Nessuno escluso: la salute psicofisica dei migranti

Condividi:

Loading

 di Nicoletta Dentico

E’ stato calcolato che i migranti, se fossero accorpati in un unico popolo trasversale, costituirebbero per numero di abitanti la ventiquattresima nazione del mondo. (59,5 milioni di persone). L’ultimo rapporto annuale dell’UNHCR Global Trends riporta una forte escalation del numero di persone costrette a fuggire dalle loro case, con 59,5 milioni di migranti forzati alla fine del 2014 rispetto ai 51,2 milioni del 2013 e ai 37,5 milioni di dieci anni fa. L’accelerazione è iniziata nei primi mesi del 2011, con lo scoppio della guerra in Siria, la principale causa di migrazione forzata oggi nel mondo. Il rapporto afferma inoltre che nel 2014, ogni giorno, circa 42.500 persone sono diventate rifugiate, richiedenti asilo o sfollati interni, dato che corrisponde a un aumento di quattro volte (+400%) in soli quattro anni. In tutto il mondo, una persona ogni 122 è attualmente rifugiata, sfollata interna o richiedente asilo. Il dato più allarmante è che più della metà dei rifugiati a livello mondiale sono bambini.

E’ chiaro a tutti gli analisti che siamo di fronte a un cambio di paradigma. Il movimento di persone alla ricerca di una vita più degna, ovvero di una mera speranza di sopravvivenza, è un fenomeno globale che ha raggiunto ormai dimensioni sistemiche, e in quanto tale è destinato a condizionare gli scenari del futuro più di quanto non sia stato messo in conto da una politica neghittosa e ben poco lungimirante. Un esodo inarrestabile, insomma, che solo marginalmente lambisce i paesi affluenti dell’emisfero nord, e si dispiega con ben altra portata di numeri e di implicazioni soprattutto nel sud globale, dove si ferma la gran parte della marcia umana. Così che possiamo affermare che le migrazioni, fenomeno antico che sempre ha segnato le vicende dell’umanità, sono divenute oggi una delle espressioni più trascurate e spinose della globalizzazione. Pietra d’inciampo per il nostro continente europeo, che ha costruito il suo passato sul diritto di movimento, ma oggi è in preda ad una abissale amnesia che nulla di buono promette per il futuro. E infatti l’Europa, aggrovigliata nei nuovi divieti di spietati fili spinati e di recenti muri di confine, rischia di colare a picco insieme ai barconi del Mediterraneo.

Le barricate: per proteggere noi da loro. Noi, i legittimi titolari di una ricchezza ancora inconfrontabile con l’impoverimento dei paesi del sud, malgrado la crisi che attanaglia l’Europa. Loro, gli usurpatori di lavoro e di aspirazioni, forti di una tecnologia di vita che gli europei hanno perduto. Un dettaglio che, non c’è verso, non riesce a far notizia, e che noi europei siamo 734 milioni di persone mentre le persone migranti che entrano in Europa sono infinitamente di meno. Un milione di rifugiati hanno raggiunto il nostro continente nel 2015, rispetto ai 216.000 del 2014. Insomma un numero comunque esiguo. Per cui non trova giustificazione alcuna l’allarme veicolato dai ringhiosi politici nazionali che capitalizzano elettoralmente il panico, esuberanti nella loro ignoranza xenofoba, come è avvenuto in Austria solo poche settimane fa.

La vera emergenza non è quella dei profughi ma quella dell’accoglienza. In altre parole, la incapacità decennale delle politiche nazionali ed europee di gestire il flusso dei migranti e delle frontiere, e di dare asilo a chi lo merita, in base alle convenzioni e al diritto internazionale.

Da cosa fuggono, i migranti, lo sappiamo. Non possiamo far finta di non saperlo. Da molti decenni il nostro benessere poggia sullo sfruttamento dei paesi da cui queste persone provengono. La nostra pace, sulla ferocia di guerre regionali a intensità variabile che – senza soluzione di continuità – si sono consumante dai tempi della guerra fredda dentro i confini delle nazioni da cui queste masse cercano scampo. La Siria è solo l’ultimo capitolo di una storia infinita, guerre senza strategie di uscita che abbiamo contribuito a scatenare, non solo in Medioriente. Oggi, alimentano il terrorismo diffuso come noi lo conosciamo, fenomeno recente di complessità inaudita, ma dalle radici antiche. Ogni distinzione fra migranti economici e richiedenti asilo, avallata purtroppo dalle stesse agenzie dell’ONU, ignora questa spinosa complessità e la concatenazione di fattori che generano le patologie strutturali della globalizzazione economica e finanziaria – devastazioni ambientali, disoccupazione e degrado sociale, violenza istituzionale, criminalità, schiavitù, conflitti appunto. Un assedio che produce umanità a perdere e che solo Papa Francesco è riuscito a raccontare con la forza di una narrazione veritiera, dunque per nulla accomodante.

