di Vittorio Lovera
Luigi Di Maio, “Gigetto”, da alcuni giorni si è dimesso da capo politico del Movimento 5Stelle.
L’uomo, che dal balcone (ahinoi) di Palazzo Chigi, annunciò “abbiamo sconfitto la povertà, per la prima volta nella storia” ha ributtato la palla in tribuna, anticipando la terribile débâcle che attende, a brevissimo, in Emilia ed in Calabria, i pentastellati.
L’ha fatto in pompa magna, enucleando i 40 atti sottoscritti nel corso del suo biennio da leader politico.
Ha ovviamente omesso di ricordare di aver trascinato una realtà forte del 33% di consensi verso un baratro senza fine e proprio a causa delle sue scelte ondivaghe e contraddittorie, riassumibili nell’assoluta incapacità ad amministrare negli enti locali da loro gestiti, nelle feroci lotte intestine – ammutinamenti ed epurazioni – una vera e propria lotta tra bande, nella mancanza di trasparenza (quanti eletti versano realmente il rimborso?) e, soprattutto, nelle scelte di strategia politica che hanno rinnegato quasi tutte le loro promesse elettorali.
I 5S sono stati in Italia gli anticipatori del consenso all’antipolitica, un vero e proprio sconvolgimento sociologico, la rivolta dei delusi, dei dimenticati, dei “penultimi”, di coloro che Revelli definisce “forgotten men” o deprivati.
Consenso ottenuto come?
Raggranellato – oltre che con i generici e semplificatori “vaffa”- con le promesse di una veloce svolta, di una società nuova, molto attenta alle tematiche ambientali, ecologica, innovativa, dall’economia circolare e dai trasporti non impattanti. Prima stella – quella Polare – Acqua Pubblica.
Tutte clamorosamente tradite: in primis sull’Acqua Pubblica, buggerando 27milioni di cittadini, poi sull’Ilva di Taranto, sulla TAV in Valsusa, sulla questione delle trivellazioni, sui trattati commerciali internazionali (TTIP), avvallando, inoltre, sul tema dell’accoglienza tutte le scellerate e fascistoidi leggi di Salvini.
Due parole sui dati definitivi sulle amministrative di Emilia Romagna e Calabria.
Calabria alla stragrande al Centrodestra, schiacciante vittoria di Bonaccini in Emilia.
Salvini non sfonda, anzi inanella la seconda grave battuta d’arresto in pochi mesi, rimettendo in discussione la sua leadership nel centrodestra (comunque possibile maggioranza su proiezione nazionale, quale che sia il sistema elettorale con cui si andrà al voto). 5Stelle? Come da precedente profezia: spariti, direi umiliati. Queste elezioni regionali evidenziano il ritorno verso un bipolarismo puro, proprio a causa dell’insulsaggine dei pentastellati. Pd? Assolutamente non pervenuto, assente, distante, inconcludente e… sordo.
Zingaretti, quasi imbarazzante. Un miracolato. Pd e Zingaretti, miracolati. Sì, miracolati e in soli due mesi, da piazze auto-convocate, quasi in stile “rave”, da quattro ragazzi bolognesi. Le Sardine hanno saputo smuovere l’astensionismo, ridare un po’ di motivazioni ai delusi dalla sinistra partitica, vincere sugli slogan di odio e di rancore. Loro, le sardine, hanno deciso il voto in Emilia Romagna. Le più grandi adunate dai tempi di girotondi, popolo viola, vaffaday. Equiparabili al popolo arancione che accompagnò “la primavera dei Sindaci”. Tutte esperienze brevi che purtroppo la sordità delle classi politiche di sinistra succedutesi, non seppero mai ascoltare e alimentare. Siccome non basta cantare “Bella Ciao” per essere realmente di sinistra, ora sta anche a loro saper trascinare con decisione fuori dalle sabbie mobili di liberismo, sviluppismo, grandi opere inutili, della rincorsa ai moderati, ai ceti medi, a Confindustria, ai miracolati della sinistra istituzionale. Sì, anche perché i miracoli non si ripetono! Ciò detto, e preso atto che molti dei rivoluzionari che sanno spiegare sempre tutto non riescono a smuovere i numeri neppure per una partita a calcetto, daje “sardine”, scompaginate un po’ le carte!
Intanto che la nostra sinistra si “riaccenda” le diseguaglianze aumentano ad ogni latitudine del globo terracqueo . Leggete sia i dati della ricerca Oxfam che le riflessioni dell’economista Thomas Picketty, riprese in più articoli di questo Granello.
Affermava Antonio Gramsci “ il vecchio mondo sta morendo, quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri”.
