Perù e TLC, gli indigeni difendono l’Amazzonia

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di Gennaro Carotenuto

 

Gennaro Carotenuto
(26 maggio 2009)
L’Amazzonia peruviana continua a correre un pericolo mortale ma i nativi la difendono con i denti dal governo di Lima che l’ha venduta nel Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti alle multinazionali minerarie e del legname. Da quasi due mesi 1.300 comunità native della selva amazzonica peruviana sono infatti tornate in stato di mobilitazione permanente contro nove decreti legge varati dal governo di Lima.

Secondo le organizzazioni indigene questi non solo mettono a rischio i loro diritti ancestrali sull’Amazzonia ma consegnano l’intera regione allo sfruttamento selvaggio da parte delle multinazionali mettendone così a rischio l’intero ecosistema. Il governo ha usato tutti i mezzi, compresa la repressione ma gli indigeni, sempre più coscienti di sé, dei loro diritti e anche della loro forza, non si sono piegati e ora Alan García, che già dieci mesi fa dovette fare alcune concessioni, si è dovuto piegare e trattare ancora.

Oggi stesso, martedì 26, inizieranno a Lima, dopo oltre 40 giorni di conflitto e a 16 giorni dall’applicazione dello Stato d’emergenza nei dipartimenti di Cusco, Ucayali, Loreto y Amazonas, che non è riuscito a piegare la mobilitazione, i colloqui tra governo e rappresentanti indigeni. Secondo il capo negoziatore del governo, Yehude Simon, il governo è (finalmente) disposto a correggere alcune parti dei decreti, ma non ha la possibilità di annullarli del tutto. Anche per il delegato della “Asociación Interétnica de Desarrollo de la Selva Peruana” (Aidesep), Alberto Pisango, oggi comincia una nuova tappa di dialogo anche se è troppo presto per sospendere la protesta.

Il cuore dell’indignazione indigena sta nel rifiuto del Decreto Legislativo 1090, peraltro già dichiarato incostituzionale, proprio perché si profilerebbe in quanto trattato internazionale al di sopra della stessa Costituzione peruviana. Il 1090 concerne la nuova legge forestale approvato perché parte del pacchetto di misure che il governo peruviano è stato costretto a mettere in atto in osservanza al Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti. I decreti sono infatti funzionali ad aprire le porte allo sfruttamento dell’Amazzonia da parte delle multinazionali. Secondo il “Fuero Ecologico”, il decreto 1090, in ossequio al TLC con gli Stati Uniti, trasforma il 60% del territorio forestale peruviano in terreno agricolo aprendo così le porte allo sfruttamento dell’intera regione e rendendo di fatto inapplicabili i diritti ancestrali dei popoli nativi garantiti dal Trattato Internazionale sui Popoli Indigeni dei quali il Perù è firmatario.

Per Mario Bartolini, uno dei rappresentanti delle comunità indigene: “Il governo ha deciso di consegnare l’Amazzonia e tutte le sue risorse alle multinazionali straniere sostenendo che queste siano capaci di creare più lavoro e più ricchezza e quindi aiutare a superare la povertà. Sono tutte favole, la realtà è un’altra. Lo sviluppo dell’Amazzonia, deve capire il governo, non dipende dalle imprese multinazionali ma dai popoli dell’Amazzonia. Questi sono gli unici che nel corso dei secoli hanno imparato a convivere con un ecosistema molto fragile e sensibile”.

fonte www.gennarocarotenuto.it

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