Storia ed evoluzione di Cassa Depositi e Prestiti

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di Marco Bersani

La Cassa Depositi e Prestiti nacque con una legge del Parlamento Sardo del 18 novembre 1850, avendo la finalità della mobilitazione dei capitali per le opere di pubblica utilità. Erano liberi di effettuare depositi presso la Cassa gli enti locali, i corpi morali, le amministrazioni civili e militari dello stato. La cassa inoltre raccoglieva depositi obbligatori giudiziari e di mallevadoria contabile. Le somme raccolte erano poi impiegate nei prestiti agli enti locali e morali, in particolare per il finanziamento di opere pubbliche e se necessario nell’ammortamento dei debiti. I fondi affidati alla Cassa erano garantiti dallo stato, per compensarla dallo svantaggio che essa non potesse remunerare i depositi volontari a tassi superiori rispetto ai titoli di stato. 

Nel 1863 -subito dopo la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861- fu attuata la incorporazione nella Cassa Depositi e Prestiti del Regno di Sardegna di tutti gli organismi che nei vari territori del regno di Italia, svolgevano funzioni analoghe a quella della Cassa piemontese. Nel tempo, la funzione iniziale della Cassa di raccolta di depositi cauzionali e di natura simile e di loro gestione centralizzata perdette progressivamente rilievo rispetto alla raccolta di risparmio presso gli sportelli postali che divenne la fonte principale. Al lato degli impegni si sono avuti periodi alterni di finanziamento rivolti agli enti locali o all’amministrazione centrale dello stato. Una terza importante funzione, che non si colloca nell’attivo nè nel passivo, è quella di effettuare pagamenti per conto del pubblico e dello Stato. 

 La legge 27/5/1875 n 2779 (presentata dal ministro Minghetti) dispone che gli uffici postali operassero come succursali di una Cassa di Risparmio Centrale garantita dallo stato e inserita nella Cassa Depositi e Prestiti. Questa fu una rivoluzione qualitativa e quantitativa della sua attività determinando una rapida crescita dei mezzi a diposizione della Cassa e un boom del risparmio postale. Il grande vantaggio della Cassa era nella garanzia statale sui depositi, che riuscì a creare ulteriore risparmio, rispetto a quello bancario e delle Casse di Risparmio. Il risparmio postale attrasse anche i risparmiatori più timorosi e richiamò nel circuito finanziario i risparmi tesorizzati -sotto i materassi o dentro pentole- come avveniva in quel tempo a causa della poca fiducia nelle banche. Con la garanzia dello stato si resero disponibili per investimenti in infrastrutture notevoli risorse che erano raccolte a costi inferiori a quelli di mercato. Tra gli impieghi prevalsero i mutui ai comuni per strade, edifici scolastici, sistemi fognari, opere igieniche, ristrutturazione del debito degli enti locali verso istituti di credito. Si svilupparono anche impieghi in titoli del debito pubblico. Una legge del 1895 obbligò la Cassa ad impiegare in titoli di stato o da esso garantiti, non meno della metà dei fondi dei depositi volontari o postali. 

L’importante riforma del 1898 trasformò la cassa Depositi e Prestiti in direzione generale del Ministero del Tesoro, quale strumento di politica del Ministero. I problemi della finanza locale erano caratterizzati dalla persistenza dei disavanzi comunali e provinciale e la finanza statale presentava un rilevante stock di debito pregresso. Inoltre nel 1879 alla Cassa venne affidata la gestione del patrimonio degli istituti di previdenza di singole categorie professionali, tra cui quella degli impiegati statali. Alla vigilia della prima guerra mondiale i depositi della Cassa erano circa il 30% del totale del sistema bancario italiano, pari al 12 % del PIL.

Nel periodo fascista vi fu una forte spinta verso l’accentramento organizzativo finalizzato ad un più stretto controllo: il Ministero del Tesoro fu assorbito dal Ministero delle Finanze; il Ministero delle Finanze assunse direttamente la presidenza del Consiglio di amministrazione della Cassa, e all’interno della Cassa fu soppressa la seconda sezione, quella della gestione previdenziale.

L’accentramento organizzativo comportava il centralismo decisionale: anche nella Cassa prevalse il ruolo del politico su quello tecnico. Nello stesso ventennio il Governo realizzò grandi opere pubbliche, come la bonifica delle paludi Pontine (1926-1935), la creazione di cinque nuove città come Latina, Sabaudia, Pontinia, Aprilia, Pomezia. La Cassa partecipò alla raccolta dei mezzi finanziari; dal 1925 si ebbe la prima emissione di Buoni Postali fruttiferi. Questi titoli ebbero molto successo e raccolsero i risparmi anche dei più timorosi. I Buoni Postali Fruttiferi erano titoli obbligazionari a tasso fisso privi di cedole a scadenza ventennale ma estinguibili in qualsiasi momento; furono emessi anche in dollari e sterline e collocati all’estero soprattutto agli emigranti italiani. Negli anni ‘30 la Cassa fu liberata dal finanziamento corrente dei comuni e quel ruolo fu assegnato alla Banca Nazionale del Lavoro,dal 1938 si ammettono le banche al ripiano del disavanzo degli enti locali. La Cassa è protagonista del finanziamento della partecipazione italiana alla seconda guerra mondiale: la gestione speciale, le risorse degli enti previdenziali gestite dalla Cassa sono destinate alla necessità della guerra. Nel periodo 1928 – 1947 furono messi titolo a breve “Buoni annuali fruttiferi della Cassa Depositi e Prestiti”. Tra le due guerre lo stato italiano divenne sempre più interventista nell’economia e anche la Cassa fu utilizzata in tal senso. Nel 1931 venne costituito l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano), il cui capitale fu per metà partecipata dalla Cassa. Anche alla costituzione dell’IRI del 1933 partecipò la Cassa.IL 22 giugno del 1944 fu ricostituito il Ministero del Tesoro (separato da quello delle Finanze) che presiedette il consiglio di amministrazione. Un decreto del 1947 separò definitivamente la Cassa dagli istituti di previdenza, che divennero autonome e separate Direzioni generali. 

