di: Marco Bersani
Mentre le forze politiche sono impegnate nella missione quasi impossibile di far quadrare il cerchio di un governo dopo l’esito elettorale e i grandi mass media sembrano divenuti agenzie di scommesse che attribuiscono quote differenti alle diverse combinazioni possibili (Lega-M5Stelle si paga moltissimo, governo di minoranza Gentiloni si paga abbastanza, Pd-M5stelle-LeU vincite quasi ordinarie), la Commissione Europea e la Banca Centrale Europea si sono prese il compito di ricordare a tutti come la ricreazione stia finendo e tutti quanti debbano sedersi di nuovo al proprio banco per iniziare il ripasso di una materia che studiano ormai da decenni: l’austerità.
E se Renzi medita un anno di Erasmus alla corte di Macron per imparare come diventare “il nuovo” dopo aver occupato tutti gli spazi del “vecchio”, gli altri difficilmente potranno sottrarsi alle verifiche di primavera.
Casomai qualcuno pensasse realmente di poter continuare nel gioco di prestigio della campagna elettorale, ovvero far credere che siano realizzabili tutte le promesse messe in campo senza mettere in discussione l’attuale dinamica sul debito imposta dai vincoli europei, da Maastricht al Fiscal Compact, passando per il Patto di stabilità e il Pareggio di bilancio, ci ha pensato Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione Europea, a ricordare come l’Italia, al pari di Croazia e Cipro, presenti “squilibri macroeconomici eccessivi”: crescita molto al di sotto della media europea, bassa produttività e debito troppo alto. A cui, sempre secondo la Commissione Europea, occorre rispondere con uno scenario a “politiche invariate”: ovvero, governi chi vuole e può, ma le “riforme” attuate in passato non si toccano e vanno invece approfondite, così come le privatizzazioni, che appaiono molto insufficienti (sic).
Per i più tardi di comprendonio è sceso in campo anche Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, che, non sappiamo se per volontà propria o per pressione tedesca dietro le quinte, ha annunciato la fine della possibilità di aumentare gli acquisti mensili di bond attraverso il Quantitative Easing, in caso di nuove criticità. Ovvero la fine di ogni flessibilità o margine di manovra a partire dal prossimo settembre quando il Qe (almeno lui) potrà andare in pensione. Suggerendo al futuro governo italiano di non cambiare le “riforme” e alle forze politiche di smetterla di paventare un’uscita dall’euro, perché l’Italia ha il secondo debito pubblico più alto nell’Unione dopo la Grecia e deve restare sui binari di una politica di bilancio responsabile.
Gli interventi della Commissione Europea e della Bce hanno l’indiscutibile pregio di mostrare la realtà per quello che è. Perché delle due l’una: o si continua a sottostare alla trappola del debito e ai parametri indicati e si prosegue con le politiche di precarizzazione del lavoro, di fiscalità a favore di grandi imprese e patrimoni, di mercificazione dei beni comuni e privatizzazione dei servizi pubblici, o si inverte la rotta e si intraprende la strada per un altro modello sociale. Se c’è un pregio dell’attuale crisi sistemica. in cui siamo da anni immersi, è l’aver finalmente reso chiaro che “tertium non datur”.
E’ su questa precisa contraddizione che si gioca la possibilità di un futuro differente, nonché la fuoriuscita di una popolazione dal tranello dell’aspettativa individuale risolutoria e dall’affidamento al leader che di volta in volta meglio la incarna, salvo poi abbandonarla sull’altare delle compatibilità date.
Rompere la trappola del debito, che rimane di 2.250 miliardi nonostante sugli stessi si siano già pagati, dal 1980 ad oggi, oltre 3.400 miliardi di interessi, è la strada da percorrere. E solo tutti assieme è possibile.
Pubblicato su Il Manifesto del 10.3.2018