foto SIR/Marco Calvarese
di Cristina Quintavalla
Le politiche legate al debito sono parte integrante della governance europea.
Le politiche di austerità e i vincoli di finanza pubblica che gli stati membri dell’UE si sono impegnati a rispettare con l’ingresso nell’Unione monetaria e con trattati fondati su regole e meccanismi contabili rigidi, costituiscono una camicia di forza insostenibile.
Il Patto di stabilità e crescita non riguarda solo gli stati nazionali, ma coinvolge tutto il sistema delle autonomie locali, che devono partecipare alla realizzazione dei complessi equilibri di finanza pubblica in armonizzazione con le politiche economiche e monetarie europee, obbligandole all’adozione di politiche di aggiustamento del bilancio pubblico con oneri rilevanti per la finanza pubblica regionale e delle amministrazioni locali.
In Italia il rispetto di questi vincoli è stato trasferito sugli enti locali attraverso tre strumenti:
– taglio dei trasferimenti dallo Stato agli Enti territoriali di 30,6 mld dal 2009 al 2015 e riduzione della quota del Fondo per le politiche sociali dal 2008 del 58%
– patto di stabilità interno che obbliga gli Enti territoriali non solo al pareggio di bilancio, ma all’accantonamento ogni anno di somme rilevanti (5 mld), determinando un blocco degli investimenti sui territori di oltre il 25-30%, con deterioramento del patrimonio pubblico
– spending review con imposizione di vincoli di spesa che non tengono in alcuna considerazione le esigenze della comunità.
Il debito pubblico nazionale è imputabile all’amministrazione centrale dello Stato per oltre il 94%, mentre i comuni ne sono responsabili per circa il 2,5%: eppure gli Enti Localicontribuiscono per il 95% al risanamento dei conti pubblici. Con quali effetti?
I Comuni sono costretti a reperire risorse aggiuntive per recuperare i tagli dei trasferimenti con maggiori carichi fiscali, a carico dei cittadini. Infatti i tributi che hanno subito più rincari sono quelli locali:
– addizionale comunale Irpef + 48,5%;
– addizionale regionale Irpef + 31,7%
– tributi su immobili IMU, TASI aumentati del 91,6 % dal 2008
Aumenti odiosi se raffrontati con gli sgravi contributivi alle imprese:
– riduzione Irap su componente lavoro – 44,3%
– riduzione Ires -35,2
che si sommano ai precedenti sgravi di circa 20 mld, che non hanno determinato aumento dell’occupazione, ma dei contratti precari, sottoretribuiti, senza diritti.
L’obiettivo è chiaro: favorire la rivalorizzare dell’enorme flusso di capitali circolanti attraverso nuove forme di investimenti, sottraendo i costi della riproduzione sociale alle responsabilità delle classi dirigenti per scaricarli sui singoli individui che provvedono a pagarsi servizi e prestazioni, offerti dai potenti gruppi economici in cerca di più alti tassi di rendita.
Infatti siamo in presenza di un processo di irreversibile abbandono di politiche pubbliche da parte delle istituzioni, anche locali, e della loro trasformazione in enti funzionali a trasferire, usando il debito, beni, risorse, servizi dai bilanci pubblici a imprese, banche e finanza.
Basti pensare al progressivo abbandono da parte degli Enti Locali delle politiche di welfare, a partire dalle forme di privatizzazione della sanità.
UNIPOL, Lega delle Cooperative, fondi di investimento si stanno gettando a capofitto a livello nazionale nel proporre forme di assicurazione private che garantiscono prestazioni sanitarie proporzionali al premio assicurativo pagato. Così finisce il carattere universalistico e solidaristico della sanità pubblica.
In questo contesto la monetizzazione nei contratti aziendali dei diritti sociali rappresenta un colpo mortale al welfare pubblico, poiché la concessione di voucher, da spendere presso privati o terzo settore istituisce forme di welfare integrativo o alternativo privato, che differenzia le persone in base alla loro capacità economica.
La finanziarizzazione del welfare attraverso la cosiddetta “sinergia pubblico-privato” è uno dei modi di porre le basi per la privatizzazione di un bene comune: a Parma è stato appena istituito “il welfare finanziario”, sotto la regia di una Fondazione bancaria, che detta tempi e modi del confronto; gli accordi sociali si sottoscrivono nella sede della fondazione bancaria e investono il terzo settore, che supplisce l’ente pubblico.
Anche le politiche di alienazioni e privatizzazioni ad opera degli Enti Locali per effetto dell’azione congiunta di Sblocca Italia, legge Madia, leggi di stabilità vanno nella stessa direzione.
