Editoriale – Nuove destre, nuovi razzismi: nell’indifferenza generale, a volte ritornano. Fermiamoli: adunata!!!

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NuoveDestre

di Vittorio Lovera

Conclusosi con ignominia il ventennio berlusconiano e dopo un interminabile interregno di governi non eletti (tecnici e non) tra i quali spicca per l’assoluta – quasi ridicola – incapacità quello di Matteo Renzi, eccoci oggi prendere atto che, anche in Italia, il cosiddetto “cambiamento” è rappresentato da “un contratto” giallo-verde, inequivocabilmente tendente a fosche tinte brunite.

Nell’indifferenza quasi generale in questi anni siamo stati scippati del voto referendario del 2011 sull’Acqua Pubblica e la vittoria sul referendum costituzionale – la tomba del renzismo – è stata ora mutilata irreversibilmente dal presidente Mattarella con il suo discorso pubblico del 27 maggio: le motivazioni addotte in quello “strampalato” discorso sanciscono la fine dello stato di diritto e l’ingresso ufficiale nello stato di mercato.

Una post-democrazia che solitamente diviene sostantivo senza una chiara ed univoca definizione e che oggi assume una valenza più chiara: le Costituzioni  non avevano previsto un tale strapotere che oggi prevale sullo stato di diritto e che ci consegna alla post -democrazia finanziaria.

Per approfondimenti su questi aspetti leggete l’interessantissimo articolo a firma Antonio De Lellis, pubblicato sul sito di Attac.

Conclusosi con ignominia il ventennio berlusconiano e dopo un interminabile interregno di governi non eletti (tecnici e non) tra i quali spicca per l’assoluta – quasi ridicola – incapacità quello di Matteo Renzi, eccoci oggi prendere atto che, anche in Italia, il cosiddetto “cambiamento” è rappresentato da “un contratto” giallo-verde, inequivocabilmente tendente a fosche tinte brunite.

Nell’indifferenza quasi generale in questi anni siamo stati scippati del voto referendario del 2011 sull’Acqua Pubblica e la vittoria sul referendum costituzionale – la tomba del renzismo – è stata ora mutilata irreversibilmente dal presidente Mattarella con il suo discorso pubblico del 27 maggio: le motivazioni addotte in quello “strampalato” discorso sanciscono la fine dello stato di diritto e l’ingresso ufficiale nello stato di mercato.

Una post-democrazia che solitamente diviene sostantivo senza una chiara ed univoca definizione e che oggi assume una valenza più chiara: le Costituzioni  non avevano previsto un tale strapotere che oggi prevale sullo stato di diritto e che ci consegna alla post -democrazia finanziaria.

Per approfondimenti su questi aspetti leggete l’interessantissimo articolo a firma Antonio De Lellis, pubblicato sul sito di Attac.

Il discorso presidenziale del 27 maggio, senza colpo ferire – e aprendo un surreale dibattito pro o contro Mattarella – causa un vulnus costituzionale senza precedenti e ci consegna ammanettati e impotenti alla volontà dei mercati.

Dopo l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, dopo l’introduzione di un “contratto” per allestire un governo differente dagli schieramenti presentatisi alle elezioni, ecco il discorso presidenziale che sancisce e suggella la supremazia dei mercati sulla politica.

Dietro tutto ciò gli incipit liberisti: è forse peccato intravedere la manina di Mario Draghi nell’esternazione di Mattarella, con il niet all’ex boiardo di Stato Paolo Savona (ministro con Ciampi, ex direttore Banca d’Italia, ex A.D. di Impregilo) e ora riconvertitosi in economista “euroscettico”?

Ue, Bce e burocrati vari stanno intavolando un grande negoziato, anche in vista delle prossime elezioni europee, per trovare convenienti “contratti” con tutti i “populismi” che si apprestano a governare, perché volenti o nolenti, la tendenza è quella: le destre hanno il vento in poppa.

Ovvio, che “ il caso Italia” per prestigio (ex prestigio) e posizione strategica nel bacino del Mediterraneo risulta paradigmatico – da un punto di vista liberista o mercantile – per studiare e garantire exit strategy che non intacchino più del tollerabile ruolo e posizione dei grandi rentiers.