Questa economia che uccide, per usare le parole del Papa, proprio come la guerra chiama in causa i corpi. Li cerca, li usa, li abusa, sui corpi infierisce. Lo sanno bene coloro che migrano, quale che sia la ragione della loro fuga – richiedenti asilo, migranti economici, ambientali, o in fuga dalla violenza nelle sue molteplici forme. La corporeità delle persone migranti non viene evidenziata a sufficienza. Eppure è un fattore che grava sulla vita di queste persone, oltre ogni considerazione sulla loro presenza fisica dentro le nostre società, con pesi diversi se si è uomini o donne. E grava sulle donne indicibilmente, anche nel loro percorso migratorio. La violenza sessuale e di genere è un’espressione specifica, e normalmente attesa, della violenza complessiva che determina la decisione di migrare alla ricerca di una vita migliore. La violenza sessuale e di genere è un’ espressione presente, spesso una condizione stessa del viaggio, come raccontano le protagoniste e vittime che declinano la loro disperata resistenza. Il problema è la assoluta marginalità o quasi invisibilizzazione di queste donne, incontrate in fretta, spesso senza il riguardo di strategie adeguate, dalle stesse società e dai sistemi sanitari di approdo.

Al di là evidentemente di quanto è dovuto per gli specifici aspetti clinico-assistenziali, sappiamo che, per descrivere con serietà i determinanti della fuga e comprendere qualcosa sul medio e lungo termine delle conseguenze sanitarie – fisiche e psicologiche – di eventi drammatici sulle persone migranti, sarebbe necessario un approccio di ascolto lento, multidisciplinare, rigorosamente non medicalizzato. La salute dei migranti invece resta una questione largamente irrisolta, una vicenda complicata e del tutto disattesa, se non sul piano dell’intervento meramente emergenziale e umanitario (quando va bene!). I sistemi sanitari, così almeno succede nel nostro paese, sono ancora sommersi in un mare di incompetenza nella gestione delle patologie che le persone migranti portano con sé. Questo dato emerge con sistematicità nei dibattiti su salute e migrazioni, e assume proporzioni gigantesche nel caso delle popolazioni migranti femminili. Eppure i risultati delle ricerche più recenti forniscono un profilo di quanto oggi si può considerare come acquisito in termini di probabilità di subire conseguenze psico-fisiche: una violenza sessuale in situazioni di conflitto implica un aumento di dieci volte della probabilità di avere conseguenze strettamente mediche acute e di tre volte sul lungo periodo, rispetto alle donne che subiscono violenza in condizioni di non conflitto (Dossa Nisson, 2105). La probabilità di disturbi mentali è del 76% nelle donne violentate nei conflitti e del 48% in circostanza di non conflitto. In questa fattispecie si includono le mutilazioni genitali, la violenza domestica, rapporti sessuali e gravidanze precoci e abusi di ogni tipo, ivi inclusa la mancanza di cura, per un mancato riconoscimento della dignità del corpo femminile in molte realtà di origine.

La sfida è enorme, se ci pensiamo. Perché di queste circostanze sono spesso fatte le vite e le solitudini delle persone straniere che popolano le nostre strade, i nostri quartieri. Sarebbe già un passo avanti in termini di civiltà se cominciassimo a vederle come persone, e non come numeri o rei di clandestinità. Cittadini e cittadine di una (r)esistenza che per noi sarebbe inimmaginabile. Persone ferite, vite sbrecciate; ma forse le sole in grado di restituire a noi un po’ di umanità.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 24 di Maggio-Giugno 2016 Il Grande Esodo

Se sei arrivato fin qui, vuol dire che ti interessa ciò che Attac Italia propone. La nostra associazione è totalmente autofinanziata e si basa sulle energie volontarie delle attiviste e degli attivisti. Puoi sostenerci aderendo online e cliccando qui . Un tuo click ci permetterà di continuare la nostra attività. Grazie"