di Severo Lutrario
Una vertenza territoriale non può fondarsi semplicemente su l’affermazione di valori e principi tutti politici ed ideali, ma ha la necessità di coniugare questi valori e questi principi in pratiche che intersecano il quotidiano dei cittadini, che li rendano materia tangibile.
Molto spesso ai valori e ai principi sui territori si accompagna la necessaria consapevolezza e la pratica ecologica connessa alla questione dell’acqua, ma molto spesso quel che manca è la competenza tecnica e contabile sulla gestione, competenza che sola può consentire, al di là dell’affermazione dei principi sacrosanti, di incalzare quotidianamente istituzioni e gestore, costruendo obiettivi concreti capaci di far vivere tra i cittadini i nostri valori, i nostri principi ed i nostri obiettivi politici come materia tangibile.
Nella realtà dei fatti la gestione del Servizio Idrico Integrato è (in una stima prudenziale) nella stragrande maggioranza dei territori caratterizzata da macroscopiche difformità rispetto alla reale applicazione delle stesse leggi vigenti, dei contratti di gestione e dei relativi disciplinare tecnici, difformità che spesso trascendono in assolute illegalità. Difformità ed illegalità sostenute da una sorta di pensiero unico che vede nei cosiddetti tecnici ed esperti il veicolo che consente di far considerare le condizioni di fatto e le pratiche poste in essere come regolari.
Da questo punto di vista c’è la necessità che sui territori i comitati acquisiscano la necessaria competenza tecnica che deriva dalla conoscenza delle norme e dall’analisi dei documenti relativi alla concreta gestione, sapendo che questo semplice approfondimento consente di acquisire non solo una competenza enormemente superiore a quella degli amministratori pubblici del territorio, ma tale da mettere in mora i tecnici e i soloni che sino ad ora hanno pontificato sulla materia.
La difesa dei cittadini sulla base della semplice e intransigente pretesa del rispetto della legge e del contratto è da sola in grado di mettere in difficoltà e apertamente in crisi qualunque gestione.
Nell’ATO5 del Lazio con questo abbiamo ottenuto – forse unico caso in Italia – la revoca delle tariffe illegali ed illegittime (attualmente in via provvisoria è applicata la TRM del 2005 a 0,94 Euro a mc), la deliberazione dell’avvio delle procedure per la risoluzione per colpa del contratto con ACEA e, comunque, il fatto che nella determinazione della tariffe si debba tenere conto della qualità del servizio stesso.
Entrando nel merito.
La tariffa del Servizio Idrico Integrato, in base al full recovery cost, è calcolata a preventivo sulla base della definizione di tutti i servizi, gli interventi, le attività e gli investimenti previsti nel piano d’abito e nel piano degli investimenti.
Ovvero non vi è alcuna facoltà di modulazione dei servizi, degli interventi, delle attività e degli investimenti da parte del gestore che è tenuto comunque ad assicurare il servizio alle condizioni e nei termini prefissati.
Peraltro nelle revisioni annuali e triennali della tariffa è esclusa per legge la possibilità del gestore di vedersi riconosciuti i maggiori costi sostenuti nel pregresso ma solo la possibilità dell’aumento della tariffa dell’annualità successiva:
a) se i metri cubi erogati risultano inferiori per oltre il 10% rispetto a quelli previsti nel piano d’ambito (la tariffa deve essere diminuita se si supera il 10% in più di metri cubi erogati)
b) e sulla base delle mutate condizioni economiche che determinano gli effettivi costi di gestione, ovvero dei costi relativi all’attività ordinaria del servizio. E comunque detta revisione non può comportare un aumento reale della tariffa superiore al 5% (fattore K del metodo normalizzato). Se i maggiori costi rappresentano una percentuale maggiore, la quota eccedente il 5% deve essere calcolata sulle revisioni tariffarie delle annualità successive.
Aspetto rilevante a questo proposito è il fatto che, contrariamente a come normalmente avviene, detti maggiori costi non devono essere desunti dal bilancio del gestore, ma, come per la redazione del piano d’ambito, dall’esame oggettivo delle componenti dei costi di gestione. in particolare le variabili che eventualmente più incidono sono il costo del personale e le forniture come l’energia.
Quello che invece normalmente avviene è che, in base all’affermazione che la tariffa deve garantire l’equilibrio economico del gestore, il rischio d’impresa del gestore finisce per essere scaricato sugli utenti, ovvero l’incapacità gestionale, le diseconomie del gestore, finiscono per essere pagate dai cittadini.
