Aiutiamoli a casa loro?

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ScusateSeNonSiamoAffogati

di Alfredo Somoza*

“Aiutiamoli a casa loro” è stato uno slogan coniato dalla Lega Lombarda negli anni ’90 per dimostrare di volere il bene, ma a casa loro, degli immigrati che non si volevano accettare in Lombardia. A distanza di quasi 30 anni, nei quali la Lega ha avuto a lungo importanti incarichi di governo, si sono susseguiti alcuni fatti. 

Nel 1994 i fondi per la cooperazione internazionale stanziati dall’Italia vengono tagliati del 53% dal neo insediato Governo Berlusconi-Bossi. Nel 2011, dopo il ritorno al potere, Forza Italia e Lega Nord taglieranno ancora il 45% dei fondi ereditati dal Governo Prodi, che aveva segnato il record nelle erogazioni per la cooperazione allo sviluppo con 4,9 miliardi nel 2008, pari allo 0,22% del Prodotto Interno Lordo italiano.

Durante gli anni in cui la Lega è stata al Governo, l’Italia è precipitata al penultimo posto tra i paesi OCSE per i fondi stanziati per la cooperazione (0,11% del PIL), smentendo le promesse di Silvio Berlusconi di destinarne l’1%.

Una nuova Legge sulla cooperazione, che aggiorni gli strumenti e la visione della cooperazione, per due volte viene bloccata in Parlamento e non viene approvata: verrà approvata successivamente con la Lega all’opposizione.

La solidarietà “padana” dà vita a due associazioni: “Copam, Cooperazione Padania-Mondo, Aiutiamoli a casa loro” e “Umanitaria Padana”. Entrambe raccoglieranno fondi pubblici e privati per qualche decina di migliaia di Euro, con interventi praticamente simbolici in Eritrea, Serbia, Ucraina. Molto più consistente il “tesoro di Belsito”, cioè i fondi dirottati dal cassiere della Lega, che in parte finiscono in Africa, ma non agli africani, attraverso l’acquisto di diamanti di dubbia origine e investimenti offshore in Tanzania. 

Nel 2003 il Governo Berlusconi, con la Lega, contribuisce alla formulazione del regolamento Dublino II, che sancisce il principio, oggi contestato dagli stessi firmatari, secondo cui il richiedente asilo deve fermarsi nel primo paese di arrivo in Europa. Nel 2011, durante il governo Berlusconi-Maroni, l’Italia partecipa, contro i suoi interessi, alla crociata contro Gheddafi che porterà alla fine della Libia e al caos attuale. La Lega fa parte del governo e, nei fatti, non si oppone.

Ma il concetto “aiutiamoli a casa loro” è destinato a non restare patrimonio esclusivo della Lega Nord. Anche il Segretario del PD, Matteo Renzi, lo ha utilizzato nel 2017 per annunciare il pacchetto di misure studiate per fermare l’arrivo di richiedenti asilo dall’Africa. Nella visione del PD, “aiutarli a casa loro” vuol dire creare cooperazione verso i paesi di provenienza dei principali flussi migratori, insieme al trasferimento di mezzi militari alla Libia e alla Tunisia e l’invio di truppe in Niger per chiudere la strada della disperazione. Il concetto di cooperazione declinato come deterrente dei flussi migratori è una novità, e soprattutto è piuttosto difficile che in molti contesti di provenienza di immigrati si possano effettivamente realizzare condizioni per una crescita economica perché sotto dittature feroci (Eritrea), oppure paesi falliti (Somalia) o ancora peggio con conflitti in corso (Nigeria, Siria). 

L’Istituto di ricerca inglese Centre for Global Development ha appena pubblicato un lungo report sull’effettivo impatto della cooperazione nella deterrenza dei flussi di immigrati. Secondo i ricercatori inglesi, paradossalmente lo sviluppo economico nei paesi a basso reddito aumenta generalmente la migrazione. Una maggiore occupazione giovanile può scoraggiare la migrazione a breve termine solo nei paesi che rimangono poveri. L’impatto a lungo termine che incoraggia la migrazione può durare generazioni. Secondo la ricerca, la prima disponibile su questi temi, l’attenzione andrebbe spostata sui due principali modi in cui le persone nei paesi poveri usano la migrazione per migliorare le loro vite economiche: investimenti e assicurazioni. Come investimento, le famiglie sono disposte ad anticipare soldi in cambio di future rimesse derivanti dal lavoro all’estero. Questi dati indicano la complessità della relazione tra migrazione e sviluppo economico. Maggiori opportunità economiche a casa possono diminuire l’incentivo a investire nel lavoro all’estero, ma possono anche rendere tale investimento più fattibile per le famiglie. 

Un tema difficile, insomma, che non viene mai affrontato nella sua complessità, cioè andando a vedere l’altra faccia della questione, quella del bisogno di manodopera sostitutiva nell’Europa del crollo demografico. La risposta più adeguata dovrebbe essere un mix di risposte, dalla trasparenza nel richiedere e agevolare l’arrivo di lavoratori con qualifiche richieste dal mercato di lavoro e non subirne l’afflusso caotico, all’investimento in cooperazione. Dalla ridiscussione delle frontiere agricole europee, per creare impiego e opportunità nella sponda sud del Mediterraneo, a una politica estera europea che non sia solo la sommatoria dei piccoli interessi, ma che sia efficace alla ricerca della risoluzione dei conflitti in corso. Troppo, forse, per una politica che vola sempre più basso e che vive alla giornata, ma se veramente si vorrà incidere sui fenomeni migratori, in entrata e in uscita, bisogna abbandonare facili slogan e tornare a fare politiche di lungo respiro. 

*Alfredo Somoza, giornalista, è presidente dell’ICEI – Istituto Cooperazione Economica Internazionale di Milano

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 32 di Gennaio-Febbraio 2018: “Debito globale: come uscirne?

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