Tutto comincia a Vicenza.
Dove una comunità in lotta rompe le righe e chiede ascolto.
Certo, c’era già stata la Val di Susa, ma si sa, là sono montanari, partigiani e anche un po’ comunisti.
Che c’azzecca Vicenza, pianura padana, stregata dal mito del nord est, democristiana da sempre e poi un po’ forzitaliota, un po’ leghista e un po’ margheritina?
E invece Vicenza diventa una comunità resistente, in lotta, determinata.
Proviamo a metterla in riga, ha pensato qualcuno molto in alto, ed è partito l’editto di Bucarest.
Non l’avesse mai fatto!
Immediatamente, tutti i movimenti italiani diventano Vicenza e ripropongono l’irrisolto del governo dell’Unione : chi decide l’interesse generale? Basta un plebiscito alle primarie e una vittoria alle elezioni per pensare di disporre di una delega in bianco su ogni decisione?
Sale la fibrillazione, perché è in arrivo a Vicenza, nella bianca Vicenza, la più grande mobilitazione da qualche anno a questa parte.
Qualcuno prova a fermarla con strumenti desueti : arriva la violenza, è rinato il terrorismo, che ne dite di stare a casa?
L’effetto è la moltiplicazione della partecipazione.
Ed è Vicenza.
Sabato 17 febbraio.
Duecentomila manifestanti.
Allegri, pacifici, determinati.
Portatori di una preoccupante novità : in piazza non c’ solo il popolo della sinistra radicale, come contro la precarietà il 4 novembre scorso; in piazza c’è il popolo dell’Unione, i cui rappresentanti locali si sono autosospesi dai rispettivi partiti.
Ed è la prima manifestazione dalle elezioni politiche del 2005 che non sollecita, non propone, non preme : dice invece a chiare lettere che così non va, si sta rompendo una connessione sentimentale, se non c’è ascolto e partecipazione noi ci mobilitiamo.
La preoccupazione nell’agone politico sale alle stelle.
Che fare? Cinque anni così non li reggiamo…
Ed ecco che spunta “Baffino”.
Uno che ne ha sbagliate molte, ma a cui il coraggio non è mai mancato.
Si appresta un dibattito parlamentare sulla politica estera del governo dell’Unione.
Perché non approfittarne?
Proviamo a farlo diventare una questione di vita o di morte, ha pensato.
Proviamo ad approfondire le contraddizioni, ha deciso.
Ed ecco allora le dichiarazioni “Se non passa il documento del Governo si va a casa”.
Ed ecco allora Parisi dire che su Vicenza non si può glissare.
Ed ecco il Presidente della Repubblica -poteva mancare?- dichiarare “I movimenti non sono il sale della politica” (cazzo, neanche il sale? ndr).
Ed ecco ancora “il nostro” rifiutare espressamente in Parlamento i voti della destra.
Una recitazione perfetta.
E ottimi grandi co-protagonisti : Francesco Cossiga, nel ruolo del Capo del Dipartimento di Stato Usa; Giulio Andreotti, nel ruolo di Papa Ratzinger, e Sergio Pininfarina, nel ruolo di se stesso.
Un risultato eccezionale : governo battuto, bisogna rimettere il mandato.
Scatta il secondo tempo.
Ben due senatori della sinistra radicale non hanno partecipato al voto. Ininfluenti secondo la matematica, ma la matematica, si sa, è un’opinione.
Perché non addossare alla sinistra radicale la responsabilità del tutto?
Sapendo che la sinistra radicale, anche se non sa perché, ha sempre qualcosa da dimostrare, da farsi perdonare, da superare?
E sono dichiarazioni, lettere, articoli, pianti al telefono, i più realisti del re anche un cazzotto..
Il terreno è pronto.
Il re può tornare a governare.
Non prima di aver chiarito che comanderà lui.
Non prima di aver detto su cosa comanderà.
Sulle richieste dei movimenti.
Senza possibilità di fiatare.
Come un sol uomo.
Una donna, sarebbe stato impossibile.
“Chapeau”, mr. Baffino!