(Foto de “Il Fatto Quotidiano“)
di Alessandro Braga
Che la riforma costituzionale vada ad abolire il Senato, è ormai chiaro a tutti che sia una falsità. Il Senato non viene abolito. Semplicemente, cambia la sua funzione (e qui bisognerebbe aprire un’ampissima parentesi sul superamento del bicameralismo). Ma, soprattutto, cambia la sua composizione e il suo metodo di elezione. Non più diretta, come è ora, ma di “secondo livello”.
In pratica, non saranno più i cittadini elettori a scegliere i senatori, ma gli appartenenti ad alcune categorie: sindaci, consiglieri regionali, presidenti di regione. Perché il nuovo Senato, se il 4 dicembre la maggioranza di chi si recherà al voto sceglierà il sì, sarà composto da sindaci di grandi città e consiglieri regionali. Scelti non dai semplici cittadini elettori, ma dai consigli regionali (o dalle province autonome di Trento e Bolzano). Nella composizione del nuovo Senato, la quota certa è quella di 95 componenti indicati dalle Regioni: 21 sindaci, uno per ogni Consiglio Regionale (19) e Provinciale (2), e 74 Consiglieri Regionali, scelti da ciascuna Regione in relazione alla popolazione residente, con un minimo di due per Regione. L’elezione popolare diretta dei Senatori è dunque sostituita con l’elezione degli stessi da parte dei Consigli Regionali e dei Consigli Provinciali di Trento e di Bolzano. Ciascun Consiglio Regionale (nonché i Consigli Provinciali di Trento e di Bolzano) sceglie un componente fra i Sindaci dei rispettivi territori. Sono così ventuno i Senatori Sindaci. Gli altri settantaquattro Senatori sono Consiglieri Regionali (e provinciali autonomi). Infatti essi sono scelti dai Consigli al proprio interno.
Si chiama elezione di secondo livello, e già avviene per l’elezione dei membri dei consigli metropolitani. A Milano, per esempio, le votazioni per il nuovo consiglio metropolitano si sono svolte lo scorso 9 ottobre (nell’indifferenza generale, e con una partecipazione al voto del 75% degli aventi diritto) ma a votare sono stati chiamati solo i sindaci, gli assessori e i consiglieri comunali dei 134 comuni (133 visto che il Comune di Melzo è commissariato) che fanno parte del nuovo ente. 1511 votanti su una platea di aventi diritto di 2025. Per un ente con un bilancio disastrato e competenze poco chiare, per usare un eufemismo. I risultati la dicono lunga sulle capacità delle elezioni di secondo livello di rispecchiare la “volontà popolare”. Nel consiglio metropolitano milanese andranno a sedersi 14 consiglieri del centrosinistra (Pd+Sel), 6 di Forza Italia, 2 della Lega Nord, uno del Movimento5stelle e uno della lista La Città dei Comuni (Lista civica composta da forze di sinistra e ambientaliste). Se a qualcuno i conti non tornano rispetto ai flussi elettorali visti negli ultimi anni, se ne faccia una ragione: è il prezzo che si deve pagare per approdare alla “democrazia decidente” in salsa renziana.
In pratica si tratta di uno scippo di democrazia: perché, se è pur vero che io cittadino semplice decido col mio voto chi andrà a sedere nelle assise suddette (e anche in questo caso non è sempre così vero), al momento del voto io non scelgo chi mandare in Senato, ma semplicemente chi mi deve rappresentare, per esempio, in consiglio regionale. È solo un passaggio successivo, fatto da accordi tra segreterie di partito, che permette l’elezione dei senatori e definisce gli equilibri dell’organo superiore. I senatori, tra l’altro, non avranno nessun compenso per la mansione che andranno a svolgere. Ora, al netto di facili populismi, come possiamo immaginare che un consigliere regionale, già oberato di lavoro (se lo fa come dovrebbe essere fatto), possa mettere tempo, energia e competenze per il nuovo ruolo a cui viene chiamato? Il nuovo Senato, sempre che la riforma ottenga il beneplacito degli italiani, avrà compiti poco chiari, ma non per questo senza importanza. Non si può quindi pensare che a ricoprire quel ruolo ci vadano persone che siano poco o nulla interessate, oppure che sono state messe in quella situazione solo per controbilanciare la mancata elezione in altri ruoli. Forse prima di dire sì alla riforma, andrebbero valutati bene i gli effetti collaterali, come quello di sottrarre spazi di democrazia ai cittadini (e, si badi bene, a dirlo è uno che è appena stato eletto nel consiglio metropolitano di Milano).
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 26 di Novembre-Dicembre 2016 “Voglio cambiare davvero, quindi voto NO!“