Guerra dei fondi

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Foto: rapporto “Fanning the Flames” – Transnational Institute (TNI).

di Matteo Bortolon, Cadtm Italia*
* articolo pubblicato su il manifesto del 2 aprile 2022 per la rubrica Nuova finanza pubblica

La Ue è stata spesso considerata un progetto pacifista, come l’organismo che surclassando i nazionalismi si sarebbe lasciato alle spalle la pesante eredità novecentesca per approdare ad un eden di cooperazione e tecnocrazia. Tale visione è inevitabilmente smentita da due fattori centrali, l’uno assai conosciuto, l’altro praticamente ignorato.

Il primo è il collegamento assai forte con la NATO, vale a dire con la politica militare Usa. La stupefacente subordinazione attuale dei paesi comunitari alla linea statunitense in relazione alla guerra in Ucraina, senza un’ombra di autonomia strategica, non si spiega se non in base a caratteristiche strutturali difficilmente riconducibili alla mera incompetenza, miopia e ottusità della oligarchia comunitaria.

Il secondo è che già la Ue ha una sua politica di difesa (come eufemisticamente si usa dire) già sviluppata che da anni cerca di creare un sistema militare-industriale continentale. Come per altri settori sul piano finanziario si vede la consueta partita di giro dell’organismo comunitario: gli Stati membri finanziano la Ue i cui fondi tornano ad essi; in alcuni settori in forma vincolata o rivolta a gli enti locali, in questo caso direttamente alle aziende militari strettamente legate ai governi. I fondi comunitari hanno nomi piuttosto sconosciuti: PADR (Preparatory Action on Defence Research), EDIDP (European Defence Industrial Development Programme), PESCO (Permanent Structured Cooperation) e EDF (European Defence Fund, il Fondo europeo per la difesa) e da marzo 2021 EPF (European Peace Facility). Quest’ultimo è finanziato da tutti i paesi membri salvo la Danimarca, sarebbe deputato a “prevenire i conflitti, costruire la pace e rafforzare la sicurezza internazionale”, e nella più classica torsione orwelliana invia equipaggiamenti e armi letali all’Ucraina.

I beneficiari dei finanziamenti europei sono in maggioranza le aziende di armi dei più grandi Stati comunitari: Francia, Germania, Italia, Spagna. Come illustra un recente rapporto del Transnational Institute, i fondi PADR e EDIDP hanno riversato circa 600 milioni € nelle tasche di lucrose compagnie permettendo loro di produrre ed esportare tecnologie belliche e sistemi d’arma.

Sebbene controllate dai rispettivi Stati tali aziende (l’italiana Leonardo, la francese Thales, la spagnola Indras, la tedesca Hensoldt e il consorzio Airbus) non sono di esclusiva proprietà pubblica. Come mostra una recente inchiesta del consorzio investigativo Investigate Europe esse hanno quote di azionariato in mano ai peggiori colossi speculativi del pianeta: Capital Group, BlackRock, Vanguard, Wellington Management, Fidelity Investments, che hanno grandi intrecci con il complesso militar industriale d’oltreoceano. Ovviamente tali fondi negheranno di avere un interesse specifico per il comparto militare ma è un dato di fatto che una crisi o una situazione di tensione internazionale possono più facilmente costituire fonti di profitto.

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