Creare ponti alla frontiera tra Polonia e Bielorussia

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di Federico Rossi (*)

Nel mese di novembre 2021 la nostra associazione, Neos Kosmos APS, si è spostata dalla sede di Atene e, per due settimane, si è posizionata in Polonia. Era il periodo di culmine mediatico intorno a quello che stava accadendo al confine tra Polonia e Bielorussia. In quel momento volevamo raccogliere informazioni dirette per poi diffonderle in Italia, ma anche e soprattutto nei Paesi di origine, dove abbiamo molti contatti e dove molte persone erano state ingannate credendo che quella nuova rotta migratoria fosse la meno pericolosa degli ultimi anni. Volevamo inoltre portare solidarietà e sostegno, nel nostro piccolo, a quella parte di società civile polacca che, tra mille difficoltà e ostilità, cercava di assistere chi aveva bisogno e si impegnava a denunciare le istituzioni che stavano commettendo crimini contro l’umanità, da entrambi i lati del confine. In alcuni appunti presi in quei giorni scrivevo così:

“Non siamo qua a caccia di notizie. Ovviamente, siamo qua anche per avere informazioni da condividere attraverso i classici canali media e social media. Ma il nostro intento vuole essere di testimonianza e denuncia, cercando quanto possibile di essere a fianco delle persone e non per forza davanti, con in mano un microfono, oppure dietro riprendendo con la camera. Siamo qua per incontrare uomini e donne e per creare nuovi legami, per capire da loro, guardandoci negli occhi, se possiamo essere di supporto e in quel caso come, oppure se siamo solo un ostacolo. Sicuramente non vogliamo dire di esserci per farci buoni di fronte a chi ci guarda e ascolta. Qualcuno mi ha fatto i complimenti per essere partito da Atene per venire in Polonia. Ho ringraziato, ma ho anche pensato che non sono sicuramente io quello coraggioso per il viaggio che ha fatto.

In questi giorni ho incontrato attivisti indipendenti, membri di associazioni che lottano per la tutela dei diritti umani e cittadini che non sono d’accordo con la politica del governo di respingere uomini, donne e bambini e di lasciarli nelle mani dei militari bielorussi oppure in balia della foresta e delle terribili condizioni climatiche. Siamo qua per essere in qualche modo al loro fianco, perché possono fare la differenza nell’aiutare le persone intrappolate al confine, vittime di giochi politici più grandi di loro.”

Per fare un riepilogo: all’inizio dell’estate 2021 le compagnie aeree bielorusse pubblicizzavano voli per raggiungere la capitale Minsk da Beirut, Damasco, Istanbul e Iraq mentre lo stato bielorusso rilasciava visti turistici attraverso procedure semplificate. Le persone che intendevano lasciare quei Paesi avevano di fronte una grande occasione per poter viaggiare fino al confine con l’Unione Europea in aereo, senza particolari rischi e con una spesa economica minore rispetto alle altre rotte migratorie. La Bielorussia assicurava che sarebbe stato facile superare la frontiera con gli stati UE.

In agosto più di 4.000 migranti erano entrati in Lituania e, in risposta a ciò, il Paese aveva iniziato a effettuare respingimenti e avviato la costruzione di un muro. Nello stesso periodo la Polonia iniziava ad inviare al confine fino a 20.000 militari e guardie di frontiera, predisponendo reti con filo spinato.

A inizio settembre veniva introdotto lo stato di emergenza in un raggio di 5 km dal confine con la Bielorussia. Questo significava che nessuno sarebbe entrato a meno che non fosse residente. Quindi, tra gli altri, giornalisti, NGO, medici, non erano ammessi.

Per questo motivo molti abitanti di quelle zone si sono attivati e, coordinati a distanza da organizzazioni e associazioni, hanno iniziato a ricevere le richieste di aiuto da parte di persone disperse nella foresta, intervenendo per verificare le condizioni sanitarie, fornire beni come cibo, acqua, indumenti termici e power bank e spiegando loro i diritti in materia di richiesta di asilo.

Tutto questo nonostante l’ostilità delle forze di polizia polacche, che più volte hanno intimidito con arresti arbitrari chi voleva solo salvare la vita di persone allo stremo delle forze e non certo lucrare sul favoreggiamento dell’immigrazione “clandestina”.

