Cassa depositi e prestiti: uno strumento per rafforzare welfare e democrazia?

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di Livio Martini
(Vicesindaco di Corchiano – Associazione dei Comuni Virtuosi)

Negli ultimi anni la Cassa depositi e prestiti si è ritrovata ad essere un efficace e straordinario strumento per orientare la finanza pubblica locale e per attuare scelte di politica economica e industriale che contrastano sia con la sua funzione originaria, sia con i principi espressi dalla nostra Costituzione repubblicana. Non solo. Anche con gli obiettivi previsti dai Trattati istitutivi dell’Unione e della Comunità Europea: progresso economico e sociale, elevati livelli di occupazione, tutela dell’ambiente, sviluppo sostenibile, coesione sociale e territoriale, garanzia dei diritti civili, sociali e del lavoro, rafforzamento del welfare e riduzione delle diseguaglianze. La Cdp, che adempie alle funzioni di una grande banca di Stato pur non avendo una sua circolazione fiduciaria, è stata creata con legge 1270/1863 e incorporata presso la Direzione generale del debito pubblico alle dipendenze del Ministero delle finanze.

Richiamandosi in parte alla Cassa francese dei depositi e delle consegne giudiziarie, la nostra Cdp sin dalla nascita si è occupata della raccolta del piccolo risparmio tramite le casse di risparmio postale e le rimesse degli emigrati. Inoltre, ha garantito i depositi volontari e quelli giudiziari, investendo i risparmi nei titoli di Stato e mutui al fine di finanziare opere pubbliche in favore degli Enti locali. Successivamente, nel 1898, dopo essere stata eretta in Direzione generale autonoma con il regio decreto 161, si è specializzata nella gestione autonoma del credito comunale e provinciale, e nella emissione di cartelle speciali per la riduzione del debito delle finanze locali. Da queste premesse, la Cdp ha ricoperto un ruolo fondamentale nello sviluppo del paese in termini di opere pubbliche, di erogazione dei servizi pubblici essenziali alle comunità locali, soprattutto a quelle più fragili delle aree interne e più remote, e di promozione del benessere sociale. E questo è avvenuto in particolare negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Invece, nel primo decennio del 2000 il legislatore ha mutato la struttura e la funzione della Cassa, che, con il decreto legge 269/2003, è stata trasformata in società per azioni. Un soggetto di diritto privato, quindi, detenuto inizialmente al 70% dallo Stato tramite il Ministero dell’economia e al 30% dalle fondazioni bancarie. Tuttavia, gli elementi di natura privatistica, come il consiglio di amministrazione, l’assemblea dei soci e il collegio sindacale, si trovano a convivere con quelli di natura pubblicistica, come il controllo azionario pubblico, il bilancio sottoposto al controllo della Corte dei conti e i poteri di indirizzo del ministero. Infatti, viene definita una Spa di diritto speciale. Pertanto, quella che un tempo era conosciuta come “banca dello Stato” o “banca degli Enti locali”, nasce con il precipuo compito di raccogliere il risparmio postale dei cittadini, e di tutelarlo attraverso un basso tasso di interesse garantito dallo Stato, per finanziare a tassi calmierati gli investimenti degli Enti pubblici, in particolare, locali. Prima della sua trasformazione da ente di diritto pubblico in Spa, avvenuta nel 2003, aveva una duplice funzione: pubblica e sociale. In ottemperanza all’art. 47 della Costituzione, che incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme e ne promuove la destinazione ai fini dell’interesse generale, la Cdp era rimasta fuori da qualsiasi logica di mercato, in netta contrapposizione alla speculazione finanziaria. Con il passaggio alla società di diritto privato e con l’ingresso delle fondazioni bancarie nel capitale sociale, l’istituto statale di credito perde la sua funzione pubblicistica provvedendo soprattutto a generare dividendi da destinare agli azionisti attraverso sostegni agli interessi privati: grandi opere autostradali, interventi nelle partecipazioni azionarie di società, progetti di social housing, joint-venture con fondi sovrani, interventi a favore delle piccole e medie imprese, operazioni