Per fermare la crescita e il proliferare dei mostri stanno avvenendo rivolte lungo tutto il Pianeta.
Le rivolte, i conflitti permanenti sono la condizione necessaria per fermare le diseguaglianze.
Le prove? Haiti, Sudan, Francia, Catalunya, Algeria, Ecuador, Venezuela, Cile, Egitto, Colombia, Hong Hong, Albania, Malta, Libia, Bolivia, Argentina, Nicaragua, Etiopia, Iran, Iraq, Libano, sono solo una parte di un elenco in continua crescita.
Alcune situazioni sono, purtroppo, vere e proprie guerre come in Libia, sul cui esito si riscontrano pure equivoche alleanze di scopo, come quella tra Russia e Turchia, o come nelle oramai “storiche” guerre di sterminio del popolo curdo (Rojava) e di quello palestinese; altre, “solo” rabbiose esplosioni di dissenso.
Se per alcune realtà gli scontri sono legati a questioni di geopolitica finanziaria, come l’accaparramento dei giacimenti fossili o di gas naturali (Gnl) e riguardano soprattutto il fronte mediorientale, in quasi tutti gli altri casi il mix detonante è caratterizzato da disuguaglianze, corruzione, repressione delle libertà, emergenze climatiche.
Ci sono poi le diseguaglianze di genere, contro cui si batte, a livello planetario, la grande onda del movimento femminista ma, su queste sacrosante rivendicazioni dedicheremo un numero speciale del prossimo Granello di Sabbia (8 Marzo), riflettendo sul dossier del collettivo iberico Las economistas feminista.
Partiamo dalle emergenze climatiche: “Brucia ancora il pianeta”, ripete a Davos a un anno esatto dal suo precedente accorato allarme “ai potenti della Terra”, Greta Thunberg, la ragazza svedese che ha riacceso gli animi della lotta ambientale. L’ondata di giovanile ribellismo ambientalista è diventata globale: pacifici e tenaci, in strenua lotta contro l’emergenza climatica, gli studenti di Fridays for future, i “disobbedienti” di Extinction Rebellion stanno facendo nuovi combattivi proseliti ad ogni latitudine. Eduardo Galeano affermava “ se la natura fosse una banca, l’avrebbero già salvata”, ma evidentemente la salvaguardia del Pianeta vale, per i potenti Oligarchi, molto meno del controvalore di una qualunque banca.
Il compianto Luciano Gallino, preveggente, scriveva “né mancano i motivi ecologici per interessarsi alle diseguaglianze globali. Accade infatti che il permanere e l’accrescersi delle diseguaglianze nel mondo non favoriscano uno sviluppo che sia perlomeno ecologicamente sostenibile. Le concentrazioni di ricchezza, al pari della povertà estrema, generano modalità di comportamenti ecologicamente irresponsabili “. Oggi le dimensioni planetarie di questa contestazione producono i primi effetti nelle stanze del potere: i cervelloni responsabili di questa catastrofe sociale fanno dietrofront rispetto le teorie propugnate finora e, dopo Christine Lagarde, Presidentessa della BCE, che ha esternato per l’abiura delle politiche economiche di sola austerity, ora anche Klaus Schwab, direttore del World Economic Forum, propugna l’inizio “dell’era del capitalismo responsabile”, motivandola con il fatto che oggi il mito della globalizzazione positiva non regge più perché “grazie al web c’è una nuova consapevolezza per cui l’accesso a salute, scuole e condizioni di vita decenti per tutti è diventato fondamentale. Nessuno può essere lasciato indietro. E chi resta indietro ha la capacità di mobilitarsi con facilità, come dimostrano i gilets jaunes
Veniamo a disuguaglianze, corruzione, repressione delle libertà.
