Nessun voto parlamentare sul Fiscal Compact: la campagna continua

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DebitoGlobale

Il 31 dicembre 2017 è passato e, nonostante l’art.16 del Fiscal Compact lo prevedesse, nessun pronunciamento parlamentare è avvenuto per decidere se inserire o meno il suddetto accordo intergovernativo nei trattati europei a pieno titolo, facendolo diventare un caposaldo della dottrina comunitaria.

Il mancato voto rappresenta un ulteriore vulnus alla democrazia, ormai abbondantemente espropriata a tutti i livelli da un sistema di vincoli finanziari che, da Maastricht in poi, predeterminano il campo delle scelte, lasciando alla dialettica politica la battaglia sul “come”, avendo già predefinito il “perché”.

I pronunciamenti nazionali sul Fiscal Compact sono stati by-passati attraverso l’inserimento del capitolo riguardante l’accordo in un più ampio complesso di “riforme” dell’Unione Europea, che, come deciso dal Consiglio Europeo dello scorso dicembre, verrà inserita in una Direttiva da approvare entro la metà del 2019.

In un documento di 40 pagine, la Commissione Europea ha presentato in questi giorni le proprie proposte. Tre sono le novità previste.

La prima, a più lunga scadenza, prevede l’istituzione di un Ministero delle Finanze dell’Ue e, conseguentemente, di un superministro del Tesoro che aumenti le funzioni di controllo della Commissione Europea sul bilanci degli Stati membri, al fine di garantire il rispetto autoritario dei vincoli finanziari europei. In questo caso, i già ridottissimi margini di scelta degli Stati membri verrebbero praticamente azzerati e i governi trasformati in uffici di contabilità decentrati.

La seconda, a breve, prevede l’inserimento del Fiscal Compact nell’ordinamento europeo, anche se- bontà loro- in una versione meno stringente di quella attuale, prevedendovi la “flessibilità” insita nel Patto di stabilità e crescita. Di che flessibilità si stia parlando, lo argomentano meglio i recentissimi dati dell’Istat, che quantificano in 18.133.636 le persone a rischio povertà o esclusione sociale nel nostro Paese (30% della popolazione totale).

La terza novità è la costituzione del Fondo Monetario Europeo, sul quale si misura fino in fondo l’orgoglio continentale. Stufa di essere sottoposta ai diktat delle grandi istituzioni finanziarie internazionali, l’Unione Europea ha deciso di mettersi in proprio, trasformando il vecchio Mes (Meccanismo europeo di stabilità, cosiddetto Fondo Salva-Stati) nel nuovo Fondo Monetario Europeo, il vero guardiano della stabilità. Strutturato come il ben più conosciuto (e famigerato) Fondo Monetario Internazionale, sarà inserito nell’ordinamento europeo e interverrà sui paesi in crisi, aprendo linee di credito per “salvarli”, in cambio di aggiustamenti di bilancio e riforme strutturali. E, analogamente al fratello maggiore Fmi, anche il Fme sarà strutturato su un diritto di voto basato sulle quote e un diritto di veto per i paesi più forti (Germania e Francia).

Un processo di “riforme” che, incurante della drammatica realtà sociale prodotta da 25 anni di politiche di austerità, si pone l’unico compito di approfondirle e di renderle irreversibili.Un processo di “riforme” che, non potendo più basarsi sul consenso, espropria ulteriormente la democrazia, provando a far leva sulla rassegnazione.

Per opporsi a tutto questo, abbiamo deciso di continuare la raccolta firme sulla petizione contro il Fiscal Compact (e su tutte le politiche d’austerità da Maastrcht in poi), con l’obiettivo di provare a imporre il tema nella prossima campagna elettorale, chiamando tutte le forze politiche a pronunciarsi nel merito.

Perché senza rompere la gabbia del Fiscal Compact nessun altro modello è possibile.

Perché se la vita viene prima del debito, i diritti prima dei profitti e il “comune” prima della proprietà, uscire dalla trappola dei vincoli finanziari è l’unica possibilità per provare a sperimentare un diverso futuro per tutte e tutti.

Oggi più che mai, firma la petizione Stop Fiscal Compact!

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