Non lasciamo che l’incendio divampi

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di Antonio Robustelli (ATTAC Sarno)

“La spedizione punitiva parte quasi sempre da un centro urbano e s’irraggia nelle campagne circostanti. Montate su camion, armate dall’Associazione agraria o dai magazzini dei reggimenti, le camicie nere si dirigono verso il luogo che è l’obiettivo della loro spedizione. Arrivate, cominciano col bastonare tutti coloro che incontrano per le strade, e che non si scoprono al passaggio dei gagliardetti o che portano una cravatta, un fazzoletto, una sciarpa rossi. Se qualcuno si rivolta, se si scorge un minimo gesto di difesa, se un fascista è ferito o un poco malmenato, la punizione si estende. Ci si precipita alla sede della Camera del lavoro, del sindacato, della cooperativa, alla Casa del popolo, si sfondano le porte, si buttano nella strada i mobili, i libri, le merci, si versano dei bidoni di benzina: qualche minuto dopo, tutto è in preda alle fiamme.”

Con queste secche e semplici parole A.Tasca nel 1965 descriveva le prime spedizioni punitive delle camicie nere nell’ Italia dal 1918 al 1922: erano le prime avvisaglie della fine di quello che era lo stato liberale in Italia e la configurazione e l’instaurarsi del regime fascista.La genesi di quell’infausto periodo fece leva sulla demolizione e sulla eliminazione fisica delle opposizioni, a cominciare dai sindacati, dai militanti comunisti e dalle sedi della stampa libera e di sinistra; un divampare bruciante di soppressione del dissenso che sembra trovare una certa contiguità pericolosa ed allarmante nella particolare congiuntura storica che stiamo vivendo.

Per carità, non siamo ancora arrivati alle spedizioni punitive come quelle descritteci da Tasca ma l’insostenibile clima da “ultimo avviso alle sinistre”, per dirla con le parole di Furio Colombo, sta rappresentando un inquietante e penoso tentativo di eliminazione e soppressione delle opposizioni.Poi si potrà dire che queste sono parole affrettate, esagerazioni, iperboli strutturali, ma la realtà induce a pensare e a porre pensieri e considerazioni in prospettiva: e in questo caso le prospettive non sono delle più rosee.

Il governo che oggi cerca di smantellare welfare e previdenza, che vuole creare falsi sillogismi per equiparare brigatisti e CGIL, che vuole criminalizzare il movimento e mandare i carabinieri dentro le fabbriche in sciopero, rappresenta un blocco sociale formato da un guazzabuglio in cui è mescolata, trita e ritrita la destra più reazionaria ed autoritaria dall’ animo liberista e populista, l’ asse centrista moderato e neo-democristiano a rappresentare un improbabile ritorno in auge di un ceto politico che sembrava avessimo sepolto definitivamente, e dulcis in fundo banchieri ed industriali che premono affinchè venga definitivamente affossato il sistema di diritti e protezioni dei lavoratori, faticosamente e dignitosamente conquistati dopo anni di lotte e conflitti sociali.L’assemblea che il 23 marzo 1919 diede vita ai Fasci di combattimento si tenne a Milano in una sala del Circolo degli Industriali e dei Commercianti, ove tra gli accorsi già si intravvedeva la composizione sociale di quella forza, “quel miscuglio contraddittorio di demagogia, di nazionalismo esasperato, di populismo e di reazione che costituì l’ispirazione del fascismo sin dai primissimi anni” (Tasca), e si qualificava il quadro d’azione di quello che in realtà il fascismo era, cioè il difensore degli interessi dei ceti abbienti e del grande capitale.

Oggi il governo italiano sempre più in difficoltà – una difficoltà da inserire in un più ampio quadro di fallimento delle politiche neoliberiste a livello internazionale – sta cercando di mettere a segno il definitivo colpo di mano destinato ad affossare ulteriormente la già decrepita democrazia di casa nostra: l’attacco al sindacato come tentativo alla base della realizzazione di quell’idea di rappresentanza dei lavoratori piegata esclusivamente al volere padronale. In questi giorni abbiamo sentito ministri invitare i militari a controllare le fabbriche in sciopero e parlamentari gridare alla collusione tra Br e CGIL: per l’operazione di smantellamento dello stato sociale il sindacato rappresenta dunque il primo obiettivo scomodo da liquidare e gli interessi dei poteri forti si trovano in una posizione di appoggio incondizionato alle scelte del governo (riforma delle pensioni) e di conseguenza al tentativo di delegittimazione del movimento sindacale; non ultimo Tommaso Padoa Schioppa, membro della Banca Centrale Europea, ha parlato di “riforma necessaria”, di “sindacato forza conservatrice che su previdenza e mercato del lavoro dice sempre di no” e di “governo che vuole indebolire il sindacato compie un’azione legittima”.

E’ chiaro che esiste un disegno politico che mira a sfiaccare ed indebolire le opposizioni in quanto forze di massa che contestano il volere governativo; la visione autoritaria del potere di Berlusconi non tollera la contestazione e il rifiuto e trova un modello nella figura del “dittatore buono” da lui stesso descritto con dovizia di particolari nel commento sull’operato di Benito Mussolini.Alla luce di questi episodi trovo quantomai inopportuno il trincerarsi dietro eccessive cautele e dietro atteggiamenti di semplice attesa paventati in questi giorni: la radicalità d’intenti si esplica anche nella radicalità di giudizio e davanti ad un clima in cui le sinistre si trovano sotto un attacco multilaterale non conviene restare inermi ad attendere la soppressione.

Non lasciamo che l’incendio divampi…

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