Revisione e ristrutturazione del debito

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verifica-debito-con-erario-a-palermodi Antonio De Lellis

Diversi economisti ed economiste sono consapevoli della sostanziale necessità di revisione e ristrutturazione del debito. In particolare Alberto Montero Soler, Bibiana Medialdea García e Nacho Álvarez Peralta, avallati dal circolo 3 E (economia, ecologia, energia) sostengono che è necessario realizzare una analisi del processo di indebitamento pubblico e privato e delle sue conseguenze, a partire da criteri sociali e non esclusivamente economici. Dall’altro lato, affermano che è necessario lanciare una strategia per la ristrutturazione ordinata del debito, tanto pubblico come privato.Le proposizioni che seguono sono riprese liberamente dalla risoluzione presentata dagli autori il 21/10/2014 ( http://kappadipicche.com/2014/10/21/montero-ristrutturazione-debito-podemos/

“Una auditoria cittadina del debito è uno strumento di consapevolezza e mobilitazione sociale attraverso la quale la cittadinanza organizzata inizia una revisione dell’origine e dello stato del debito, dovendo abbracciare in questa revisione sia il debito pubblico sia le componenti di quello privato. La finalità della revisione è andare più in là di quanto ispezionato dalle istituzioni pubbliche che operano in questo settore e che, per questo effetto, si limitano a controllare e certificare la legalità dei procedimenti. Il suo obiettivo finale è conoscere e diffondere la grandezza, le condizioni, l’oggetto e le responsabilità dell’indebitamento che si sono prodotte nella società. Come risultato di questo processo, la cittadinanza potrà discernere in maniera adeguata quale debiti possono considerarsi illegittimi”.

Facciamo finta di non sapere che in altri continenti misure di contrasto come quella dell’auditoria sono state efficacemente utilizzate per riportare la giustizia sociale e far ripartire, in un quadro di riforme ordinate, una conversione sociale ed economica dell’economia, ridando speranza alla popolazione vittima della miseria provocata dal sistema del debito, il quale spesso viene contratto “contro l’interesse generale, perché le risorse finanziarie che si ottennero furono dedicate a salvaguardare i privilegi dei gruppi di potere, invece che destinate alla soddisfazione e alla protezione dei diritti basilari riconosciuti nella costituzione. In definitiva, mediante la revisione del debito si cerca di chiarire quali debiti possano considerarsi illegittimi, sia in funzione della loro origine (fondamentalmente quelli derivati da spese che favorirono interessi particolari invece di generali), sia a causa di un processo di indebitamento irregolare (è il caso delle clausole abusive o dei problemi informativi), sia a causa di elementi derivati dalla sua esecuzione. La informazione vera e completa è la forma più efficace di porre in dubbio il dogma che tutto il debito deve essere pagato, indipendentemente dalle conseguenze che da ciò derivano sulla capacità dello Stato di sostenere le necessità basilari della popolazione e rendere fattibile il recupero economico. L’auditoria sul debito già meriterebbe di essere realizzata solamente per questa ragione; specialmente quando per mezzo di questa strada si rinforzano le condizioni sociali soggettive per affrontare il processo di ristrutturazione del debito”.

Ma se la soluzione dell’auditoria (o indagine popolare) può sembrare democratica al pari di una commissione parlamentare conoscitiva sulle varie stragi, l’espressione “ristrutturazione del debito” sembrerà invece scandalosa.

“Il punto di partenza in materia di ristrutturazione del debito deve essere lo sforzo di instaurare come senso comune l’idea che la stessa è una conditio sine qua non per l’applicazione di qualunque programma economico che abbia come obiettivo il recupero delle condizioni economiche e di benessere della popolazione. Ciò significa che è necessario vincere l’obiezione che suggerisce che non vogliamo pagare i debiti, dimostrando come non sia una questione di volontà e neppure di equità sociale (nonostante sia anche questo), piuttosto che si tratta in primo luogo di una questione di efficienza economica e di necessità.”

Molti sosterranno che pagare è giusto ed è condizione necessaria e sufficiente per assolvere a tutti quegli obblighi costitutivi dello Stato come pagare gli stipendi, assicurare servizi essenziali, pagare i fornitori della pubblica amministrazione.

