Era un tempo luogo comune, presso il popolo, credere che il sovrano fosse pieno di sollecitudine e benevolenza verso i sudditi, ma che fosse attorniato da ministri e consiglieri malvagi, che erano i veri responsabili delle miserie e delle sofferenze della povera gente. “Ah, se il Re lo sapesse!” gemevano i poveretti sottoposti a mille angherie.
Oggi si è diffusa ed è diventata senso comune la credenza che il mercato (il sovrano reale, in due sensi) sia il giusto ed efficiente regolatore dell’economia, ma purtroppo un’élite incompetente, corrotta ed avida inceppa e devia, a proprio esclusivo beneficio, il suo imparziale meccanismo.
Come gli antichi sovrani erano considerati il fulcro del funzionamento dell’universo (in Cina l’imperatore “figlio del cielo”, in Egitto il Faraone incarnazione in terra del sole), le “leggi” del mercato sono diffusamente considerate leggi “naturali” dell’economia.
In Cina periodi prolungati di siccità o di disordini politici che causavano crisi alimentari e durature sofferenze per la popolazione, provocavano estese rivolte contadine, che potevano concludersi anche con cambi di dinastia. Che naturalmente ben poco potevano fare contro la siccità, ma intanto il tempo era passato permettendo il ristabilimento di più favorevoli condizioni atmosferiche, e confermando così, apparentemente, le buone ragioni della rivolta.
Qualcosa di simile sta avvenendo oggi nel mondo occidentale, flagellato da una crisi che colpisce il popolo, mentre non ha tregua l’arricchimento dell’élite, legata al grande capitale e ai vertici dello Stato.
Come un tempo, il capovolgimento delle aspettative (non più “oggi è meglio di ieri, e domani sarà meglio di oggi”, ma il contrario) ha eroso in profondità, in tutto l’Occidente, il consenso popolare all’élite politica e sociale finché non è esplosa in clamorosi rovesciamenti politici. In Italia come è noto si è verificata una vistosa virata nelle scelte di voto (in Italia PD e PDL hanno perso complessivamente 15 milioni di voti dal 20008 al 2018). Non dobbiamo fare l’errore di sovrapporre l’operato del governo giallo-verde all’elettorato che lo ha reso possibile votando i due partiti che l’hanno formato. Il precipitoso riallineamento alle compatibilità economiche e geopolitiche del “governo del cambiamento” che i suoi primi passi lasciano intravedere, non va attribuito al popolo che li ha votati, sminuendo il significato e l’importanza del terremoto elettorale di quest’anno. Il tempo e i fatti chiariranno meglio la reale politica di questo governo, ma non dobbiamo cadere noi stessi nella trappola di nutrire aspettative su un cambiamento che si verifica nella sola sfera politica e a livello di rappresentanza.
M5S e Lega sono definiti “populisti” dai commentatori e dai politologi, poiché contrappongono il popolo, concepito come realtà unitaria e “buona”, all’élite, (ma non al sovrano reale, il mercato) vista in blocco come “cattiva”.
Di qui un’esplosione di giaculatorie sulla crisi dello Stato di diritto e sul “tradimento” da parte del popolo nei confronti della democrazia. Sono emblematici a tal proposito due libri usciti recentemente, due studi sulla situazione politica italiana: Popolo vs Democrazia di Yascha Mounk, ed. Feltrinelli, e Popolocrazia di Ilvio Diamanti e Marc Lazar, ed. Laterza. Ambedue quasi con le stesse parole, fin dal titolo evidenziano la paradossale frattura apertasi tra democrazia e popolo, con l’irresistibile ascesa di forze politiche che gli autori, in accordo con tutta la pubblicistica corrente, definiscono populiste. Diamanti e Lazar ottengono un effetto sorprendente sostituendo la parola greca démos con l’italiana popolo. Un effetto simile l’aveva ottenuto nel II secolo a.C. Polibio, sostituendo démos con oklos, termine greco che significa folla, moltitudine. Così aveva definito oclocrazia (governo della folla) la forma degenerata della democrazia. Il titolo scelto da Diamanti-Lazar attesta l’odierna degenerazione dei sistemi politici democratici, ma anche la connotazione negativa acquisita, nel discorso pubblico, dal termine “popolo”, da quando ha cominciato a ribellarsi al politicamente corretto, alla democrazia-procedura che lascia tutto il potere effettivo alle élite.
Lascia sconcertati il fatto che anche sostenitori della democrazia partecipativa si adeguino passivamente a tali interpretazioni, manifestando una sorta di delusione nei confronti del popolo.
Il quale ha già sperimentato la protesta di piazza, nel G8 del 2001 e con le grandiose manifestazioni contro la guerra in Iraq, contro l’abolizione dell’articolo 18 ecc., e ha misurato quanto esse abbiano inciso sul piano dei risultati. Nel 2011 il referendum sull’acqua ha causato un’altra delusione.
Né il proliferare di nuclei rivendicativi locali ha per ora prodotto una svolta delle politiche nazionali e un cambiamento delle tendenze all’impoverimento del popolo e al generale peggioramento delle condizioni di vita, legato non solo al reddito, ma anche al peggioramento dei servizi pubblici più importanti, come istruzione, sanità e trasporto pubblico.
La democrazia partecipativa ha un concetto di popolo ben più articolato e complesso di quello dei “populisti”. Per noi il popolo non è un dato, ma una costruzione. Non è un blocco omogeneo, ma un insieme di individui unici, collegati in una rete di relazioni aperta, articolata, plurale. La politica come “movimenti” e come “istituzioni” ha un ruolo importante in tutto ciò, ma altrettanta importanza hanno i cambiamenti culturali nati nel seno stesso del popolo, che permettono (permetteranno) alle persone di contribuire a una o più soggettività collettive, pur restando individui singoli autonomi.
E’ un percorso lungo e siamo appena all’inizio. Non c’è motivo di disperare, le risorse dell’essere umano, per fortuna, sono immense. Consideriamo la strada percorsa dall’emergere della specie umana fino a oggi. Riportiamoci a 4 milioni di anni fa, quando gruppi di primati dovettero abbandonare la protezione offerta dagli alberi e affrontare praticamente inermi i pericoli della savana. Qualcuno incominciò a battere un ciottolo contro l’altro, ottenendo un bordo tagliente…
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 35 di Luglio – Agosto 2018: “Fuori dalla crisi, riprendiamoci la Cassa! – Cassa Depositi e Prestiti, una ricchezza collettiva“