli interessi composti, hanno prodotto un maggior debito pari a 295 miliardi, il 13% di tutto il debito accumulato. Dal 2017 al 2023 la tendenza non si è invertita. Un favore alle classi più ricche che è stato ed è assai costoso per tutta la collettività!

Ma la progressività serve anche a ridurre le disuguaglianze e ad attivare il principio di solidarietà fra chi ha molto e chi ha poco (Art. 2 e 3 della Costituzione). Volendo dare all’Irpef un’impronta fortemente progressiva, quando venne istituita, nel 1971-1973, il legislatore previde 32 scaglioni.

Dal 1° gennaio di quest’anno ha preso corpo la prima fase della riforma fiscale Irpef del governo Meloni, con l’accorpamento dei primi due scaglioni in un’aliquota unica al 23% per i redditi fino a 28mila euro. In totale 3 scaglioni. Uno schiaffo alla nostra costituzione! Questa riforma si inserisce quindi a pieno titolo nel progetto di una apparente semplificazione che aumenta le disuguaglianze sociali.

Altra novità riguarda anche il Decreto sulla fiscalità internazionale, che ha introdotto la Global Minimum Tax in Italia dal 1° gennaio 2024. Questa imposta minima al 15% rientra tra le proposte della riforma fiscale globale promossa dai Paesi dell’OCSE, G20 e dell’Unione Europea. Saranno tenuti a pagarla i gruppi multinazionali o nazionali operanti in questi territori e che abbiano generato ricavi consolidati di almeno 750 milioni di euro in almeno due dei quattro esercizi precedenti.

Come potranno le prossime elezioni europee influire sulle riforme fiscali e sul tema del contrasto alle disuguaglianze sociali?

È bene tener presente che la tassazione è una prerogativa degli Stati membri, mentre l’UE dispone solo di competenze limitate in materia. Poiché la politica fiscale dell’UE è finalizzata al corretto funzionamento del mercato unico, l’armonizzazione delle imposte indirette (sui consumi ad esempio, come l’IVA) ha preceduto quella delle imposte dirette (su reddito e patrimonio). A ciò ha fatto seguito una lotta contro le pratiche dannose dell’evasione e dell’elusione fiscale.

Ma la legislazione fiscale dell’UE deve essere adottata all’unanimità dagli Stati membri. Il Parlamento europeo ha il diritto di essere consultato sulle questioni relative alla fiscalità. Per quanto attiene all’adozione di atti, le disposizioni fiscali dell’UE si caratterizzano principalmente per il fatto che il Consiglio decide all’unanimità su una proposta della Commissione dopo aver consultato il Parlamento. La commissione è fermamente convinta del fatto che il mantenimento dell’unanimità quale requisito per tutte le decisioni in materia fiscale ostacoli il raggiungimento del livello di coordinamento fiscale necessario all’Europa. Per questo motivo ha presentato proposte per un passaggio alla votazione a maggioranza qualificata in alcuni ambiti fiscali. Gli Stati membri hanno tuttavia respinto tali proposte.

Il potere di introdurre, eliminare o modificare le imposte resta di competenza degli Stati membri. Ciascuno Stato membro è libero di scegliere il regime fiscale che ritiene più appropriato, purché rispetti le norme dell’UE. In tale quadro, le priorità fondamentali della politica fiscale dell’UE sono l’eliminazione degli ostacoli fiscali all’attività economica transfrontaliera, la lotta contro la concorrenza fiscale dannosa, l’evasione fiscale e la promozione di una maggiore cooperazione tra le amministrazioni fiscali nel garantire i controlli e la lotta alle frodi.

Pagare le imposte secondo le normative, scarsamente progressive, degli stati membri, non si configura come evasione o elusione, anche se il loro contrasto potrebbe ridurne gli effetti delle disuguaglianze.

Pertanto le prossime elezioni europee saranno un banco di prova molto importante perché dovremo scegliere se invertire la tendenza o proseguire nelle politiche regressive che cancellano il principio fondamentale della progressività senza il quale l’uguaglianza sarà solo e sempre di più un principio inattuabile.

L’unica vera difesa comune è quella della lotta alle disuguaglianze.

L’unica società sicura è quella che si-cura.

Image credit: Ed Stein – www.edsteinink.com

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 52 di Febbraio-Marzo 2024: “Europa: a che punto è la notte?

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