Un caso di fondamendalismo liberista

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Trasporto locale a Genova

Anni fa il Consiglio comunale di Genova decise la privatizzazione dell’AMT (trasporto locale), proclamando che per quella via si sarebbe salvato il bilancio, malandato solo a causa dell’inadeguatezza della gestione pubblica.
Cosa importava che, già allora, dall’Europa venissero responsi opposti e significative marce indietro? La Bibbia- Corano-Torah dei fondamentalisti del liberismo diceva inequivocabilmente che privatizzando i servizi li si sarebbe resi più efficienti e, al contempo, profittevoli.
Come dar loro torto, di fronte al moltiplicarsi dei miracoli del Mercato: la finanza speculativa (rifinanziata tagliando salari e welfare) moltiplica i prezzi dei prodotti alimentari ed energetici; il benessere si diffonde in ogni dove e genera movimenti di massa in USA, Europa e, persino, Nord Africa dove scendono in piazza per manifestare il loro giubilo. E così è sempre stato: mai il modo di produzione capitalistico ha prodotto guerre, fame, povertà, disoccupazione, sfruttamento! I tre secoli trascorsi dopo la Rivoluzione industriale sono stati caratterizzati dall’Equilibrio Generale del Mercato. Almeno così dicono i sacri testi del Liberismo, oggetto di una fede irremovibile da parte dei fondamentalisti. E chi si sentirebbe di disilluderli?

Eppure qualcuno ha osato farlo il 7 marzo, a Genova.
Imprevedibilmente, un tal Bruno Lombardi, in rappresentanza della multinazionale francese che ha rilevato l’AMT, ha detto: «Noi siamo qui per guadagnare, non per perdere quattrini. A breve cominceremo un’attenta valutazione dei conti di AMT. Se a settembre scopriamo che non è possibile riassestare il bilancio dell’azienda, ce ne andiamo».

Di fronte a tale sfrontatezza, i politici e i sindacalisti locali si sono stracciati le vesti: non sapevano che le imprese private agiscono per il perseguimento del profitto!
«Se voi andate via, noi restiamo col cerino in mano», ha replicato indispettivo Vesco, assessore regionale della Federazione della Sinistra, dando così il suo contributo all’analisi di classe della vicenda.

D’altra parte, finora, dopo la privatizzazione dell’AMT tutto era filato per il meglio: aumenti del biglietto per un complessivo 50%, riduzione reiterata del servizio, 400 “esuberi” previsti. Cosa si poteva pretendere di meglio, per gli utenti e per i lavoratori! Ogni anno la Regione dava il suo contributo alla multinazionale francese e si andava avanti in letizia. I vantaggi della privatizzazione sono indiscutibili, perché: 1) la gestione privata è migliore di quella pubblica; 2) i soldi per tappare i buchi li continuano a mettere le Istituzioni (pubbliche?) e continuano a provenire dalle tasche dei non-evasori-coatti, ma il miglioramento della gestione del servizio e dei risultati di bilancio sono così evidenti che non è neppure necessario dimostrarli.

Nonostante tutto ciò, pare che “ in base ai patti parasociali a suo tempo siglati tra il Comune e i soci privati di Amt, l’uscita di questi ultimi dalla compagine azionaria, comporta automaticamente per le casse pubbliche la perdita di 22 milioni di euro. A tanto ammonta l’investimento sostenuto dalla multinazionale francesce Transdev, cui sono adesso subentrati i cugini di Ratp, per l’acquisto del 41 per cento delle quote di Amt e che il Comune dovrebbe rimborsare. Una voragine che potrebbe facilmente tradursi nel fallimento dell’azienda” (ilsecoloxix.it, 7/3/11).

Certo che si stenta a credere che una così brillante operazione possa condurre al fallimento dell’AMT, anziché al suo salvataggio. Ciò contraddice le più consolidate certezze, a partire dal noto assioma “privato è bello!”.
E, infatti, c’è una spiegazione: si è trattato di una “privatizzazione non privatizzante”. Si sa che l’essenza stessa della libertà d’impresa è il conseguimento del profitto, giustificato (si sa!) da rischio d’impresa. Dato che la multinazionale francese si è garantito il rimborso dell’investimento in caso di recesso determinato da perdite di bilancio, il rischio d’impresa nel caso specifico non esisteva. E, quindi, in realtà non si può neppure parlare di privatizzazione. Dunque, non è la privatizzazione ad essere fallita, ma la non privatizzazione.

USCENDO DAL PARADOSSO:la giunta di ““sinistra”” (col supporto dei suoi reggi-coda sindacali) decise la privatizzazione formulando previsioni surreali.
Il risultato è stato disastroso sotto tutti gli aspetti: servizio peggiorato, ma molto più caro. Licenziamenti previsti tra i 400 e i 500, tendenti a crescere. Tracollo finanziario dell’azienda privatizzata, nonostante i finanziamenti pubblici garantiti al “privato”. Garanzia del non fallimento per il privato, scaricandolo totalmente sulle casse pubbliche una perdita di 22 mln. di euro.
L’unica certezza è che, comunque vada, saranno i tartassati di sempre, gli utenti e i lavoratori a pagare il conto. Con aumenti di tasse, aumenti del biglietto e peggioramento del servizio e licenziamenti.

Ma nessuno dei responsabili pare sia intenzionato a dimettersi e nessuno glielo chiede: cosa volete che sia rispetto al bunga – bunga! Peggio ancora, nessuno sembra prendere mai atto di nulla che riguardi le vere cause dei problemi economici e sociali. Eppure non dovrebbe essere difficilissimo individuarli nel modo di produzione esistente!

Sergio Casanova
Attac Genova
09/03/2011

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