Dieci anni fa il movimento Noocse. Ovvero quelle domande ancora senza risposta.

Condividi:

Loading

Marco Trotta

Il Movimento NoOcse di Bologna compie dieci anni, Il 24 Marzo del 2000, infatti, aprivamo una delle prime mailing list di discussione di quello che altri avrebbero chiamato “movimento no global”, per contestare il vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico che ci sarebbe tenuto dal 12 al 15 Giugno a Bologna. Di quei giorni ricordo una riunione serale in un TPO che ora non c’è più (via Irnerio) di persone autoconvocate per amicizia o passa parola. C’erano le regionali anche allora con la notizia che girava di Rifondazione che aveva digerito senza colpo ferire l’accordo con Errani che prevedeva l’apertura del CPT, ma soprattutto c’era il bisogno di annusare l’aria per capire dove sarebbe girato il vento di una politica requisita tra istituzioni e segreterie di partito. A Seattle solo qualche mese prima 10.000 persone avevano dimostrato che la vulgata liberista del “There Is Not Alternative” si poteva fermare, anche fisicamente, portando in piazza tutti quelli che in modo diverso nei modi, ma uguale nelle tragiche conseguenze, aveva subito sulla propria pelle vent’anni di liberismo applicato: lavoratori del nord e del sud, attivisti ecologisti, contadini senza terra, ricercatori precari, ecc.

Quella sera la domanda comune era come riportare tutto questo in una Bologna sconvolta dall’elezione di Guazzaloca alle comunali che, però, già in quella sede a molti sembrava solo la conseguenza di un idea di modello emiliano che stava andando in frantumi perché da tempo era sceso a patti con i dogmi liberisti della globalizzazione. Da questo punto di vista la caduta del “muro di Bologna” abbattuto da uno sconosciuto macellaio sembrava solo l’ultimo atto di una serie di crepe da tempo visibili: la riduzione dei beni comuni, tra privatizzazioni e precarietà, a benzina di uno sviluppo “qualunque sia” finalizzato alla competizione globale, la finanziarizzazione che ha sdoganato ogni forma di speculazione (edilizia o impreditoriale, poco importa), l’inaugurazione dei modelli securitari contro migranti e ogni altra “illegalità” come forma di gestione delle contraddizioni metropolitane, ecc. La scelta di ospitare il vertice di un organismo come l’OCSE a Bologna era il suggello di quel processo. Dieci anni dopo se si dovesse ragionare sulle cause della decadenza di Bologna, di una città che ormai ha accettato perfino il commissariamento come male minore, forse bisognerebbe cominciare da qui: da questo enorme spreco del patrimonio “Bologna” consumato sull’altare dell’adozione di “un modello diverso” che forse tanto diverso non era visto che è andato ugualmente in crisi e non si sta dimostrando tenero con chi ne paga le conseguenze.Uno spreco che dovrebbe interrogare la politica se, parallelamente a questo processo, anche qui come altrove la “cosa pubblica” non si fosse trasformata nella gestione delle mani di pochi, requisita al controllo di cittadinanza e ad ogni dibattito di prospettiva, tanto che si farebbe anche fatica a chiedere il conto delle scelte fatte alle singole persone quando ne avevano responsabilità. Prendi, per esempio, Walter Vitali, tra gli sponsor del PD veltroniano e sindaco di Bologna negli anni ’90. Aprì Bologna alle privatizzazioni e un libro come “Guazzaloca 50,69% – Perché Bologna ha perso la sinistra” ne spiegò le conseguenze. Oppure l’attuale segretario provinciale del PD, Andrea De Maria, allora astro nascente della politica locale, negli anni successivi andò perfino a Porto Alegre dove sottoscrisse documenti su partecipazione e beni comuni. Dieci anni dopo qui a Bologna non dice una parola su quello che è diventata Hera, su quello che potrebbe diventare grazie al decreto Ronchi mentre ha sostenuto con il suo partito, nell’ultimo consiglio comunale, il processo di privatizzazione di alcuni servizi pubblici come l’ATC.

Non so se nei prossimi mesi ci saranno dibattiti su questo. Non vedo posti dove potrebbe succedere visto che anche quelli di movimento hanno poco da dire e quel poco ha ben poca presa sulla società reale (una riflessione pubblica da aprire prima o poi). Eppure so che quello che fu detto all’epoca, ed archiviato frettolosamente come “il fu movimento dei movimenti”, rimane attuale anche ora. Durante il movimento NoOcse di Bologna naque Attac con la proposta di tassa Tobin che dieci anni dopo gente come Sarkozy ha dovuto rispolverare per risolvere il problema di un modello finanziario impazzito. Un ex presidente della regione come Antonio La Forgia dovette esprimersi sul tema del “redditto di cittadinanza” che perfino Jaques Attalì ha dovuto reinserire tra le sue proposte per risolvere i problemi sociali prodotti da questa crisi. E ancora: lo sciopero di cittadinanza che fu proclamato nel giugno del 2000 come cornice alle tante forme di interruzione dei processi di produzione in un contesto metropolitano aveva in sé le stesse motivazioni che hanno prodotto una giornata come quella del 1 Marzo di quest’anno. E poi le assemblea annunciate pubblicamente e aperte alla cittadinanza, la scelta delle decisioni per consenso e non a maggioranza, l’uso delle reti come forma orizzontale di collegamento tra persone che volevano autodeterminare le proprie scelte, volevano dar visibilità ad un altro sguardo: i Contropiani, appunto.

Di quella stagione, che in Italia vide simili mobilitazioni a Firenze, Genova ed Ancona, sono rimaste poche testimonianze visibili, e non so se siamo stati più bravi noi a Bologna, ma se almeno qui è rimasto qualcosa è perché si è cercato di investire in strumenti propri. Qualche anno dopo, da alcuni attivisti tra i quali il sottoscritto, nacque il progetto Comodino che ancora fa funzionare sito e mailing list. Credo che tutto questo è stato reso possibile anche perché abbiamo avvertito per tempo un problema che poi ha rilanciato più di recente una istituzione come la Biblioteca Britannica. Ovvero il fatto che nell’era digitale del tutto gratuito (ed ora anche di corporation 2.0 come Facebook o Google) insieme a siti e contenuti possano sparire interi pezzi di memoria. Una questione che oggi interroga chi fa attivismo politico attraverso i nuovi mezzi del web 2.0 rispetto ai quali, personalmente, non c’è nessuna valutazione nostalgica sui bei tempi andati della rete passata.

Il problema, semmai, è capire se c’è ancora una comunità che si sente depositaria di questa memoria. Ma credo che se ci fermassimo al noi, all’etichetta, alla forma che contiene (che è sempre quella che si da per morta), ci perderemo la questione più importante. Ovvero il fatto che un movimento di dieci anni fa, che siano tanti o pochi, pone ancora domande scomode. Scomode perché interrogano il presente e parlano del futuro. Pretendendo risposte.

Marco Trotta

Fonte: http://bolognacittalibera.ning.com

Se sei arrivato fin qui, vuol dire che ti interessa ciò che Attac Italia propone. La nostra associazione è totalmente autofinanziata e si basa sulle energie volontarie delle attiviste e degli attivisti. Puoi sostenerci aderendo online e cliccando qui . Un tuo click ci permetterà di continuare la nostra attività. Grazie"