Inclusione dei lavori domestici e di cura nel PIL: i conti satellite

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Credits: txmx 2

di Mertxe Larrañaga Sarriegi (Università del Paese Basco, UPV/EHU)

La disciplina economica ha focalizzato abitualmente  il suo oggetto di studio sui mercati, cioè su beni, servizi e fattori, come il lavoro, che si scambiano per denaro. Quello che non passa dal mercato di solito è stato considerato come non-economico. Secondo questa logica, i beni e servizi prodotti in ambito domestico  non sono considerati produzione e non hanno interessato gli economisti.

Una delle principali preoccupazioni dell’economia femminista è stata precisamente di rendere visibili i lavori domestici e di cura non remunerati e storicamente svolti dalle donne. Vale a dire che l’economia femminista rompe con la visione dominante secondo cui queste attività non producono. Questi lavori, oltre ad essere fondamentali per la qualità della vita delle persone, lo sono anche per il funzionamento del sistema e dei suoi agenti. E’ innegabile che, per esempio, le imprese hanno beneficiato di questi lavori, e se queste cure dovessero essere assunte dai mercati, i risultati economici delle imprese sarebbero molto diversi. Inoltre, rendendo invisibile questa produzione domestica, sono stati occultati anche i legami e i flussi fra le produzioni di mercato e quelle non di mercato e si è permesso ai mercati di presentarsi come auto-sufficienti mentre non lo sono.

In questo articolo tratteremo il tema del valore, in termini monetari, di lavori che non passano attraverso il mercato e che, quindi, non hanno un prezzo di mercato. Cercheremo di evitare una terminologia troppo complessa, anche se questo implica semplificare alcune questioni. In più si tratta di un tema molto ampio, di metodologie molto diverse, di dati abbondanti rispetto allo spazio limitato di cui disponiamo. Per questo abbiamo optato per presentare alcuni tratti prendendo a riferimento il caso della Comunità Autonoma di Euskadi, perché è stata una pioniera nell’utilizzo dei Conti Satellite di produzione domestica e perché è l’unica comunità autonoma dello Stato e uno dei pochi territori europei dove sono elaborati sistematicamente e ogni cinque anni a partire dal 1993.

Cosa sono i Conti Satellite ?

L’indicatore convenzionale più importante per misurare l’attività economica è il Prodotto Interno Lordo (PIL), che si basa su una definizione di produzione rigida. Però il PIL (la sua crescita) oltre ad essere l’obiettivo prioritario dei governi, è anche l’indicatore di benessere più utilizzato (il PIL pro-capite), da ciò l’importanza di includere le produzioni che incidono su questo benessere. E’ anche l’indicatore utilizzato come riferimento per molte altre questioni, vale a dire che è il denominatore più usato in economia (per esempio, i limiti di deficit e indebitamento pubblici si stabiliscono in rapporto al PIL; il livello di apertura di un’economia mette in relazione le esportazioni con il PIL, ecc.). Quindi in questo caso la grandezza conta sì e molto.

Il PIL è una costruzione sociale mutante e con il tempo sono andate variando le produzioni che include. L’esempio più chiaro è la modifica introdotta nel 2014 che ha incluso attività illegali come la prostituzione, il traffico di droghe, il contrabbando di tabacco e di bevande alcooliche. L’Istituto Nazionale di Statistica (INE) [NdT in Italia l’Istat] lo giustifica in base al fatto che le norme internazionali stabiliscono esplicitamente che i conti nazionali devono includere tutta l’attività economica, compresa quella illegale, escludendo però quelle operazioni in cui una delle parti non partecipa di buon grado (come i furti o la tratta di persone a scopo di sfruttamento sessuale).

I primi lavori che riguardano la valorizzazione dei lavori domestici risalgono alla prima metà del XX secolo e negli anni ’60 e ’70 si è dibattuto lungamente e seriamente su questo tema. Anzi, senza dubbio sotto la pressione dei movimenti femministi, a partire da determinati forum internazionali si cominciò a sollecitare per incorporare tutta la produzione domestica nella contabilità nazionale. E’ il caso delle Nazioni Unite nel suo Rapporto sui Diritti della Donna (1985), della Conferenza Mondiale sullo Sviluppo Sociale di Copenhagen (1995) e della Quarta Conferenza Mondiale dell’ONU sulle Donne a Pechino (1995).

Più recentemente, il Rapporto della Commissione sulla Misurazione dello Sviluppo Economico e del Progresso Sociale, elaborato da Stiglitz, Sen e Fitoussi nel 2009 e divenuto il riferimento nella misurazione del benessere, riconosce che “numerosi servizi che le famiglie producono per se stesse non sono conteggiati negli indicatori ufficiali di reddito e di produzione, mentre invece costituiscono un aspetto importante dell’attività economica”. Per questa ragione, ritiene che sia necessario dedicare a questa materia più lavoro e più sistematizzato.

