Il diritto all’acqua come paradigma della democrazia costituzionale

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di Alice Cauduro

La riforma costituzionale dell’aprile 2016 incide sulla seconda parte della Costituzione della Repubblica italiana: indebolisce la rappresentanza, depotenzia direttamente gli strumenti di democrazia diretta, altera il rapporto tra i poteri dello Stato e quello tra i diversi livelli di governo del territorio. Nel complesso questa riforma modifica in maniera significativa l’assetto istituzionale della nostra democrazia. Si pensi, ad esempio:

1) alla “clausola di supremazia”, che consente allo Stato di intervenire in via legislativa in materie di competenza regionale per ragioni di interesse nazionale, per l’unità giuridica o economica del Paese,

2) al “voto a data certa”, con cui il Governo potrà chiedere alla Camera di iscrivere con priorità di discussione all’ordine del giorno un disegno di legge che ritiene essenziale per l’attuazione del suo programma, alterando così i meccanismi di produzione legislativa e i rapporti tra Governo e Parlamento,

3) alla perdita di rappresentatività del Senato e alla confusione della doppia carica dei senatori,

4) alla triplicazione del numero delle firme necessarie per presentare un proposta di legge di iniziativa popolare,

5) alla previsione della promozione della concorrenza tra le materie di legislazione esclusiva statale.

Di fronte a queste modifiche costituzionali, in che termini i movimenti in lotta per i diritti sociali sono coinvolti in una riforma che (solo apparentemente) non modifica (direttamente) la prima parte della Costituzione, dedicata ai diritti? 

La prima ragione del coinvolgimento risiede, innanzitutto, nello stretto legame tra l’assetto istituzionale di una democrazia e la garanzia dei diritti, in particolare dei diritti fondamentali, cuore delle democrazie costituzionali. Se si guarda al movimento italiano per l’acqua le ragioni di un coinvolgimento diretto nelle ragioni del No sono molteplici.

In primo luogo, il fatto che questo movimento abbia percorso negli ultimi dieci anni tutti gli spazi di democrazia diretta previsti dalla nostra Costituzione: l’iniziativa legislativa popolare (2007), il referendum abrogativo di legge ordinaria (2011) e la petizione popolare (2016), che contiene, peraltro, oltre all’istanza del rispetto dell’esito referendario, anche una rivendicazione del riconoscimento costituzionale del diritto fondamentale all’acqua. In secondo luogo, il fatto che la riforma incida indirettamente anche sulla garanzia dei diritti sociali, ridisegnando la geografia dei principi fondamentali indicati nella prima parte della Costituzione: “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art.1), l’eguaglianza sostanziale come “effettiva partecipazione alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3) e “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali” (art. 5). Questa riforma, infatti, limita ulteriormente lo spazio delle autonomie locali e la partecipazione popolare nelle forme della democrazia diretta, entrambe garanzie di attuazione dei diritti sociali. Infine, il fatto che le ragioni del No a questa riforma vadano ben oltre una resistenza costituzionale e debbano assumere piuttosto le caratteristiche di una resilienza costituzionale, attraverso la lotta per i diritti nell’orizzonte (costituzionale) europeo.

Non si ignora come il processo di indebolimento della Carta costituzionale sia precedente a questa riforma, si pensi alla legge costituzionale n. 1 del 2012 che ha introdotto nella Costituzione il principio del pareggio di bilancio, principio che incide significativamente sulla garanzia di quei diritti sociali che richiedono l’impiego di risorse pubbliche per il loro soddisfacimento. Per questo il referendum costituzionale dovrebbe essere una occasione per riflettere su come rilanciare, ad esempio, i contenuti della proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare per la modifica agli articoli 81, 97, 119 della Costituzione, concernenti l’eliminazione del “pareggio di bilancio” e la salvaguardia dei diritti fondamentali.

In quest’ottica la rivendicazione costituzionale del diritto fondamentale all’acqua (contenuta nella petizione popolare del 2016), mirata a delegittimare espressamente la pratica dei distacchi del fornitura del servizio idrico (negazione del diritto alla salute, del principio di solidarietà e dell’uguaglianza), si inserisce proprio nel contrasto alla logica della prevalenza delle ragioni di bilancio sulla garanzia dei diritti. I diritti fondamentali, infatti, vincolano il legislatore anche in senso positivo (diritti sociali a prestazione). Più in generale, qualificare un diritto come fondamentale equivale a declinarlo come limite di tutti i poteri dello Stato e a sottrarlo alle logiche di mercato. Per questo i diritti fondamentali vanno intesi come finanziariamente incondizionabili, per loro stessa natura. La loro garanzia impone al legislatore e all’amministrazione una scelta vincolata dell’allocazione delle risorse.

Per tutte queste ragioni il diritto fondamentale all’accesso all’acqua è paradigma della democrazia costituzionale.

La Costituzione è infatti, innanzitutto, lo spazio dei Diritti.

Questo, dunque, il senso di una resilienza costituzionale che può percorrere il confronto referendario del 4 dicembre, attraverso le lotte per i diritti nell’orizzonte costituzionale europeo. Un percorso che il movimento italiano per l’acqua ha già intrapreso nel 2013 con la prima legge di iniziativa legislativa dei cittadini europei, definita dal Parlamento europeo come strumento per “contribuire a ridurre il divario tra i movimenti sociali e la società civile europea e nazionale“. L’iniziativa europea per il diritto all’acqua è espressione, infatti, di quella centralità della persona nell’azione dell’Unione europea sancita nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, espressione delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri europei.

Oggi, di fronte ad una nuova e aggressiva stagione di privatizzazioni e di finanziarizzazione dei diritti attraverso politiche governative che escludono sempre di più la partecipazione democratica dalle scelte collettive, le rivendicazioni costituzionali dal basso esprimono un altro modo di intendere la Costituzione, un’alternativa netta alla cultura dell’accentramento dei poteri, della limitazione degli spazi di democrazia diretta e delle autonomie locali, dunque dei diritti.

Tradurre nelle rivendicazioni costituzionali la volontà, espressa da 27 milioni di cittadini col referendum del 2011, di escludere l’acqua dalle logiche di mercato significa rafforzare le lotte di tutti i movimenti che si battono per i diritti.

Il No a questa riforma costituzionale assume, così, il senso sia di promozione delle autonomie locali e dei diritti costituzionali, sia della lotta per i diritti contro le logiche di mercato, oltre la stessa sovranità statale e come vincolo della stessa. La modifica della Costituzione si muove esattamente nel senso opposto, mediante l’accentramento di alcune competenze allo stato e il rafforzamento dei poteri del Governo a discapito del confronto parlamentare e della democrazia diretta, consentendo pericolose scelte politiche unilaterali e non condivise.

La rivendicazione costituzionale dei diritti esprime un altro modo di intendere la Costituzione, in netta alternativa alla cultura dominante dell’imposizione verticistica anche delle scelte costituzionali.

In questo senso il diritto all’acqua è paradigma delle lotte per i diritti nell’orizzonte della democrazia costituzionale.

Ma queste sono solo alcune delle ragioni e il senso da dare al No al referendum costituzionale del 4 dicembre, per ricordare e ricordarci ancora una volta che si scrive acqua ma si legge

democrazia.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 26 di Novembre-Dicembre 2016 Voglio cambiare davvero, quindi voto NO!