Nel secondo dopoguerra l’Italia era protesa verso la ricostruzione. La spesa pubblica era l’asse portante della politica economica nazionale. La Cassa fu coinvolta nella ricostruzione postbellica e nella creazione di nuove infrastrutture. Negli anni ‘60 vi fu un boom dell’economia italiana, mentre il decennio dei ’70 fu caratterizzato da  forti rivendicazioni sociali; il tutto comportò un considerevole aumento della spesa pubblica in un contesto internazionale  caratterizzato dal primo shock petrolifero. Tutte le amministrazioni pubbliche si indebitarono con una forte progressione. 

La riforma del sistema tributario italiano del 1972 accentrò fortemente il prelievo fiscale all’erario dello stato. Lo Stato annualmente consentiva agli enti locali di ripianare i loro disavanzi di bilancio con mutui con la Cassa e con altri istituti di credito, i cui oneri erano a carico degli enti stessi. In quegli anni il 90% dei mutui concessi dalla Cassa agli enti locali era costituito dai mutui per il ripiano dei bilanci (quindi in sostanza per spesi correnti). Nel 1977, ad opera del Ministro Stammati, iniziò il risanamento della gestione finanziaria degli enti locali, fu posta fine a quella spirale di indebitamento, mediante un’opera globale di consolidamento della loro passività verso gli istituti di credito e verso la Cassa con titoli decennali a carico dello stato. Sul piano formale la Cassa era sempre stata subordinata gerarchicamente allo stato, essendo Direzione generale del Ministero del Tesoro (o in alcuni periodi del Ministero delle Finanze ) mentre, sul piano sostanziale economico patrimoniale, era una istituzione autonoma e separata dallo stato.

All’inizio del decennio ’80, il Ministro Pandolfi ( su proposta del Direttore generale Giuseppe Falcone ) presentò un disegno di legge di trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in azienda autonoma con un proprio statuto. Questa riforma era sostenuta dalla direzione generale della Cassa, dalle associazioni degli enti locali, dalle organizzazioni sindacali, ma era avversata dal sistema bancario, dalla Banca d’Italia, dall’ABI, che temevano la forza concorrenziale della Cassa nel mercato del credito e la gestione di cospicui flussi finanziari fuori controllo della Banca d’Italia ed esterni al Tesoro. Infine prevalse l’interpretazione della Corte dei Conti, secondo la quale la Cassa apparteneva allo stato persona giuridica ed era assoggettata a tutti i vincoli che tale natura comportava. Poiché la legge n 197 / 1983 non aveva espressamente attribuito alla Cassa una personalità giuridica, non era un ente autonomo. Nel 1993 il Ministro Barucci con art 22 d.l n 8/1993 attribuì in modo esplicito personalità giuridica alla Cassa ed anche la facoltà di acquistare e cedere liberamente partecipazioni in istituti di credito. 

Il vero mutamento di natura per Cassa Depositi e Prestiti avviene con l’art.5 del d.l.n 269 /2003 che ha trasformato Cdp in S.P.A. e ha distinto la sua attività in due rami: uno tradizionale ed uno di finanziamento delle infrastrutture e degli investimenti nei servizi pubblici gestiti da privati o con la partecipazione di privati. La trasformazione ha comportato inoltre l’entrata nell’azionariato di 65 fondazioni bancarie alle quali vennero assegnate delle azioni privilegiate pari al 30% del capitale sociale. 

Con la privatizzazione, Cassa Depositi e Prestiti muta profondamente la natura della propria attività, che da quel momento la vede divenire un soggetto economico-finanziario che si muove a tutto campo sul mercato, una sorta di fondo sovrano non dichiarato.Questo avviene attraverso due ulteriori passaggi: il primo tra il 2006 e il 2009, quando una serie di interventi allargarono molto sia la possibilità di Cdp investire sui privati, sia, soprattutto, la possibilità di utilizzare la raccolta postale per farlo; il secondo nel 2015 quando, come parte del cosiddetto “Piano Junker” sull’economia europea, le venne assegnato lo status di Istituto di promozione nazionale. 

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 35 di Luglio – Agosto 2018: “Fuori dalla crisi, riprendiamoci la Cassa!  –  Cassa Depositi e Prestiti, una ricchezza collettiva

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