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di Antonio De Lellis
Cosa si sta muovendo dentro la chiesa cattolica sul tema del debito? Molto, per chi come me dall’interno cerca di far conoscere in ogni modo la realtà di profonda ingiustizia globale che si nasconde dietro il debito.
Il convegno internazionale svoltosi a Pescara il 27 gennaio 2018 ed organizzato da Cadtm e Arcidiocesi di Pescara-Penne, rappresenta un punto importante di un processo di alleanze tra movimenti sociali e cristiani. Una giornata censurata da tutti i media locali e nazionali e con la sola copertura, però totale, da parte della più importante agenzia cattolica Sir.
Ma la chiesa ha una parola chiara su questo tema? Più che chiara. La disattesa quanto sconosciuta dottrina sociale, ovvero il Vangelo sociale, scrive sul tema avendo come osservatorio molte parti del pianeta e non esita ad utilizzare parole importanti che senza dubbio snidano le ambiguità e pongono la questione etica fondamentale: la vita viene prima del debito! In tutte le situazioni in cui pagare un debito mette a repentaglio la vita e la dignità della persona o di un popolo, espropriandola di diritti fondamentali ed inalienabili, vige la supremazia della inviolabilità dell’umanità su una pur necessaria convenzione umana. In questi casi il debito ha una sua intrinseca natura illegittima. Esso è uno “strumento di controllo dei popoli”, “un flagello” che storicamente l’umanità ha affrontato più volte.
Non tutto quello che si muove dentro la chiesa, però è positivo. Il vento contrario, all’interno della chiesa e non solo, è causato dall’aver interiorizzato, senza accorgersene, i principi del capitalismo finanziario, globalizzato e deregolato: si pensa che il sistema possa essere umanizzato senza metterne in discussione i fondamenti.
In realtà quello che emerge è che questo sistema di dominazione, così come molti altri nella storia, utilizza l’arma del debito contro l’umanità, affondando il colpo consapevole di aver terminato le possibilità di una riuscita autonoma, creativa e in fin dei conti positiva. Dall’autocoscienza collettiva degli anni settanta si è passati all’età del rancore e della nostalgia, passando per una verticalizzazione e personalizzazione del potere che oggi raggiunge il suo apice: “Ognuno per sé e Francoforte per tutti”. Una moltitudine egoista affidata a un mercato turbolento e sregolato, affidando la tenuta dell’ordine minimale a vertici e/o circuiti finanziari ristretti e non sempre trasparenti. Le masse lasciate a dipendere da un quasi ideologico primato del mercato e dall’altra la verticalizzazione finanziaria con specifici linguaggi, spesso accettati passivamente anche da coloro che esprimono indignazione invocando una “Sacra Insolvenza” contro la “Suprema Necessità” del ripianamento del debito (1).
Si potrebbe dire che mentre le parti sociali, compreso la chiesa, cadevano nella trappola dell’antagonismo, la finanza ha gestito indisturbata il controllo globale. La chiesa italiana, che, in minima parte, attendeva l’arrivo di un pastore come Francesco, ha investito sulla profezia e sta vivendo una nuova fase: quella della messa in atto di una metamorfosi. Oggi i nuovi vertici vengono scelti, per lo più, con altri criteri e soprattutto si sono create le condizioni per sprigionare una rinnovata capacità di ascoltarsi e di farsi ascoltare. Ed è in questo contesto che è stato possibile almeno parlare di questo fondamentale e disatteso tema del debito, non con riferimento a quello di paesi lontani, come nel Giubileo del 2000, ma vicini e soprattutto apprendere con grande meraviglia che la narrazione dominante aveva nascosto una cosa fondamentale: il “sacrificio”, tipico concetto cristiano e profuso a più mani dalle politiche di austerity, non è più liberante, ma genera ulteriore ed insopportabile oppressione.
Sono testimone diretto di incontri, dialoghi, contatti, anche intensi, ad-extra e ad-intra della chiesa, possibili anche per via di un nuovo spirito dei tempi che unisce, forgia, salda idee e prassi prima frammentate. Ed è così che alcuni membri della Cei, la Santa Sede, accademici illuminati, presuli coraggiosi, sacerdoti da tempo in attesa, movimenti sociali ed ecclesiali, pionieri del dialogo antiliberista, provano a mettere in campo strategie possibili a livello locale, nazionale, europeo ed internazionale per possibili percorsi di liberazione dalla logica del debito.
Certamente è difficile dare un giudizio esaustivo di una realtà in movimento come la chiesa, ma essa potrebbe essere racchiusa in questo momento storico con una immagine: quella di un “travaso”. Esso prevede una fuoriuscita dei “farisei” ed una entrata dei “pubblicani” e delle “prostitute”, una messa in pratica dell’espressione famosa di Gesù: “I pubblicani e le prostitute vi precederanno nel regno di Dio”. Più concretamente Francesco sta gettando le premesse per una “democrazia ad alta intensità”, popolare, inclusiva, solidale e dal basso che già aveva definito da cardinale e che ha visto nel dialogo con i movimenti popolari il suo punto più avanzato.
Il debito è il centro di questo sistema che svuota anche qualunque forma di democrazia reale e partecipazione collettiva. Pochi, all’interno di un sistema che crea forti diseguaglianze e povertà, si rendono conto che la stessa povertà è stata associata ben presto a quella dei migranti, cittadini del mondo a cui è negato un posto, e prendendo spunto, al contrario, dal famoso brano evangelico la si vuole scacciare con essi, come il demonio con i porci verso il precipizio. In realtà stare dentro la chiesa di base, in questo periodo storico, richiede una grande pazienza. A volte si cita Francesco senza avere la volontà di mettere in pratica le sue parole, ma laddove questo viene attuato si realizzano inedite alleanze che generano percorsi virtuosi che riannodano fili sociali di una rete senza la quale la società non potrà reagire.
Ecco allora che viene in soccorso la questione collante del debito la cui contro-narrazione non può essere sottaciuta e per la quale vorremmo esplodesse un senso collettivo e di appartenenza insperato e quanto mai necessario. Siamo in una nuova fase, quella delle “convergenze collettive” che richiede un’etica condivisa, basata su una solidarietà prima di tutto culturale e nuove strutture di forza uguale e contraria, radicate nel superamento dell’ideologia del capitalismo finanziario.
(1) Vedere anche Rapporto annuale su l’Italia – Censis 2011
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 32 di Gennaio-Febbraio 2018: “Debito globale: come uscirne?“