Quanto questa logica sia pretestuosa emerge chiaramente anche da un altro elemento fondamentale: la tariffa applicata è calcolata a preventivo e alla fine di ogni esercizio annuale deve, dovrebbe in base alla legge, essere rideterminata anche attraverso la verifica dell’efficacia, dell’efficienza e della completezza del servizio stabilito nel piano d’ambito. Ovvero, revisionata la tariffa sulla base della verifica della congruità dei costi operativi, della verifica degli effettivi investimenti operati rispetto a quelli previsti con il conseguente conguaglio degli ammortamenti calcolati in tariffa e, sino al luglio 2011, della remunerazione calcolata su detti investimenti, a detta tariffa “piena” va applicato un fattore correttivo, il MALL (valore da 0 a 1), determinato dalla qualità del servizio effettivamente fornito dal gestore.
Ovvero, in barba all’”equilibrio di bilancio” del gestore, se questi è stato inadempiente rispetto a quanto stabilito nel piano d’ambito, nel contratto di gestione e nel disciplinare tecnico e se comunque la sua gestione è rimasta lontana dagli standard di gestione e di qualità fissati nel piano d’ambito, la decurtazione che la tariffa dovrebbe subire sarebbe tale da compromettere proprio quell’equilibrio di bilancio. Ma questo è esattamente il rischio che un’impresa si assume (si dovrebbe assumere) facendosi appaltatore del servizio.
Chiaramente in questo momento particolare rilevanza assume la questione della remunerazione del capitale, della sua determinazione come componente della tariffa applicata e delle condizioni per la concreta attuazione del secondo quesito referendario.
Dato che la remunerazione del capitale è stabilita a preventivo, ovvero non sull’effettivo ma sul previsto, il suo calcolo è elementare.
Deve essere preso l’incremento del valore degli investimenti previsti nell’anno solare in questione (totale degli investimenti al 31 dicembre dell’anno meno il totale degli investimenti all’1 gennaio dello stesso anno) e calcolare su questa cifra il 7%.
Il totale ottenuto deve essere diviso per il totale dei metri cubi che si stima verranno erogati (e contabilizzati) nello stesso anno.
In questa maniera si ottiene in valore assoluto quanto della TRM deve essere decurtato per ogni metro cubo di acqua erogata per effetto del secondo referendum, determinando di conseguenza la nuova TRM.
Qualora l’autorità d’ambito non dovesse dare seguito al risultato referendario, considerato come le fatture del gestore non siano contabilizzate con la TRM ma con l’articolazione tariffaria adottata, il calcolo dell’”equa bolletta” è comunque semplice in quanto sarà sufficiente percentualizzare la differenza tra la TRM applicata e la TRM dovuta ed applicare la percentuale ottenuta sul totale delle voci relative a consumi e trattamenti (erogazione, fognatura e depurazione), maggiorato del 10% dell’IVA.
L’importo che si otterrà sarà il “non dovuto” in attuazione del risultato referendario e questo in quanto l’articolazione tariffaria deve (dovrebbe e la cosa dovrebbe essere soggetta a verifica annuale) equivalere proprio all’applicazione della TRM.
I due soli dati necessari al calcolo della remunerazione del capitale non possono non essere noti e pubblici: l’ammontare degli investimenti previsti nell’anno solare e i metri cubi che si stima verranno erogati nel medesimo anno solare (ovviamente se non si parla di un intero anno il dato si può rideterminare in dodicesimi e per il 2011 in cinque dodicesimi) sono necessari ed indispensabili a determinare la tariffa in base alla legge. Qualora detti dati non fossero disponibili sarà legittimo considerare illegittima ed illegale, ovvero determinata in contrasto la legge la tariffa applicata.
Ulteriore aspetto rilevante è costituito dalle modalità di redazione ed approvazione del piano d’ambito, ovvero della sua revisione periodica.
E’ indubitabile che l’applicazione del cosiddetto “metodo normalizzato” per la determinazione dei costi operativi e la contabilizzazione degli investimenti sulla base delle opere da realizzare, richiedono competenze tecniche complesse, ma è altrettanto evidente come il ruolo di queste competenze sia a valle (magari in un meccanismo di andata e ritorno anche ripetuto) di scelte che attengono eminentemente alla politica: la valutazione delle condizioni della risorsa, delle reti e degli impianti, l’individuazione dei servizi necessari, la scelta delle opere di realizzare, delle relative priorità e della loro calendarizzazione, la valutazione dell’accettabilità sociale del TRM scaturente, sono tutte scelte eminentemente politiche che o si compiono attraverso un percorso democratico (e partecipato) o, con il cavallo di troia della complessità tecnica della materia, vengono riservate all’arbitrio dei poteri forti e del gestore.
Costruire vertenze che impongano l’elaborazione e la revisione partecipata dei piani d’ambito è allora un punto nodale per ogni territorio anche per avviare le pratiche di partecipazione che vogliamo assicurare alla futura gestione pubblica.
Severo Lutrario – Attac Italia