In questo scenario militarizzato i migranti cercavano di sopravvivere per attraversare il confine, vagando per giorni nelle foreste più inospitali d’Europa, con il freddo e la paura di essere respinti violentemente. Almeno 19 persone sono morte dall’autunno scorso e i respingimenti da parte della polizia polacca verso la Bielorussia sono sempre stati la prassi che lo stesso governo polacco ha ammesso di praticare.

Tale situazione perdura ancora oggi. Lo scoppio della guerra in Ucraina e l’accoglienza riservata ai milioni di rifugiati arrivati nella stessa Polonia (più di 3 milioni a inizio maggio) ha reso ancora più insopportabile il trattamento riservato alle persone, provenienti da altri Paesi, che da mesi si trovano al confine con la Bielorussia. E così gli operatori, gli attivisti, i cittadini che avevamo incontrato a novembre sono di nuovo a fare i conti con la Storia e con le storie di chi è in fuga da situazioni insostenibili.

Adesso stiamo lavorando per sostenere una delle realtà che abbiamo avuto il piacere di conoscere durante il viaggio in Polonia: l’associazione Dom Otwarty.

Dom Otwarty, che in polacco significa “porte aperte”, rappresenta quella società civile che si attiva cercando di sensibilizzare la comunità in cui è radicata – nonostante una violenta retorica xenofoba che pervade la società e la politica polacca – e assiste chi ha bisogno, senza emettere giudizi qualitativi ad esempio sul tipo di guerra dalla quale le persone fuggono.

Dom Otwarty, che si è da subito attivata per rispondere ai bisogni educativi dei giovani ucraini, prosegue l’impegno di sensibilizzazione sui diritti dei rifugiati, il monitoraggio della detenzione dei migranti fermati al confine bielorusso e il lavoro di advocacy per tutelare i diritti dei migranti provenienti dal Medio Oriente ancora bloccati in Bielorussia, facendo leva anche sulla situazione ucraina.

Gli ultimi 12 mesi in Polonia sono stati paradigmatici, perché abbiamo visto una copertura mediatica incredibile, ma solo per poche settimane, di una sospensione dei diritti umani che va avanti da quasi un anno, telecamere o meno. Abbiamo visto che quando qualche migliaio di persone provenienti da Siria, Iraq e Afghanistan cercavano di entrare in Polonia per chiedere asilo si gridava all'”invasione”, mentre pochi chilometri più a sud, per milioni di ucraini si aprono giustamente i confini, senza limitazioni numeriche, a chi è costretto a lasciare il Paese in guerra.

Vediamo che per la crisi ucraina le donazioni di soldi e beni hanno letteralmente sommerso le grandi organizzazioni, soprattutto internazionali, anche ben al di sopra delle necessità attuali. Per questo riteniamo importante sostenere associazioni e gruppi locali, radicati nel territorio e che quindi c’erano, ci sono e ci saranno per sostenere la comunità e chi abita o si trova, anche se solo di passaggio, in quella comunità. Riteniamo che essere solidali significhi esserci, capire, ascoltare e fare un passo avanti o indietro in base alle vite e ai bisogni di chi abbiamo davanti a noi, perché l’agenda dell’impegno a fianco delle persone non sia dettata né dalla politica né dai mass media.

 

*Federico Rossi è operatore dell’associazione Neos Kosmos APS. L’associazione, il cui nome in greco significa “mondo nuovo”, ha sede in un bellissimo casale nella provincia di Rieti, dove la natura ha ripreso vita e sono stati creati luoghi di incontro, scambio e solidarietà. Per conto di essa, si occupa ad Atene, dove vive, di organizzare viaggi che danno l’opportunità al visitatore di incontrare chi è impegnato attivamente nella comunità, invece di essere solo un turista passivo perso negli itinerari consumistici del turismo di massa.

Foto: Sytuacja na granicy polsko-białoruskiej. Situation at the Poland-Belarus border di Kancelaria Premiera (CC BY-NC-ND 2.0)

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 50 di Giugno-Luglio 2022: “Guerra e migranti, guerra ai migranti

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