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Un motivo di riflessione sul presente e una memoria da consegnare alle generazioni che verranno.
Sono i temi affrontati nel libro Per non dimenticare. La questione della diga nella Valle Argentina, di Antonio Panizzi e Franco Bianchi (Philobiblon edizioni), presentato sabato 24 maggio al Museo del Fiore di Sanremo nell’ambito della rassegna “Frammenti di Cura”, promossa da Attac Imperia, Collettivo Ci Siamo! e Riprendiamoci il Comune.
Il ricordo fine a sé stesso crea argini, costringe nel recinto angusto della nostalgia: ancora il tema delle recinzioni, fil rouge della rassegna.
Tema già emerso nei precedenti incontri, come metafora dell’appropriazione di beni collettivi per l’assalto al territorio, come steccati, frontiere di guerre e come paradigma delle diversità nelle relazioni sociali.
La memoria condivisa, invece, è consapevolezza, passione e responsabilità. È feconda, generatrice di nutrimento per cambiare lo stato delle cose.
Di fatto è un atto radicale perché va alla ‘radice’ di ciò che siamo e perché esprime il ‘radicamento’ di una comunità territoriale in una visione di lotta e di cura.
Il libro di Panizzi e Bianchi affronta l’annosa – e pur sempre attuale – questione della diga di Glori, in Valle Argentina, e delle sue possibili varianti in invasi e bacini.
Il volume presenta una serie consistente di documenti e narrazioni della lotta che dura nel tempo: dai fatti degli anni Sessanta a quelli del 1984, per arrivare alle vicende di oggi.
Un viaggio tra passato e presente, tra le comunità di allora e quelle odierne.
Le contrarietà al progetto della diga, per gli aspetti della sicurezza e della serenità della vita, nonché per il valore ambientale del territorio e per la sua dimostrata effettiva pericolosità, emergono con lucidità e determinazione. Così come sono evidenziate le possibili soluzioni alternative, a partire dalla rinaturalizzazione dei torrenti, dalla ricarica delle falde, dall’utilizzo delle sorgenti disponibili e dalla gestione della risorsa idrica, quale bene comune essenziale alla vita.
Sono esigenze dettate, oggi rispetto a ieri, dai cambiamenti climatici, dalle fragilità del territorio, dal contrasto alle crisi idriche, che dovrebbero presupporre una nuova progettualità per la gestione pubblica del ciclo dell’acqua, anziché la privatizzazione del servizio idrico, come avvenuto a Rivieracqua con Acea.
Invece, si continua a prevedere a estrarre valore alla natura, pianificando e realizzando opere, bacini e invasi nell’entroterra, come richiesto da Confindustria Imperia, con il sospetto inquietante che si tratti più di operazioni economiche e di aiuti alle aziende interessate ai profitti, che di risposte ai bisogni dei territori.
Come ricorda Stefano Fenoglio, da tempo il nostro rapporto con i fiumi, è di tipo parassitario: li usiamo e ne abusiamo, ne stravolgiamo la rete e la biodiversità, e poi ce ne dimentichiamo. Fino all’emergenza successiva, sempre più ravvicinata e catastrofica negli effetti. Se solo ricordassimo come vita, sviluppo sociale, tecnologico e culturale dell’umanità sono stati possibili grazie alle loro acque. I fiumi sono stati l’ambiente naturale che più di ogni altro ci ha permesso di diventare ciò che siamo.