Da un recente studio pubblicato in “La truffa del debito pubblico. Come finanziare gli speculatori con i soldi dei cittadini facendoli anche sentire in colpa” di Paolo Ferrero (2015), viene dimostrato che anche considerando un tasso di interesse del 2% superiore al tasso di inflazione dal 1981 (anno del divorzio tra Banca d‘Italia e Ministero del Tesoro) al 2007, la cifra eccedente ammonta ad almeno 780 miliardi di euro. Questo significa che, se ci fosse stata un’indagine conoscitiva, almeno la metà del debito pubblico italiano sarebbe risultato illegittimo con un dimezzamento dello stesso al 2007, prima della crisi. Questo enorme flusso di denaro è andato nelle tasche di chi possedeva titoli, in particolare banche, fondi finanziari e proporzionalmente famiglie per lo più nella scala medio alta.

Ad oggi la cifra che dal 1992 al 2014 risulta data per interessi passivi, ma risparmiata dagli italiani, come conseguenza di effettiva minor spesa pubblica rispetto alle imposte e tasse, sfiora i 750 miliardi. Chi osa dire che il popolo italiano ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità, dovrebbe considerare questi dati come la riprova del contrario: un popolo costretto a risparmiare sui propri servizi, diritti, riducendo gli investimenti sociali ed ambientali per arricchire una finanza speculativa senza regole, della quale in minima quota fanno parte in tanti.

Sento di far mie le parole dei tre economisti spagnoli: “Fino a quando questa dinamica non si interromperà, il debito pubblico continuerà ad aumentare o, in sua mancanza, dovranno generarsi importanti surplus fiscali primari destinati a cancellarlo. Vale a dire, che gli sforzi fiscali che si farebbero per incrementare gli introiti pubblici non si potrebbero destinare al soddisfacimento di livelli crescenti di benessere sociale ma piuttosto continueranno ad essere trasferiti ai titolari del debito, sia sotto forma di interessi o attraverso la cancellazione del suo capitale a scadenza. Per essere efficace in termini di riattivazione economica, le condizioni della ristrutturazione devono abbracciare tutte le dimensioni del debito. Ciò comprende: rinegoziazione del tipo di interesse e, qualora applicabile, periodi di proroga; allungamento dei termini di estinzione e ammortamento del debito; e, infine, cancellazioni parziali. Dall’altro lato, è fondamentale che la strategia di ristrutturazione abbia una natura cooperativa tra creditori e debitori e non faccia prevalere, come nel caso greco, gli interessi dei primi su quelli dei secondi. Infatti, il trattamento del debito greco intermediato dalla Troika rende manifesto che le ristrutturazioni che si impongono per volere dei creditori, anche quando arrivassero a supporre cancellazioni parziali come accadde con il debito greco nel 2011, non si mettono in atto con la volontà di risolvere il problema di indebitamento del debitore, bensì di allungare nel tempo i trasferimenti di risorse verso i creditori. Solo trattando soluzioni cooperative si potrà affrontare la problematica del debito con una prospettiva di risoluzione duratura nel tempo. E per far ciò si rende imprescindibile una intermediazione equidistante tra debitori e creditori, così come la volontà politica ferma di anteporre gli interessi collettivi sopra gli interessi particolari del settore finanziario privato, principale creditore.L’obiettivo non è non pagare il debito. L’obiettivo è recuperare un livello di indebitamento e un sentiero di sostenibilità dello stesso che renda possibile il recupero dei livelli di benessere della popolazione.

Quando parlo di seguire la strada della ristrutturazione, lo dico pensando non per forza ad una rivoluzione comunque nonviolenta, ma, come cristiano, ad una necessità di accorciare le distanze, per “resettare” il sistema e consentire a chi ha sbagliato o ha subito ingiustizie di rifarsi una vita, di ripartire, di avere nuove opportunità. In fondo che cos’è l’articolo 3 della nostra costituzione se non un’attuazione concreta e perenne del rimuovere “gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione… In fondo, i nostri padri costituzionalisti di aree diverse crearono le premesse per un giubileo costituzionale, costante, progressivo e concreto all’interno di un percorso democratico.

“Resettare” il sistema significa andare a toccare gli interessi di chi oggi governa il mondo e la politica. Ulrich Beck, scriveva recentemente: viviamo la tragedia di trovarci in momenti rivoluzionari senza rivoluzione e senza soggetto rivoluzionario non c’è nulla. Ma io credo che esista la possibilità storica di una leaderschip mondiale costituita dai movimenti popolari, am anche da autorità morali religiose che alleandosi potrebbero far fare ai popoli un salto enorme nella direzione di una riappropriazione della democrazia, sempre nella lenta impazienza che richiede sì indignazione, ma anche coraggio di cambiare le cose.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia di Maggio 2015 “Vantiamo solo crediti”, scaricabile qui.

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