Grecia, studenti ancora in piazza nuova giornata di scontri ad Atene

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Fonte: repubblica.it

di MATTEO NUCCI

ATENE – “Merry Crisis and Happy New Fear”. “Buona crisi e felice nuova paura”. La scritta campeggia sulle mura dell’edificio neoclassico dell’Accademia davanti alla fermata Panepistimio, in pieno centro di Atene. Sono le tre di pomeriggio e la guerra sta per cominciare. L’albero di Natale che due giorni fa è stato addobbato nuovamente su Syndagma, la piazza del Parlamento, ha qualche ramo annerito. Lì è cominciato tutto. Qualcuno ha tentato di bruciare di nuovo il grande abete, la polizia è intervenuta sparando lacrimogeni e il sole che era uscito su Atene ha illuminato un nuovo giorno di Apocalisse.

Eppure tutto era cominciato nel modo migliore. La pioggia si era fermata proprio intorno a mezzogiorno, ora in cui il corteo di “Resistenza” lanciato ieri con un enorme striscione steso sotto il Partenone doveva partire. C’era aria di festa. Canti, musica, balli. Diecimila partecipanti: molti giovanissimi delle scuole superiori che soffrono la morte del quindicenne Alexandros Grigoropoulos, molti universistari e anche parecchi adulti. Questa la vera novità degli ultimi giorni. Si vedono in giro, nelle piazze, nei sit-in di protesta, nei cortei improvvisati. Fra i quaranta e i cinquant’anni. Alcuni pensano che i figli abbiano ragione a protestare contro una crisi che non dovrebbe riguardarli. Altri hanno semplicemente paura per i loro ragazzi: se un quindicenne viene ucciso per strada alle nove di sera, fuori da qualsiasi manifestazione, cosa può succedere a questi studenti che alzano il medio contro la polizia e ripetono slogan che in questi giorni rimbombano ovunque per le vie di Atene e di tutta la Grecia?

Eppure da domenica scorsa, la calma ha prevalso. Una certa calma, è vero. Non sono finiti i cortei né le occupazioni o le operazioni di contro-informazione come l’occupazione della TV pubblica per gridare a tutti che è bene tornare per strada. La calma serviva anche a quello. Un’Atene spettrale doveva ricominciare a vivere. Niente paura, niente inutili terrorismi. La vita è per strada. Questo hanno ripetuto nei giorni scorsi i sostenitori della protesta. Oggi era il momento di dimostrarlo. Musica, allora, grida, balli e il sole che si affacciava nel cielo bianchiccio mentre il corteo si snodava lungo le principali arterie della città: un percorso classico, una specie di anello, dall’Accademia sul Viale Eleftherios Venizelou, indietro su Stadiou, fino a Syndagma, e di nuovo all’Accademia.

Ma la prova era davanti al Parlamento. L’albero di Natale illuminato di fronte al luogo dei partiti. Non si può festeggiare il Natale come se niente fosse – questo pensano i giovani che partecipano al movimento greco. Non tutti credono che si debba bruciarlo, ma molti sono convinti che non sia stata una buona idea rimpiazzare l’abete bruciato nei giorni in cui la rabbia è esplosa ad Atene. Nessuna sorpresa, allora, se qualcuno è sceso giù per accendere di nuovo la fiamma. I poliziotti sono accorsi lanciando gas lacrimogeni mentre il corteo si affacciava sulla piazza. Ragazzini inginocchiati, vecchi che si coprivano il viso e piangevano. “Sono un incappucciato anch’io” gridava un uomo sui cinquant’anni portandosi appresso una donna nel caos della folla che svoltava correndo sulla via Eleftherios Venizelou sotto i fasti dell’Hotel Grand Bretagne.

Grida, caos, pianti, e tutti di corsa via sul grande vialone. Una lunga catena di uomini, padri o accompagnatori, certo non studenti, sfila a chiudere ogni piccolo vicolo si affacci sul viale. Si danno la mano, impediscono ai poliziotti di entrare sul viale, impediscono ai giovani di gridare, provocare, correre verso i poliziotti in assetto di guerra: maschere antigas, scudi, caschi, gas in bombolette rosse, gas da sparare, gas da lanciare in piccole granate che ricoprono la strada. Molti uomini gridano. Dividere ragazzi e guardie con ogni mezzo a disposizione. Il corteo riprende fiato e gli ultimi metri fino all’Accademia sembrano gli ultimi. La manifestazione potrebbe essere finita.

