di Marco Bersani
Che il debito pubblico sia una trappola ideologica è dimostrato dalle politiche messe in atto in questi anni in riferimento ai Comuni e alle città.
Nonostante il contributo dei Comuni al debito pubblico nazionale non superi l’1,8%, è su di essi che sono state scaricate le politiche di austerità, basate su vincoli finanziari, patto di stabilità e pareggio di bilancio, con l’annunciato obiettivo di ottenere una consistente riduzione del debito stesso.
Bastano alcune cifre per smascherarne l’artificiosità: tra tagli ai trasferimenti, spending review e tagli alla spesa, il contributo chiesto ai Comuni è passato da 1,6 mld di euro nel 2009 a 16,6 mld di euro nel 2015. E, se nel periodo 2010-2016, i Comuni hanno aumentato la loro imposizione fiscale sui cittadini di 7,8 mld, si ritrovano comunque nel 2016 con 5,8 mld in meno delle risorse di cui potevano disporre nel 2010.
Tagli draconiani che, pur avendo inciso pesantemente sui servizi offerti ai cittadini, mettendo seriamente a rischio la stessa funzione pubblica e sociale degli enti locali, non hanno per nulla scalfito l’ammontare del debito pubblico nazionale, che continua a veleggiare introno ai 2.250 mld, facendo del nostro Paese il quinto per indebitamento assoluto e il terzo per indebitamento relativo sul pianeta.
Di fatto, le politiche di strangolamento degli enti locali rispondono ad un unico scopo: costringere i sindaci e le amministrazioni comunali, volenti o nolenti (sempre più spesso volenti), a mettere a disposizione dei grandi interessi finanziari i beni comuni delle collettività locali: territorio, patrimonio pubblico e servizi pubblici locali.
Una ricchezza sociale valutata in uno studio della Deutsche Bank del dicembre 2011 pari a 570 miliardi di euro.
Un insieme di politiche draconiane, che oggi iniziano a provocare effetti concreti: a fine 2016, sono 67 i Comuni in deficit strutturale, 151 quelli in pre-dissesto (fra i quali Napoli e Catania) e 107 quelli in dissesto finanziario.
Sono queste le ragioni concrete che hanno spinto molti comitati locali ad assumere la questione dell’audit indipendente sul debito locale, come elemento sostanziale nella lotta per un altro modello di città.
Si tratta di smettere di accettare il quadro delle risorse dato come oggettivo e indiscutibile e di contrastare il mantra “Ci sono i debiti e il patto di stabilità” opposto ad ogni minima rivendicazione sociale, per porre dentro il terreno del conflitto la necessità di una riappropriazione sociale della ricchezza collettiva prodotta.
Porre la questione dell’audit sul debito locale, significa permettere una socializzazione delle informazioni e delle conoscenze sulla finanza locale, sulla legittimità dei debiti e sulla sostenibilità per l’interesse generale di utilizzi consolidati della spesa.
In una parola, significa “riprendersi il Comune” e mettere il “comune” al di sopra degli interessi individuali, familistici o di clan, per aprire una nuova stagione di riappropriazione della democrazia.
E’ in base a queste riflessioni che in decine di realtà – tra loro Torino, Roma, Napoli, Genova, Parma, Grosseto, Taranto – sono stati avviati percorsi di audit sul debito pubblico locale.Una prima seminagione territoriale che ha trovato una sua convergenza il 25 novembre scorso a Parma, con un’assemblea nazionale ricca e partecipata, dentro la quale è nata la Rete dei comitati per l’audit sul debito locale, come articolazione diffusa della rimessa in discussione del debito promossa da Cadtm Italia (Comitato per l’annullamento dei debiti illegittimi).
La Rete si è data un prossimo appuntamento nazionale ad aprile 2018 a Napoli, proprio la città nella quale il confronto dialettico fra movimenti e amministrazione comunale sta portando alla nascita di una Commissione di audit indipendente ma istituzionalmente riconosciuta.
Nel frattempo, grazie ad un percorso di discussione partecipativa è stata approvata la Carta dei comitati per l’audit sul debito locale, sorta di “carta costituente” del processo in corso ed è stato prodotto il kit per l’audit sul debito locale, una vera e propria “cassetta degli attrezzi” per chiunque voglia intraprendere il percorso senza farsi intimorire da un’economia, finora propagandata come “econo-loro”, ovvero territorio riservato agli addetti ai lavori stabiliti dai poteri dominanti.
Con la nascita della Rete, per la prima volta l’iniziativa dei movimenti diviene a tutto campo: non più solo vertenze che rivendicano, spesso inutilmente, una risposta delle istituzioni, bensì una messa in discussione del quadro complessivo per agire da subito un altro modello di città e di territorio.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 32 di Gennaio-Febbraio 2018: “Debito globale: come uscirne?“