Basti pensare all’obbligo di riduzione delle società partecipate dalle attuali 8000 a 1000, con ripianamento del debito, realizzabile attraverso cessioni di patrimonio, azioni, servizi pubblici; al limite posto all’affidamento pubblico (in house), con obbligo di accantonamento della somma a eventuale copertura; all’invito agli Enti Locali a collocare sul mercato finanziario le loro quote in società a partecipazione pubblica, sottraendo gli introiti alla tenaglia del patto di stabilità; alla disposizione dell’ ultima finanziaria 2018, che consente agli enti locali che privatizzano beni comuni di utilizzare i proventi per il pagamento dei loro debiti; alla possibilità che finanziamenti pubblici possano andare anche ai gestori privati; al ruolo di Cassa Depositi e Prestiti nel sostegno alle multiutility e nel finanziamento delle loro operazioni, ma anche nell’accompagnare gli enti pubblici alla dismissione del patrimonio pubblico; alle cessioni da parte dei comuni dei pacchetti azionari detenuti nelle multiutility alle banche, per pagare debiti e interessi, sino alla perdita dei pacchetti di maggioranza e dunque del controllo sulle scelte e le politiche tariffarie.
Il risultato è comunque grave: 270 comuni versano in pre-dissesto; altri in sofferenza, con grave indebitamento: Torino con 4,3 mld di debito, in larga parte in mano a Banca Intesa San Paolo e F2i; Roma, con debito in mano a banche e Cassa Depositi e Prestiti (debito rinegoziato con le banche per rassicurare le banche stesse, come accaduto a Parma da parte della giunta Pizzarotti); Napoli in pre-dissesto, con un debito aggravato da derivati acquistati dalle precedenti amministrazioni comunali.
Nella formazione del debito hanno un ruolo centrale la speculazione edilizia (espansione dei centri commerciali, costruzione di migliaia di alloggi vuoti, grandi opere (oggi 100 mld di denaro pubblico drenati) e la deregulation urbanistica, che consegnano i territori e le città alla rendita immobiliare e alla finanza fondata sul cemento.
Con le nuove leggi urbanistiche approvate (quella della Regione Emilia-Romagna, che sta fungendo da apripista) o in cantiere, sparisce il ruolo di pianificazione della città pubblica da parte dei comuni, sostituito dalla contrattazione pubblico-privata, su proposta dei privati. Via libera a densità edilizie, altezza degli edifici, distanze tra essi, non più soggetti a vincoli normativi.
E’ il trionfo del neoliberismo: in sinergia con lo Sblocca Italia, voluto dal governo Renzi per assicurare la privatizzazione del territorio, dei beni comuni, consegnati alla grande finanza speculativa, alle società immobiliari quotate in borsa, tutto è conferito all’iniziativa dei costruttori, che vengono sostenuti dagli enti territoriali a rendere economicamente convenienti tali operazioni, attraverso la diretta negoziazione della disciplina urbanistica.
Siamo di fronte ad un attacco frontale al ruolo dei Comuni, esautorati dalle loro funzioni e resi eteronomi rispetto alle esigenze degli interessi privati più forti. Non avranno la capacità di ridurre la rendita parassitaria, nè di fermare o limitare la speculazione, la privatizzazione del territorio e del patrimonio storico monumentale, consegnato alle strutture mercantilistico-consumistiche della città del potere, della finanza.
Risulta evidente che la criticità della situazione finanziaria si traduce in un rapporto sempre più stretto tra potere economico e poteri pubblici, subordinati sempre più alle lobby, che invadono senza limiti la sfera politica.
E’ questa la ragione per cui Lazzarato sostiene che in un’ epoca in cui il debito pubblico ed il debito privato sono a pieno titolo ascrivibili a forme di valorizzazione del capitale finanziario, la variante odierna della lotta di classe risieda in quella tra creditori e debitori, nella forma della lotta tra indebitati e detentori di capitali.
Il debito è una importantissima forma di estrazione del capitale. Occorre rimettere al centro l’analisi delle strette relazioni intercorrenti tra il profitto estratto dal lavoro -anche nelle attuali forme precarie, sottopagate e delegittimate- e il valore estratto dalla rendita parassitaria e dalla speculazione finanziaria. Ad essere violentemente colpito sono infatti sia il salario diretto che il salario indiretto.
Il debito pubblico è alimentato da scelte di politica economica che riguardano oggi il crescente disimpegno degli stati in politiche di welfare e il sostegno esplicito ai processi di finanziarizzazione e accumulazione.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 32 di Gennaio-Febbraio 2018: “Debito globale: come uscirne?“