Ma dietro corrono le forze dell’ordine, alcuni incappucciati si gettano contro le banche che hanno abbassato le serrande fin dalle undici. Telecamere, semafori, lampioni: ogni cosa è un bersaglio. La polizia si avvicina. Ancora gas lacrimogeni mentre i manifestanti si sono fermati davanti ai Propilei, i portici che nell’antica Atene aprivano il passaggio all’area sacra dell’Acropoli. Qualcuno pensa che sia finita e si occupa di un cane che non riesce a respirare per i gas. Qualcun altro ha tirato fuori una mazza, spacca il lastricato di marmo davanti ai Propilei: centinaia di pietre sono pronte per lo scontro. La polizia avanza da Syndagma e anche dalla parte opposta del viale. “Basterebbe che se ne andassero” dice un uomo che racconta di non trovare più suo figlio “Non posso stare attaccato a lui, lo capite? Dove sarà?” Una macchina prende fuoco, un cassonetto brucia in mezzo alla strada. Le forze dell’ordine arrivano correndo da una terza via di accesso: Platia Klafthmonos. Sono le tre e venti e l’aria diventa irrespirabile. Sembra assurdo che la metropolitana – fermata Panepistimiou – sia ancora aperta, ma è così. Molta gente esce su Platia Klafthmonos come se nulla fosse. Un tossicodipendente grida e vomita e i ragazzi urlano ai poliziotti: “Occupatevi di lui, non di noi”. Davanti ai Propilei volano pietre, gas, fumogeni, guanti di lattice pieni di vernice rossa, molotov.

Uno zingaro che avrà sei o sette anni corre verso i poliziotti armato di pietre, gli studenti lo prendono e lo riportano indietro. Ma ce ne sono altri. Il gioco più bello di sempre: la guerra. Sciarpe coprono ogni volto. I giornalisti embedded, quelli odiati dal movimento, quelli che vogliono – secondo i ragazzi – raccontare solo gli scontri e non le proposte, sono in prima fila: maschere antigas, caschi, elmetti, occhiali. La polizia carica da tutte le parti. Solo alle tre e cinquantacinque la metropolitana viene chiusa. Verso le quattro, i giovani davanti ai Propilei cominciano a indietreggiare verso la facoltà di Legge, una delle occupazioni simboliche di questi giorni, assieme al Politecnico ed Economia. Ma il grido, che da domenica aveva cominciato a scemare, sale ovunque con rabbia: “Batsi, gourounia, dolophoni”, “Guardie, porci, assassini”.

Eleftherios Venizelou è una distesa di sassi e bombole di lacrimogeni e vernice. Un uomo piange la sua macchina distrutta e rovesciata. Ma la fine non è ancora arrivata. Dietro gli edifici neoclassici sale il fumo. Davanti alla facoltà di Legge (dove la polizia non può entrare) i ragazzi hanno acceso fuochi per portare lontano in cielo i gas sparati, nel vicolo dietro l’Università impazza la guerriglia. Incappucciati e polizia si fronteggiano. Il cielo è nero, una Mercedes brucia, i passanti scattano foto. Un vecchio arriva gridando: “Ci sono poliziotti che stanno arrestando alcuni ragazzi, andate, voi giornalisti, andate, aiutateli”. Lascia sorpresi la solidarietà che sta crescendo intorno a un movimento che molti giudicano soltanto violento. “Ma è la nostra rivoluzione” dice un ragazzo che esce da Legge ridendo “Non ci porteranno via i nostri sogni”.

Le campane della chiesa della stradina dove sale fumo e si susseguono fughe e contrattacchi suonano a festa. Suonano disordinate, si interrompono, ricominciano a suonare. Sono le cinque. Dalla scala di Legge si affacciano decine di studenti sotto un enorme striscione che condanna l’avvocato difensore del poliziotto che ha ucciso Alexandros Grigoropoulos. In fondo al viale, la folla grida contro le forze dell’ordine che portano via un ragazzo. Nessuno sa nulla di quel che sta capitando altrove. Le notizie arrivano da chi comincia a passare i blocchi stradali: nessun problema altrove.

Ma una specie di guerra continua intorno a Legge fino alle sei e mezza. E’ il momento di tornare a casa? Sembra assurdo che la strada dove solo un’ora prima si è chiusa una lotta durissima sia già pulita e trafficata, ma è Natale.

Natale, l’albero in piazza è acceso, e ragazzi di sedici anni portano scritte da attaccare ai rami dell’abete. Sono poesie di Bertolt Brecht, regali per chi non c’è più o per chi c’è e non ha regali da aprire. Ma l’albero è presidiato. La polizia accorre, stacca le scritte, e getta via i pacchi regalo. I ragazzini urlano: “Avete paura delle nostre parole? Avete paura delle nostre parole?”. Due signore li difendono, accorrono altri uomini, altre donne, gente semplicemente uscita dalla metropolitana. Avete paura delle loro parole? chiedono. Nessuna risposta. Intanto suonano i cellulari: ragazzi hanno cominciato a devastare la via Akadimiou, dietro la Facoltà di legge. Sono le sette e un quarto. “Merry Crisis and Happy New Fear”.

Fonte: www.repubblica.it

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