tese a garantire fusioni e aggregazioni delle multiutility nel campo dei servizi pubblici locali. Nonostante le pericolose commistioni fra pubblico e privato, la Cdp ha continuato a finanziare gli investimenti degli Enti locali. Solo che lo ha fatto a tassi di mercato, al pari di qualsiasi altra banca. Questo ha consentito agli istituti di credito di entrare nel mondo, inaccessibile fino a pochi anni fa, della pubblica amministrazione. Ora, considerata l’attuale fase di profonda crisi in cui versa la finanza locale, i Comuni si trovano o potrebbero trovarsi costretti a mettere in gioco le risorse di cui dispongono: territorio, patrimonio pubblico, servizi pubblici locali, economia territoriale. In particolare, la Cdp, o meglio il governo attraverso di essa, con il Fondo di valorizzazione degli immobili, il Fondo strategico italiano e il Fondo investimenti per le infrastrutture, propone al complesso e delicato mondo degli Enti locali la dismissione del patrimonio pubblico, la (s)vendita delle terre demaniali, di essere collaborativi nella realizzazione di grandi infrastrutture sui propri territori e la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali con rilevanza economica. Tutto ciò quando invece occorrerebbero investimenti finalizzati a promuovere un nuovo modello di economia sociale territoriale per rilanciare il paese, rafforzandone, insieme, il tessuto democratico. Di certo, le cosiddette grandi opere mostrano tutta la loro insostenibilità economica e ambientale. Il paese in realtà avrebbe bisogno di una vera programmazione nel segno delle “piccole grandi” opere: manutenzione e tutela idrogeologica del territorio, messa in sicurezza del patrimonio pubblico e degli edifici scolastici, realizzazione di opere pubbliche finalizzate al miglioramento dei servizi offerti ai cittadini, garanzia del diritto all’abitare attraverso progetti di manutenzione straordinaria del patrimonio abitativo pubblico esistente e di recupero e riutilizzo di edifici dismessi o abbandonati. E ancora, di poter finanziare il welfare consentendo e garantendo la riappropriazione sociale dei beni comuni e la ripubblicizzazione dei servizi locali, a partire da quello, dirimente, dell’acqua. Inoltre, gli investimenti pubblici dovrebbero sostenere anche il Terzo settore ovvero il privato sociale, l’impresa e il mondo della produzione locale. Tutto questo ha un nome: riconversione ecologica dell’economia. I Comuni e le comunità locali sono ad esempio fra i maggiori fautori dell’innovazione sociale e della riconversione, che peraltro sta creando già buona occupazione. Occorrono però, come sostenuto in precedenza, forti investimenti. Senza di essi non sarebbe infatti pensabile nel campo della gestione dei rifiuti solidi urbani creare una efficace e capillare industria del riciclo, del recupero e del riuso dei materiali. Per non parlare dei processi di riconversione energetica degli edifici e degli impianti, finalizzati al risparmio energetico e alla diffusione dell’autoproduzione di energia pulita e rinnovabile. E ancora, della promozione di un nuovo modello per la mobilità sostenibile e del trasporto pubblico locale. La proposta di cambiamento, dunque, non può che provenire dalle comunità insediate, espressione plastica dei luoghi di democrazia di prossimità. Comunità responsabili che desiderano o, come sarebbe più opportuno dire, vogliono essere protagoniste nella scelta degli indirizzi generali di governo. Proprio dalle comunità e dai territori deve partire una seria proposta di finanza pubblica e sociale, non disgiunta da una forte critica ai processi di privatizzazione in corso nei servizi pubblici. Il cambiamento, quello vero, non declamato, basato sulle buone pratiche e sulle proposte condivise e partecipate, può solo venire dal basso attraverso una paziente collaborazione fra amministratori, cittadini e portatori di intessere collettivo. Non esiste sviluppo, civile e materiale, se non quello pensato e attuato a livello locale, comunitario. Che il governo nazionale lo tenga ben presente.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia di Maggio 2015 “Vantiamo solo crediti”, scaricabile qui.

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