Negli scenari geopolitici internazionali Brexit, dazi trumpiani, riforme fiscali, contratti di libero commercio internazionali sono le partite economiche rilevanti mentre migranti, diritti civili e privatizzazioni sono, come sempre, le merci di scambio. E in questo, come ben ci documenta in questo numero l’articolo di Luciano Li Causi: “ Se la Sinistra fa la Destra, prima o poi la Destra arriva…”!

Nel frattempo in Italia c’è un’altra destra, quella sociale, ben più inquietante di quella istituzionale, che continua a fare proselitismo, presente ovunque e sempre meno timorosa di apparire.

Certo, come CasaPound, si è presentata alle elezioni ed è stata sonoramente trombata, ma non dimentichiamo mai di come la fetta maggioritaria del suo consenso è tra i giovanissimi, i fascisti della prossima generazione, quelli con i quali si dovrà fare i conti molto presto.

Licei, università, curve degli stadi sono il termometro di questa epidemia in larga diffusione.

Per il terzo anno consecutivo a Milano il funerale di Sergio Ramelli vede oltre 1500 persone che viaggiano a coorte e con il braccio teso, senza divieto alcuno, Predappio sta tornando luogo di culto al pari di un Santuario, a Como plateale irruzione dei naziskin “ Fronte veneto skinhead “ a un’assemblea del Forum “Como senza confini”, Busto Arsizio sempre più meta di incontri delle aree di destra nazionali ed europee, Firenze come Macerata e come Vibo Valenza / Rosarno vedono tracimare le politiche del rancore in omicidi – rivendicati e difesi – di inermi migranti.

Potrei proseguire. Ma credo possa bastare.

Mentre Raggi, come Sala, come Appendino sgomberano realtà sociali di movimento, nessun provvedimento verso le sempre più numerose manifestazioni fasciste, anzi biasimo e provvedimenti ai Collettivi che si oppongono, nessuna indagine – neppure di contro-informazione – sulle origini e i finanziamenti che consentono la massiccia diffusione di CasaPound e accoliti su tutto il territorio nazionale, segno evidente di una rete tollerante di coperture e connivenze politico-istituzionali. Come sempre d’altronde nella storia della destra estrema.

Il tutto avviene mentre i dati macroeconomici internazionali non fanno che confermare le tesi che sosteniamo da tempo immemore: lo shock del debito, con le misure connesse, è una politica dannosa, perdente.

La nuova gravissima crisi – mai citata dall’informazione mainstream – tornata ad abbattersi sull’Argentina del superliberista Macrì è l’ennesima prova provata che le politiche del Fondo Monetario Internazionale – austerity, quantitative easing e privatizzazioni – non reggono mai e sono solo inutili toppe a problemi strutturali.

Analogo ragionamento vale per il Brasile, passato a governo liberista, in caduta libera e alle prese con lo sciopero dei camionisti dopo gli ennesimi rincari, mentre negli Usa alcuni importanti fondi immobiliari speculativi stanno saltando, con dati tecnici peggiori di quelli che introdussero la crisi dei mutui subprime (2007).

Ecco allora come anche i destrorsi del cambiamento, i giallo-verdi, vengono sui nostri temi: nella prima bozza del loro “contratto” ad esempio era stata strumentalmente inserita la proposta di abrogazione di una quota di debito pubblico pari a 235 miliardi. Poi “velina” della Casaleggio &co ad Huffington Post per sondare l’effetto, reazione scomposta dei mercati – lo spread è tornato l’unico indicatore riconosciuto dalla politica – e ritrattazione piena del punto.

Una delle tante incredibili variazioni di rotta che ha contraddistinto gli 87giorni necessari ad insediare questo bizzarro e pericoloso governo, rappresentativo – questo non si può certo negare – del ribaltone che gli italiani desiderano applicare alle forme di rappresentanza finora autoriprodottesi senza soluzione di continuità.

Ma queste variazioni nella sostanza, al dì là degli slogan urlati, ci ripropongono esattamente le stesse ricette che ci hanno condotto sul limite del baratro.

Così come la questione “acqua pubblica” presente nel “contratto” risulta una semplice rivisitazione dello status quo esistente e non l’integrale applicazione dell’esito referendario, così dietro tutto il piano economico-fiscale dei “giallo-verdi” (flax tax, reddito di cittadinanza) si cela il più grande piano di privatizzazioni mai ipotizzato, oltre al consueto maxi-condono (“pace-fiscale”) necessario a reperire almeno parte delle risorse.

