Le comunità territoriali per una società sostenibile e democratica

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11-comuni ricicloni 2011

di Livio Martini
Vicesindaco di Corchiano
Associazione Comuni virtuosi
International Network of Eco Regions

 

Nel dibattito pubblico le considerazioni sul come uscire dalla crisi sono da troppi anni all’ordine del giorno. Alla crisi economica generale e di liquidità che ha colpito in particolare il mondo dell’impresa e della produzione, si deve aggiungere il patto di stabilità interno: una regola applicata dal 1999 a comuni e province per rispettare gli obiettivi di finanza pubblica locale, al fine di consentire allo Stato di garantire i vincoli europei in tema di deficit e indebitamento. Di certo, le politiche monetariste dell’Unione europea non sono la risposta. Al contrario, l’austerity, incrinando il patto sociale tra cittadini e istituzioni rappresentative, sta generando diseguaglianza, stagnazione, precarietà nel mondo del lavoro, erosione dei diritti, allontanamento dei centri della decisione politica.

Tra le conseguenze, inevitabili, la scarsa partecipazione alla vita pubblica. Nonostante le politiche restrittive dei governi nazionali e sovranazionali, un messaggio di speranza e, soprattutto, una proposta politica ed economica che sia in grado di invertire la rotta possono venire proprio dai luoghi della democrazia di prossimità: comuni e aree territoriali omogenee, che della gestione integrata e condivisa delle risorse locali fanno il loro punto di forza e d’innovazione. Un sistema di territori integrati potrebbe, infatti, rappresentare uno strumento efficace per diffondere su larga scala una nuova politica e un modello economico di tipo comunitario. Una spinta in questo senso viene dall’associazione dei Comuni virtuosi: una rete nazionale di enti locali nata nel 2005 per iniziativa delle pubbliche amministrazioni di Monsano, Colorno, Vezzano Ligure e Melpignano. Dalla loro fondazione i Comuni virtuosi percorrono la strada dello sviluppo sostenibile, diffondendo piccole e grandi buone pratiche nel segno del “pensare globale, agire locale”. Difendere l’ambiente, migliorare la qualità della vita, garantire i servizi pubblici e tutelare i beni comuni non solo è possibile, ma anche e soprattutto doveroso. Gli enti locali della rete dei “virtuosi”, accettando la sfida rappresentata dal passaggio dalla mera enunciazione di principio alla buona pratica quotidiana, verificabile e replicabile, mirano a creare comunità responsabili e consapevoli. E lo fanno attraverso una gestione ottimale del territorio, tenendo fede al principio del “consumo di suolo zero”, e dei rifiuti, praticando la raccolta differenziata porta a porta con il fine di chiudere discariche e inceneritori. Si impegnano a incentivare nuovi stili di vita e ridurre l’inquinamento atmosferico, promuovendo politiche di mobilità sostenibile, e l’impronta ecologica della macchina amministrativa con misure e interventi concreti: efficienza energetica, acquisti verdi, mense biologiche. Di notevole importanza sono le azioni destinate alla conservazione del territorio e del paesaggio: giardini urbani e suburbani, parchi e monumenti naturali. Infatti, numerosi sono gli esempi di aree verdi protette che racchiudono biodiversità, antiche testimonianze, memorie e saperi collettivi. Grazie alla passione e al profondo senso di responsabilità di alcuni amministratori, non mancano poi belle storie di comunità in cui cave abusive e discariche, spesso ricolme di sostanze tossiche, sono state strappate alla speculazione e all’illegalità per essere recuperate e consegnate alle future generazioni. I rifiuti sono la prova tangibile di un modello di sviluppo insostenibile e autodistruttivo. Mentre la politica nazionale continua a ritenere che la strada più razionale per la chiusura del ciclo sia quella dell’inceneritore, sono più di 1500 i comuni che praticano la raccolta differenziata secondo il modello del porta a porta e che puntano a creare le condizioni per avviare una seria e concreta economia circolare: riciclo, recupero, riuso, riduzione dei materiali. Le percentuali di raccolta superano quelle richieste dalla normativa, arrivando a toccare punte di eccellenza. Il caso di Ponte nelle Alpi, un comune di 8500 abitanti nel bellunese, è davvero emblematico: differenziata oltre 90%, con produzione annua pro capite di rifiuti pari a 29 kg, quando la media nazionale è di 585 kg. E ancora, quello di Colorno, che nel 2009, seguendo Capannori, il primo comune italiano ad aderire alla strategia internazionale “Rifiuti zero”, ha superato in breve tempo il 70% di differenziata, anche con l’introduzione della tariffa puntuale e di meccanismi premianti. Per non parlare di Corchiano, il paese delle forre e dei monumenti naturali, dove le prime buone pratiche sono state introdotte nel 2006. Oggi i cittadini praticano con orgoglio il porta a porta spinto, il compostaggio domestico e la raccolta dell’olio alimentare esausto; inoltre, usano la sporta per la spesa e prendono latte e acqua dai distributori automatici collocati nella piazza municipale. Dunque, le Case del latte e dell’acqua sono state installate per valorizzare i prodotti bio e a corto raggio, promuovere il “bene comune acqua”, ridurre le bottiglie di plastica e l’impiego dei combustibili fossili, (ri)scoprire il gusto della socializzazione attorno alla “fonte”. La pubblica amministrazione, dal canto suo, riduce l’impronta ecologica producendo energia pulita con il fotovoltaico sulle coperture del municipio e delle scuole. In particolare, la raccolta differenziata, iniziata nel 2009 dopo una campagna di sensibilizzazione durata diciotto mesi, dal primo luglio di quest’anno è basata sulla tariffa puntuale. Il nuovo sistema sta facendo registrare un significativo incremento di differenziata e, di conseguenza, una drastica riduzione della frazione secca da inviare in discarica. La percentuale del primo mese con il nuovo metodo puntuale con lettura ottica e certificazione di svuotamento del contenitore per l’indifferenziato, ha toccato quota 90. Tuttavia, a rappresentare l’alternativa non sono e non possono essere solo i singoli comuni. I sistemi territoriali integrati, gli ambiti di bacino idrografico oppure i biodistretti testimoniano già la possibilità del cambiamento, partendo comunque dalle comunità insediate, dall’uso delle risorse locali e dal modello biologico di produzione e consumo. In particolare, del biodistretto si potrebbe dare la seguente definizione: un’area geografica vocata al biologico, dove amministratori, agricoltori, trasformatori, gruppi di acquisto solidale, operatori turistici e portatori d’interesse collettivo stringono un patto per la gestione sostenibile e partecipata delle risorse e dei servizi territoriali. Per diffonderne il modello e rendere le proposte ancor più pervasive sono nate, in ordine di tempo, la Rete federale Aiab e la Rete internazionale, la Inner – International Network of Eco Regions, che per ora mette insieme le tante realtà italiane con quelle di Francia, Austria, Albania, Portogallo, Slovacchia e Ungheria. Tutte queste esperienze e soggettività in movimento dicono una sola cosa: un altro modo è possibile.

Articolo tratto dal Granello di sabbia di gennaio/febbraio 2015: “Enti locali: cronaca di una morte annunciata”, scaricabile qui

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