Cassa Depositi e Prestiti al servizio delle grandi opere

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di Marco Bersani

Quando si dichiara che il Paese affronta una drammatica crisi economica e sociale si dice solo una parte della verità: quella che riguarda la condizione della grande maggioranza della popolazione. Perché i profitti delle grandi multinazionali continuano a viaggiare a due cifre e perché la ormai mitica “uscita” dalla crisi continua a poggiare su un’idea di sviluppo tutta incentrata sull’espansione della sfera d’influenza dei grandi interessi finanziari sulla società. Il ruolo principe in questo processo lo svolge Cassa Depositi e Prestiti, l’ente che raccoglie il risparmio postale dei cittadini (240 miliardi di euro!) e che, per oltre 150 anni, aveva l’unico scopo di convogliare questa mole di denaro nel finanziamento a tasso agevolato dei piccoli investimenti degli enti locali. Da dieci anni a questa parte, il ruolo di Cdp è invece profondamente mutato: trasformata in SpA nel 2003, con l’ingresso nel suo capitale sociale delle fondazioni bancarie (18,4%), Cassa Depositi e Prestiti ha ormai assunto stabilmente il ruolo di garante del sistema economico italiano, una sorta di tutore in grado di intervenire attivamente e a tutto campo nell’economia del Paese, attraverso prestiti, acquisizioni e finanziamenti. E se il compito prioritario di Cdp sino ad allora era stato “la concessione di finanziamenti relativi alle opere, gli impianti, le reti e le dotazioni destinati alla fornitura dei servizi pubblici, effettuate esclusivamente attraverso investitori istituzionali”, con l’art. 22 del D. L. n. 185/2008, convertito in Legge n. 2/2009, il legislatore ha stabilito che il risparmio postale possa essere utilizzato “per ogni operazione di interesse pubblico, prevista dallo statuto sociale, nei confronti dei soggetti ammessi al credito della Gestione Separata o da essi promossa, tenendo conto della sostenibilità economico-finanziaria di ciascuna operazione posta in essere e del merito di credito dei soggetti proponenti”. Il passaggio è fondamentale, poiché estende la specificità dei finanziamenti di Cdp dagli investimenti degli enti locali agli investimenti fatti da società private, purché siano di “interesse pubblico”. Si è aperta così la strada per l’intervento di Cassa Depositi e Prestiti sulle grandi opere. Le linee guida del Piano Industriale di Cdp per il triennio 2013-2015 possono così annunciare che “9 miliardi di euro saranno destinati alla progettazione, avvio e finanziamento di opere infrastrutturali”. E aggiungere che “sarà rafforzato il ruolo di Cdp nelle promozione attiva della bancabilità delle grandi opere, anche attraverso offerta di credito e investimenti in capitale di rischio”, nonché concludere: “ si darà inoltre impulso alla realizzazione di grandi opere con finanziamenti e con investimenti diretti in capitale di rischio attraverso FSI (Fondo Strategico Italiano, interamente controllato da Cdp), che già ha realizzato importanti interventi ai fini del consolidamento del settore delle public utilities e dello sviluppo delle infrastrutture digitali”. I grandi piani infrastrutturali, meglio conosciuti come grandi piani di devastazione territoriale, hanno di conseguenza trovato il loro carburante. Di fatto, e al netto di ogni altra considerazione, il piano industriale di Cdp è la risposta alla mancanza di fondi delle nuove autostrade (innanzitutto quelle lombarde, progettate con l’alibi dell’Expo 2015), del piano di ristrutturazione dei diversi porti italiani, della mancanza di liquidità delle banche italiane. Se qualcuno sinora ha creduto al mantra, continuamente ripetuto da tutti i livelli istituzionali ed amplificato dai media mainstream del “i soldi non ci sono”, ora sa come ciò, non solo non corrisponda alla verità, bensì prefiguri la natura prettamente politica dei problemi del Paese : il controllo e la destinazione delle risorse, ovvero, e ancora una volta, un problema di democrazia. In questo risiede la vera natura del problema. Perché ciò che non va in ogni momento dimenticato è la provenienza dell’ingente patrimonio a disposizione di Cassa Depositi e Prestiti, che per l’80% deriva dalla raccolta postale, ovvero è il frutto del risparmio dei lavoratori e dei cittadini di questo Paese. Provenienza giuridicamente riconosciuta e sostenuta dall’art.10 del D. M. Economia del 6 ottobre 2004 (decreto attuativo della trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni ), tuttora vigente, che così recita : “I finanziamenti della Cassa Depositi e Prestiti rivolti a Stato, Regioni, Enti Locali, enti pubblici e organismi di diritto pubblico, costituiscono ‘servizio di interesse economico generale’ “. Il paradosso risiede nel fatto che, mentre si afferma ciò, la Cassa Depositi e Prestiti è stata trasformata in una Spa a capitale misto, rendendo inevitabili una serie di domande : a) come possono un ente di diritto privato (tale è la SpA) e soggetti di diritto privato presenti al suo interno (come le fondazioni bancarie) decidere per l’interesse generale? b) si può lasciar decidere la strategia economica e industriale di un Paese a una società privata, libera di perseguire i propri interessi di profitto, qualunque essi siano, nei settori che appaiono più interessanti e senza vincoli di alcun tipo? c) è accettabile che le priorità di intervento nel sistema industriale ed economico del Paese non vengano stabilite nelle sedi deputate (il Parlamento) e che i mezzi per perseguirle escano dal controllo pubblico? La risposta a queste domande consente di coniugare la lotta contro le grandi opere con il contrasto all’espansione della sfera d’influenza degli interessi finanziari sulla società; la difesa dei territori con la necessità della riappropriazione della ricchezza sociale, a partire dalla socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti. Ai movimenti il compito di comprendere e praticare questo nesso fondamentale.

Articolo tratto dal Granello di sabbia di Aprile 2014: “Finanza e grandi opere”, scaricabile qui.

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