TTIP: una battaglia che si può vincere

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di Marco Bersani

Mentre le reti di movimento stanno avviando la macchina per la Giornata di azione globale contro i Trattati di Libero Scambio del 18 aprile 2015 – all’insegna dello slogan “le persone e il pianeta prima del profitto” – il più importante fra questi trattati, il TTIP (Partenariato Transatlantico sul Commercio e gli Investimenti) segna il passo. È lo stesso Servizio affari internazionali del Senato ad ammetterlo in un suo recente documento che fa il punto sulla situazione del negoziato, e che lo mette in relazione con il TPP, l’omologo partenariato che gli Stati Uniti stanno negoziando con i paesi che affacciano sull’Oceano Pacifico (esclusa la Cina):

«Complessivamente, e nonostante l’impegno per un fresh start da parte della Commissione europea, appare probabile che i negoziati non subiscano un’accelerazione reale prima della seconda metà del 2015, quando l’amministrazione statunitense dovrebbe aver portato a termine i negoziati relativi al TPP. Solo allora, infatti, sarà possibile affrontare in concreto i capitoli negoziali – come appalti pubblici, indicazioni geografiche e servizi finanziari – che, per non interferire sugli esiti del TPP, sono stati spinti ai margini delle trattative per il TTIP. Proprio per questo, e in uno spirito di realismo, la Commissione intende continuare a lavorare, nei due round previsti prima della pausa estiva, per definire i capitoli negoziali meno controversi e preparare quelli più complessi e impegnativi.

L’accelerazione solo relativa del negoziato potrebbe provocare una perdita di fiducia da parte di alcuni Stati membri – visto che, per un periodo prolungato, si è pensato che l’accordo potesse essere perfezionato addirittura entro il 2014 –; d’altro canto, l’opportunità di chiudere il negoziato stesso, o comunque raggiungere un breakthrough politico, prima che la campagna elettorale USA entri nel vivo, potrebbe impattare negativamente sulla “qualità” dell’intesa. Inoltre, la concentrazione della parte più viva e controversa del negoziato nell’arco di pochi mesi potrebbe imporre tempistiche poco congeniali ai processi di formazione del consenso nell’UE a 28 – viste anche le sensibilità e priorità degli Stati membri, spesso molto diversificate –, indebolendo ulteriormente la posizione dell’UE rispetto a quella della controparte. È infine molto probabile che, a TPP concluso, gli Stati Uniti potranno negoziare da una posizione di maggior forza, facendo valere, oltre a una performance economica superiore, anche la presenza di potenziali sbocchi commerciali che rendono ben meno indispensabile il TTIP. Esiste pertanto la possibilità concreta che l’UE si trovi costretta a un esercizio di flessibilità per concretizzare l’intesa, pena il rinvio dell’accordo alla successiva Amministrazione USA, e quindi all’anno 2017, se non oltre».

Quest’ampia sezione del documento chiarisce bene il quadro della situazione, dentro un contesto di riorganizzazione globale dell’economia che i trattati in corso cercano di realizzare. Mentre TTIP e TTP procedono, l’Unione Europea ha negoziato il CETA con il Canada, trattato di libero scambio giunto alla fase conclusiva, la cui ratifica da parte del Parlamento Europeo è prevista per l’inizio 2016. Ed è ormai venuto alla luce, nonostante i tentativi di condurlo nella massima segretezza, il TISA (Trade on Service Agreement), il trattato sui servizi pubblici che coinvolge, oltre all’Unione Europea, tutti i paesi che hanno i mercati di servizi pubblici più sviluppati.

L’insieme di questi negoziati è figlio della necessità da parte degli Stati Uniti di legare alla propria economia il maggior numero di aree geografico-economiche, per far fronte al progressivo avanzare delle nuove economie emergenti (Cina in primis), che rischiano di scalzare gli Usa dal podio di prima economia mondiale.

Il motivo per il quale l’Unione Europea abbia deciso di seguirne pedissequamente le orme sta tutto nella profondità della crisi sistemica, che ha avuto proprio in Europa il luogo fondamentale di precipitazione: le elites politico-finanziarie che la governano a colpi di vincoli monetaristi e politiche di austerità, cercano di rispondere all’affanno con cui queste ultime sono ormai portate avanti, attraverso nuovi scenari globali che le cristallizzino, facendole diventare irreversibili.

La pervicacia con cui si sostiene il TTIP è l’altra faccia della feroce politica con cui si sta contrastando lo straordinario esito elettorale del gennaio scorso in Grecia: lì per la prima volta un popolo intero si è ribellato alla Troika e alle politiche di austerità, scegliendo Syriza, la coalizione della sinistra radicale, come governo del proprio Paese e appoggiando un programma di radicale messa in discussione dell’architrave monetarista e liberista europeo. Se il motivo per cui le elites politico-economiche europee sono schierate a favore del TTIP è chiaro, altrettanto chiara dovrebbe essere la necessità di una radicale opposizione allo stesso da parte delle popolazioni.

La Commissione affari internazionali del Senato, nel medesimo documento ribadisce, citando lo studio commissionato a Prometeia SpA, che il TTIP «potrebbe incidere in maniera apprezzabile sulla futura crescita italiana fino a sfiorare il mezzo punto percentuale per la nostra economia. In tal caso, dopo tre anni dall’applicazione dell’accordo, il PIL aumenterebbe, al netto dell’inflazione, di 5,6 miliardi di euro, con un aumento stimato di posti di lavoro di circa 30 mila unità». Ma nonostante questi proclami è ormai evidente, per chi abbia potuto accedere alle informazioni, che anche la millantata crescita economica non è altro che una bufala: è la stessa Commissione Europea a sostenere che, a TTIP approvato nel 2017, gli effetti sull’economia europea si registrerebbero nell’ordine di un +0,48% a partire dal 2027!

Ed è qui il punto ed il senso della Giornata di azione globale contro i Trattati di Libero Scambio del prossimo 18 aprile: diffondere l’informazione, far conoscere ciò che le elites vorrebbero non si sapesse, rendere chiaro il loro tentativo di trasformare in Stato di mercato quello che fino ad oggi è ancora uno Stato diritto, e di superare la crisi di questo modello attraverso un nuovo ciclo di espropriazione di reddito, diritti, beni comuni e servizi pubblici.

Dobbiamo fermarli e sappiamo che possiamo farlo. A ciascuno la sua parte.

 

Articolo tratto dal Granello di Sabbia “Fermate il mondo: voglio scendere!” di marzo/aprile 2015, scaricabile qui.

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