di: Matteo Bortolon
Mentre in Italia si consuma il bizzarro capovolgimento di alleanze che pare destinato a evitare le elezioni, in Ue ha luogo il toto-nomine che porterà alla nuova Commissione europea.
Entro agosto tutti i governi hanno inviato i nomi dei loro candidati, meno il Regno Unito (che dovrebbe uscire) e… l’Italia (in piena crisi di governo). La nomina ufficiale avrà luogo dopo l’esame del Parlamento europeo, ma visto che pochissimi sono stati respinti (solo quattro; il primo in assoluto Rocco Buttiglione nel 2004), si può in certa misura ritenere il quadro abbastanza assodato.
I soli ruoli certi sono quelli della presidenza della Commissione europea, andato alla tedesca Ursula von der Leyen, e di Alto rappresentante per la politica estera allo spagnolo Borrell. Tali nomine sono frutto del compromesso nel complesso negoziato per tali posti con le poltrone di Governatore della BCE (che andrà alla francese Lagarde), e presidente del Consiglio europeo .
Il “manuale Cencelli” in salsa europea è molto complesso; non solo si tratta di bilanciare per le poltrone il peso dei partiti come ai tempi della DC, ma di valutare le famiglie politiche (soprattutto il partito popolare di destra europeista, ed i socialdemocratici, progressisti di establishment), ma il peso degli Stati più forti – in primis Francia e Germania.
Facendo un primo conto provvisorio la composizione politica della Commissione, stante il fatto che abbiamo una tedesca conservatrice sul seggio più importante e due vicepresidenti di alto rango uno socialdemocratico (l’olandese Timmermans) e uno liberale (la danese Vestager) come compensazione, si presenta così: 10 commissari conservatori, 8 socialdemocratici, 5 liberali, 1 indipendente di area liberale, 1 verde, 1 di destra nazionalista (polacco). Di essi 7 erano già alla Commissione. Scorrendo i vari curricula colpisce una discreta presenza di ex ministri delle finanze: ben 9.
Alcuni nomi sono degni di segnalazione. Si conferma il lettone Valdis Dombrovskis (EPP) ex commissario per l’euro, il dialogo sociale, stabilità finanziaria, servizi finanziari e unione del mercato dei capitali. Noto in Italia per aver rimbrottato il governo gialloverde a dicembre per lo sforamento dei parametri economici, è un falco del rigore, con lo zelo dei neofiti del capitalismo dell’est europeo. Nella audizione per diventare membro della Commissione Juncker si vantò di aver tratto il suo paese fuori dalla crisi a suon di riforme strutturali e rigore finanziario. L’euro? Totem intoccabile.
Altro personaggio assai promettente è Jutta Urpilainen, ex premier ed ex ministro delle Finanze finlandese (esattamente come il superfalco Katainen, ed infatti era nel suo governo), rimane alle cronache la sua affermazione che pur di non pagare i debiti di altri paesi europei avrebbe voluto lasciare l’eurozona.
Sicuramente con pochi confronti sono i candidati di Portogallo e Francia. Per il primo abbiamo Elisa Ferreira: già europarlamentare, lavora sui dossier sulla Procedura per Squilibri Macroeconomici, sui lavori parlamentari sul Meccanismo unico di risoluzione (ramo dell’Unione bancaria); nel 2016 lascia l’europarlamento per la Banca centrale Portoghese. Così il socialista Costa piazza un esponente del milieu bancario alla Commissione.
Per la Francia ci pensa Macron ad un nome di peso: Sylvie Goulard, ex ministro della Difesa passata al board della Banca di Francia. Nota in Italia per essere stata consigliere speciale di Romano Prodi quando era a capo della Commissione, ha seguito i lavori della Convenzione europea (con gli splendidi risultati che sappiamo: la “Costituzione europea”, un testo mostruosamente ampio e tecnico ma non abbastanza da non far scorgere il neoliberismo inseritovi, tanto da essere bocciato nei referenda francese ed olandese) ed ha scritto un libro con Mario Monti mentre egli era presidente del consiglio dei Ministri, “La democrazia in Europa”.
Si sarà notata l’assenza dei sovranisti di destra, che secondo Salvini dovevano rivoltare tutta la baracca. In realtà uno c’è, l’ultimo dei Mohicani: un polacco – il candidato ungherese, invece (il ministro della giustizia di Orbàn…) fa riferimento ai conservatori del PPE. Il povero Janusz Wojciechowski (così si chiama) dovrebbe ribaltare tutto da solo. Ma forse non l’hanno mandato nel posto giusto: era stato nominato membro della Corte dei Conti europea, che si fregia di essere “Guardians of the EU finances”, e che nella estate 2018 ha addirittura stigmatizzato la Commissione per non aver fatto rispettare più duramente il Patto di Stabilità (sic!). Proprio il posto per un populista antisistema. E adesso chi glielo spiega ai leghisti?
Pubblicato su Il Manifesto del 31.8.2019