Sudan, fine 2018, prezzo del pane triplicato: ribellione e defenestrazione della trentennale dittatura di Omar Al Bashir, poi resistenza diffusa al nuovo governo militare, fino ad indizioni nuove “libere” elezioni; Algeria rivolta di popolo contro 5 mandato consecutivo dell’anziano premier Abdelazaiz Bouteflika, fino all’ottenimento delle sue dimissioni; Egitto si torna a manifestare a Piazza Tahir – emblema delle primavere arabe del 2011 – contro Abdel Fattah al Sisi (mandante occulto anche dell’omicidio di Giulio Regeni). Repressione senza precedenti, ma proteste che proseguono indomite; Libano: sfiancato dalla crisi economica e dalla corruzione dei leader, è la tassa sulla messaggistica (whatsapp), una sorta di censura, a scatenare la rivolta dei ragazzi. Proteste creative, utilizzando l’arte e la musica come veicoli di dialogo. Il Premier Saad Hariri concede il ritiro del provvedimento ma oramai lo scontro è più ampio. Nel mirino ora anche il capo degli Hezbollah, Hassan Nasrallah; lo stesso copione di protesta del Libano ha attecchito anche in Iran; Ecuador gli scontri contro il Governo di Lenin Moreno portano duri scontri dopo la soppressione dei quarantennali sussidi sulla benzina. Provvedimenti ritirati ma la tensione prosegue; Iraq: via network partono le convocazioni di piazza contro disoccupazione giovanile e epurazione dei politici corrotti. Ad oggi oltre 100 morti, ma la protesta non si placa; nel Cile delle disuguaglianze e delle privatizzazioni più estreme (l’acqua, per esempio), gli scontri nascono dall’ennesimo provvedimento di aumento del costo della metropolitana. Sono morte oltre 30 persone nelle dimostrazione di proteste a causa dell’inaudita repressione. Il governo del conservatore Sebastián Piñera ha inviato militari e carri armati per le strade, come non accadeva dal 1990. Si è temuto il peggio: il ritorno del fantasma del dittatore Augusto Pinochet, al potere dal 1973 al 1988; Hong Kong: hanno tenuto duro gli hongkonger, i cittadini che vogliono preservare l’autonomia di Hong Kong dalla Cina. Nonostante i proiettili di gomma sparati ad altezza uomo, i gas lacrimogeni, i pestaggi e gli arresti della polizia, la maggior parte dei manifestanti ha marciato pacificamente, occupato l’università, vinto sul piano istituzionale (ritiro della legge di estradizione in Cina dei dissidenti), e continuano a battersi strenuamente, ridimensionando il ruolo della governatrice Carrie Lam, contro le costanti ingerenze cinesi. Francia: dopo la dura ribellione durata oltre un anno dei Jilet jaunes, anche qui iniziata su un rincaro del gasolio, i gilet stanno costruendo e praticando altri tipi di percorsi rivendicativi. Intanto da dicembre le piazze ed i trasporti francesi sono bloccati da uno sciopero senza precedenti, contro la riforma pensionistica del governo Macron.
Dunque, come non tornare con la memoria ai tempi del World Trade Organitation di Seattle?
Da almeno vent’anni non si vedevano così tante proteste, vere e determinate rivolte, contro gli establishment.
Fu allora che si cominciò a criticare aspramente il modello economico neoliberista. Ne scaturirono i confronti pacifici dei Social Forum Mondiali, per una globalizzazione alternativa, per “un altro mondo possibile”: un mondo governato da politiche democratiche, piuttosto che dagli interessi delle multinazionali, un mondo equo, ecosostenibile, solidale, pacifista. Un percorso che Attac ha contribuito a creare e che molti di noi hanno vissuto in prima persona.
Poi, in seguito alla criminogena repressione dei dimostranti “new-global” durante il G8 di Genova, la fiamma dei movimenti si è gradualmente affievolita, salvo sempre più rari colpi di coda, tra i quali spiccano il grande Movimento per l’Acqua Pubblica, in Italia, con la vittoria referendaria del 2011, Podemos in Spagna (2014), il referendum greco del 5 luglio 2015.
I negazionisti pagati dalle Big Company del petrolio, degli idrocarburi e dell’agroalimentare, hanno oscurato gli scienziati che denunciavano i cambiamenti climatici. Le primavere arabe si sono presto trasformate – quasi tutte – in lunghissimi inverni. Le voci democratiche sono state schiacciate dal giogo di dittatori, coalizioni di potenze senza visione e senza scrupoli, gli Oligarchi hanno impostato strategie politiche legate all’ineluttabilità delle politiche di tagli al welfare, di austerity.
Il risultato è stato l’inarrestabile crescita delle diseguaglianze.
Straordinaria, ma non casuale coincidenza, la convocazione a Barcellona (25-28 Giugno 2020) del Social Forum Mondiale delle Economie Trasformative.
Come Attac Italia ci stiamo spendendo con dedizione sia per la sua diffusione (attesi 20.000 partecipanti) sia per la costruzione di una convergenza italiana adeguata e forte di una piattaforma chiara e radicale.
Un’occasione da non perdere, per dare costrutto al completamento delle rivolte di sistema: dopo i moti di piazza occorre avere pronta una credibile e realizzabile piattaforma della “società che vogliamo”, affinché “un altro mondo” sia davvero possibile. Concludo con Galeano: “Il Mondo si divide, soprattutto, in indegni e indignati e ognuno di voi sa da che parte stare.”
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 43 di Gennaio- Febbraio 2020. “La diseguaglianza e le rivolte“