L’unico cambiamento, risulta quindi essere quello di chi gestisce il potere (“Oggi lo Stato siamo noi” afferma “quattro stagioni” Di Maio) e non assolutamente la strategia di svolta per uscire da una crisi planetaria sistemica.

Una strategia di svolta potrebbe essere non condivisibile e magari azzardata, ma gli andrebbe riconosciuta almeno la volontà di voler provare ad uscire dal cortocircuito del sistema dato, molto più inquietante che le pratiche di cambiamento transitino esclusivamente dalla riproposizione del medesimo brodino liberista.

Dopo aver illuso sulla svolta, si perde immediatamente il consenso popolare (Renzi ne è l’emblematica prova) e pur di rimanere a galla non è fantascienza immaginare svolte anti-democratiche.

Per evitare “olio di ricino & manganello“ occorre riappropriarsi delle piazze, tornare tra la gente e con la gente, discutere e convincere, riappropriarci di pratiche che anche i movimenti hanno man mano ceduto ai populisti.

Da tempo tra i Movimenti italiani, solo Nonunadimeno, il movimento femminista, è stato in grado di creare inclusione, confronto, elaborazione, piattaforme rivendicative e mobilitazione di massa, occupando le piazze per provocare scenari di cambiamento rispetto le tematiche di genere.

Dobbiamo ripartire da questo esempio di capacità politica.

Abbiamo appena condiviso come gli scenari internazionali segnalino burrasca, se non tempesta, e il caso Italia –rispetto ai “populismi” stia diventando caso di studio, anche in vista delle prossime elezioni europee.

Il fuoco e le fiamme prodotte dagli 87 giorni di incertezza sul nuovo governo italiano hanno visto da una parte la ridiscesa in campo dei famosi “mercati”, del redivivo “spread”, del commissario europeo al Bilancio Oettinger, dei luoghi comuni contro gli italiani sui media tedeschi, e dall’altra richiami alla patria indipendente, alle piazze e all’impeachment del Presidente della Repubblica.

Fuoco e fiamme fatue, perché artificialmente alimentate da entrambi gli schieramenti per chiarire, non agli attori in campo, bensì al pubblico che assiste qual è il messaggio univoco da interiorizzare.

Ciò che andava comunicato è l’impossibilità di un’altra via fuori dalle due predefinite: il sostegno all’establishment in quanto tale, fiscal compact e pareggio di bilancio compresi, al grido di “nessuno tocchi Mattarella”, e il sovranismo reazionario, flat tax e razzismo compresi, al grido di “prima gli italiani”.

Il terreno di gioco comune è quello delle politiche liberiste e d’austerità, che non possono in nessun caso essere ridiscusse e che hanno bisogno dello shock del debito per disciplinare la società e quanti dentro la stessa continuano lotte radicali perché non hanno rinunciato a cambiare il mondo.

Lotte che non possono rimanere silenti o addirittura partecipare alla pantomima tra chi fa appello alla patria e chi propone un fronte repubblicano contro i populismi.

Perché il risultato di questo “falso conflitto” sarà l’ulteriore riduzione dei margini d’azione politica per chi vuole un altro modello sociale.

A chi ci chiede semplicemente di assistere, è forse venuto il momento di rispondere con un nuovo protagonismo sociale, a chi ci chiede di parteggiare é forse venuto il momento di rispondere con uno scarto di lato e un salto in avanti.

Perché allora non provare a costruire un percorso di convergenza delle lotte, delle vertenze, delle esperienze e delle pratiche alternative, che si prefigga, nelle forme e modi che decideremo, un appuntamento nazionale nel prossimo autunno per dire tutte e tutti assieme “Fuori dalla trappola del debito e dalla precarietà, per i diritti, i beni comuni e la democrazia”?

Se non ora, quando? Siamo colpevolmente in ritardo e, anche per evitare il riprodursi di quelli scenari divisivi che introdussero il più tragico dei ventenni, occorre mobilitarsi.

Compatti, decisi, determinati.

Adunata!!!

Il loro potere dura finché dura la nostra rassegnazione.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 34 di Maggio – Giugno 2018: “L’epoca del rancore. Nuove destre e nuovi razzismi

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