Molti studi internazionali hanno portato a termine una valorizzazione del lavoro domestico, però la mancanza di una metodologia omogenea rendeva impossibile fare comparazioni nel tempo e nello spazio.

Per risolvere questa mancanza a livello europeo, Eurostat [NdT l’Ufficio statistico dell’UE] ha promosso fra il 1995 e il 1998 un progetto per sviluppare la metodologia di elaborazione dei Conti Satellite della Produzione domestica, portato poi a termine dall’Istituto di Statistiche della Finlandia. Questa è la metodologia applicata in Euskadi.

Anche se abbiamo detto che per i conti nazionali le famiglie sono fondamentalmente unità di consumo, è certo che nel PIL si includono alcune produzioni delle famiglie. Si tratta della produzione del personale domestico assunto (lavori domestici e di cura remunerati) e di altre produzioni che, anche se non attraversano la frontiera del mercato, vengono contabilizzate, come ad esempio la produzione agricola per auto-consumo e l’affitto di case occupate dalle/dai proprietarie/i. Quindi si sono sempre ammesse eccezioni alla regola del mercato.

Il Sistema Europeo di Conti nazionali vigente (SEC 2010) permette una certa flessibilità e raccomanda l’elaborazione di Conti Satellite indipendenti quando esistano specifiche necessità di informazione, per esempio nell’analisi del ruolo del turismo nell’economia nazionale, degli investimenti e del finanziamento dei servizi sanitari, dell’interazione fra ambiente e economia, della produzione delle famiglie, ecc. I Conti Satellite sulla produzione domestica comprendono sia la produzione già contabilizzata nel PIL sia quella che a tutt’oggi resta fuori dal SEC.

Come si fanno?

Dato che la parte che non è contabilizzata nel PIL è quella del lavoro domestico e di cura non remunerato, è su questi lavori che centreremo la nostra attenzione. Si sono sviluppate molte metodologie (ciascuna con i suoi punti forti e le sue debolezze) per avvalorare in termini monetari i lavori storicamente resi invisibili, però qui, per ovvie ragioni, non possiamo spiegarle tutte e per questo abbiamo cercato di spiegare la più semplice e la più usata. Si dà valore alla produzione attraverso i costi, lo stesso metodo utilizzato nei Conti Nazionali per calcolare la produzione non di mercato dell’Amministrazione Pubblica delle istituzioni senza scopo di lucro. Il fattore chiave per questa valorizzazione è il lavoro (input). Una volta ottenuto il valore economico (in euro) dei lavori non di mercato, e dopo una serie di operazioni in cui sono conteggiati alcuni aggregati (tasse, sovvenzioni, consumo di capitale fisso e consumi intermedi), si ottiene il valore totale o output del lavoro non di mercato.

Tabella 1. Attività non incluse nel PIL e che sono incluse nei Conti Satellite della produzione non di mercato delle famiglie

Non tutte le attività che si sviluppano nelle famiglie si considerano produzione. (Nota: L’unità di analisi è la famiglia e quindi restano esclusi i lavori svolti da persone che vivono in convivenze, carceri, ecc..). Per individuare quelle che saranno contate come produzione si usa il criterio de “la terza persona”. Come dice Margaret Reid: “se un’attività è del tipo che può essere delegata a una persona lavoratrice remunerata, allora tale attività deve essere considerata produttiva…”. Quindi si usa il criterio del mercato per identificare la produzione domestica. Il criterio è semplice, anche se ci sono attività che stanno sulla frontiera (tragitti, igiene personale…).

Nella tabella che segue vengono enumerate le attività considerate produttive nell’indagine sull’uso del tempo di Euskadi. Come si può vedere mancano attività assolutamente necessarie per il benessere e che, per evidenti ragioni,  non sono considerate produttive (dormire, attività di riposo…).

La misurazione dei tempi riproduttivi pone vari problemi. Per citarne alcuni, segnaliamo la difficoltà di misurare lavori che vengono svolti simultaneamente (come si misurano i tempi quando si fanno varie cose insieme?). A questo si collega il tema delle cure e soprattutto la difficoltà di misurare i tempi in cui si “ha in carico” qualcuno, vale a dire la cura “passiva” che può essere svolta simultaneamente con altre attività.

Un altro problema è che, nella casa, ovviamente senza le pressioni competitive del mercato, i livelli di produttività possono essere molto diversi.

Una volta risolta la questione del tempo, per contabilizzare in denaro la produzione non di mercato resta da tradurre il tempo in salario. Esistono differenti metodi e salari e nella Tabella 2 riassumiamo i più utilizzati.

Tabella 2. Salari utilizzati per valorizzare la produzione non mercantile delle famiglie.

Cosa ci dicono?

La maggior parte degli studi hanno optato, anche per la sua semplicità, per utilizzare il metodo 1.3 (vedi sopra) che è adottato anche nella Comunità Autonoma di Euzkadi. Nel grafico 1 sintetizziamo l’informazione dei Conti Satellite sulla produzione non di mercato elaborata dall’Istituto Basco di Statistica (Eustat). In primo luogo si osserva che il valore monetario dei lavori domestici e di cura non remunerati è molto importante (32% del PIL nel 2013). In secondo luogo, che la tendenza è decrescente, raggiungendo il minimo nel 2008 (29% del PIL), mentre negli ultimi cinque anni c’è stato un aumento di quasi quattro punti.

Grafico 1. Valore monetario della produzione non mercantile (sul PIL) e la sua distribuzione per sesso. 1993-2013

Fonte: Eustat

Eustat spiega questo aumento in base al “carattere anti-ciclico della produzione domestica, che aumenta in epoche di crisi  per effetto di un trasferimento di risorse dall’economia di mercato a quella domestica non remunerata”. In terzo luogo, si nota che la maggior parte di questa produzione (concretamente il 67%) corrisponde alle donne, e questo dimostra con evidenza che la divisione sessuale del lavoro continua ad essere una realtà. Ora, se negli ultimi 20 anni si è registrato un aumento (di 12 punti) del contributo degli uomini, comunque insufficiente, questo tuttavia indica anche che nelle famiglie si stanno producendo dei cambiamenti.

I Conti Satellite consentono l’analisi per grandi gruppi di attività, da cui risulta che economicamente la più importante è preparare il cibo (43% del PIL non di mercato), seguita dall’offrire alloggio (31%) e dal  provvedere alle cure, all’educazione (18%), all’abbigliamento e altro (8%). Nelle quattro attività, la parte prodotta dalle donne supera il 60%, essendo le differenze fra donne e uomini nel provvedere all’abbigliamento e altro di 54,2 punti, nell’offrire cure ed educazione di 37,6 punti, nel preparare il cibo di 28,6 punti, nell’offrire alloggio di 24,8.

E per finire …

Ovviamente, i problemi e le difficoltà per elaborare Conti Satellite delle produzioni non di mercato delle famiglie sono molte. Ancora oggi continua ad essere un esercizio esclusivamente teorico. Fra i suoi aspetti positivi segnaliamo che è un modo – certamente incompleto – di saldare un vecchio debito con le donne, di riconoscere il loro apporto economico. E’ una maniera di rendere visibile e, perché no, ridare prestigio a lavori storicamente occulti e sottostimati.  E’ possibile pensare che se tali lavori, realizzati sempre e ovunque principalmente dalle donne, ottenessero un maggior riconoscimento sociale, si faciliterebbe una divisione più equa di questi fra uomini e donne; e la divisione equa dei lavori invisibili è una condizione necessaria (non sappiamo se sufficiente) per rompere altre disuguaglianze  economiche. Comunque non è da dimenticare che questa valorizzazione teorica è stata usata da settori conservatori per rafforzare i loro argomenti a favore della divisione sessuale del lavoro, cioè, per alimentare il discorso  per cui il lavoro delle donne è molto valido e importante e quindi queste dovrebbero continuare a farlo come ancora oggi fanno. Questi Conti permettono di conoscere meglio il funzionamento dell’economia e possono essere utili per orientare e pianificare meglio la politica economica. D’altra parte è certo che se i flussi monetari fossero reali, i cambiamenti economici sarebbero importanti; per esempio cambierebbero i salari e i prezzi e di conseguenza anche il PIL “tradizionale” sarebbe diverso.

Secondo un’analisi meramente teorica, l’inclusione generalizzata di questa produzione aumenterebbe significativamente la grandezza delle economie e dunque il benessere materiale globale, però senza che per questo si producano cambiamenti reali nella vita delle donne. Se si introducesse questo cambiamento in tutti i paesi, cambierebbero ovviamente le comparazioni internazionali e diminuirebbero le disuguaglianze di reddito, dato che, quasi sicuramente, i paesi con un maggior aumento percentuale del PIL sarebbero quelli impoveriti, ma questo adeguamento dei redditi si produrrebbe anche senza cambiamenti reali nella vita delle persone.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 44 – Numero speciale di Marzo 2020. Dossier dell’associazione Economistas sin Fronteras: “Economia Femminista: Visibilizzare l’invisibile

 

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