Note per una bussola dei movimenti per la giustizia climatica in Europa

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di Alberto Manconi (attivista climatico e dottorando all’Istituto di Geografia e Sostenibilità dell’Università di Losanna)

Dal “biennio verde” (2018-19) degli scioperi globali per il clima lanciati da Greta Thumberg e delle azioni di disobbedienza civile di Extinction Rebellion, è passato appena un lustro. Eppure, le molteplici crisi pandemiche, economiche e belliche hanno reso repentini i cambiamenti di contesto nel quale i movimenti per la giustizia agiscono. Inoltre, le accelerazioni in corso riguardano la stessa crisi climatica, le crisi ambientali ad essa collegate e la proliferazione di eventi climatici estremi. Le cause di questi ultimi sono sempre più intrecciate e complesse da analizzare, seppure trovino riscontro nel riduttivo, ma efficace, dato dell’aumento della temperatura media e nel legame scientifico conclamato tra tale aumento e l’uso sconsiderato di combustibili fossili.

La giustizia climatica non è “solo” una questione di paesi e di soggetti più colpiti. In quanto il fenomeno di cui essa si occupa investe l’intero pianeta, seppur in modo differenziale, il tempo ne diventa la coordinata principale. Perciò si guarda tanto alla estrema disuguaglianza di responsabilità tra Nord e Sud del mondo e all’interno delle stesse società, quanto alla dimensione generazionale, cioè alla sproporzione con chi ne subirà le conseguenze. Questa specificità e novità dell’idea di giustizia climatica che si è diffusa su scala inedita dal 2018 dà il segno sia della vulnerabilità che dell’alto potenziale di trasformazione dei movimenti in un mondo in continuo cambiamento. Il continuo emergere di nuove crisi plasma i movimenti per la giustizia climatica.

Cerchiamo allora di definire una mappa provvisoria, che riporti le tracce delle trasformazioni in corso nei movimenti dell’Europa occidentale, tenendo conto del ruolo delle suddette crisi.

Tra le nuove tendenze vi è innanzitutto quella di politicizzare e mediatizzare l’urgenza di agire in contrasto all’uso dei combustibili fossili tramite azioni reiterate di blocco. Queste azioni danno seguito ad una interpretazione precisa della disobbedienza civile non violenta che ha una chiara matrice anglofona, rifacendosi alle figure di Gandhi e Martin Luther King o alle suffragette. Si tratta di un’espressione di dissenso che induce volontariamente all’arresto per portare attenzione sull’emergenza climatica e sull’urgenza di politiche radicali, dando spazio all’espressione ordinata di paura, rabbia e disperazione da parte delle persone attive in prima istanza. Si potrebbe parlare di una vera e propria cultura politica che, attraverso Extinction Rebellion e la rete A22 (di cui fa parte Ultima Generazione), ha preso spazio nelle mobilitazioni ecologiste e per la giustizia climatica in tutta Europa, e non solo. In assenza di mobilitazioni di massa, queste azioni di disobbedienza civile basate sul sacrificio personale diventano il principale modo di catturare l’attenzione dei media sull’emergenza climatica. Ciò, però, avviene al costo di una repressione crescente e sempre più mirata, nonché di una polarizzazione dell’opinione pubblica, la quale si schiera in buona parte contro le azioni radicali di disturbo.

Intanto, i bisogni sociali fondamentali come l’accesso a reddito, cibo, casa e mobilità vengono investiti da elaborazioni e rivendicazioni politiche che sono del tutto inerenti alla giustizia climatica. Ciò è evidente ancora in UK fin dalla campagna Insulate Britain del 2021, e lo è più chiaramente in tutti i paesi dove le mobilitazioni per il clima hanno una storia più lunga e maggiori risorse, cioè nel Nord Europa.

Si assiste inoltre ad una nuova configurazione “climatica” delle lotte in difesa dei territori. Ad esempio, nei contesti montani italiani, dove è più evidente l’accelerazione della crisi climatica. Le lotte contro le devastazioni prodotte dai lavori di preparazione alle insostenibili Olimpiadi invernali di Milano-Cortina 2026 si accompagnano all’ingresso della giustizia climatica nel repertorio di alcune storiche resistenze territoriali come quelle in Valsusa, dove le comunità in lotta contro il TAV devono confrontarsi con la tremenda siccità e mancanza di neve che colpisce le Alpi. Anche il contrasto all’estrazione selvaggia di marmo sulle Alpi Apuane, rinasce nel 2020 con il collettivo Athamanta sotto il lemma della giustizia climatica.

In altri paesi le lotte territoriali assumono il paradigma della giustizia climatica su scala nazionale ed europea. Come quelle francesi del 2023, dove “Soulevements de la terre” si costituiva come fronte di rivendicazione comune tra ecologisti e piccoli agricoltori per una giusta distribuzione delle sempre più scarse risorse idriche, scagliandosi materialmente contro l’accaparramento dell’acqua da parte dei colossi dell’agro-industria attraverso i mega-bacini. Ma è anche il caso di Lützerath, il paese tedesco raso al suolo nell’inizio del 2023 per completare l’allargamento di una miniera di carbone, necessaria per il governo a seguito dello stop alle forniture di gas russo. In quel piccolo paese hanno resistito per mesi migliaia di attivist* da tutta Europa. Tuttavia, anche in questi importanti esempi emergono dei limiti. La forza che deriva dai momenti di grande mobilitazione corrisponde ad una crescente repressione e militarizzazione. In questo modo, anche gli immaginari di vita alternativa ed ecologica che nutrono tali resistenze risultano fragili con l’incedere di quello che Sandro Mezzadra ed altri chiamano “regime di guerra”. Le guerre, le cause e conseguenze energetiche, nonché le conseguenze sociali, formano un nodo inaggirabile per i movimenti ecologisti. Un nodo che sconta l’apparente esaurimento della storica prospettiva eco-pacifista e che sembra pesare particolarmente in Germania, con i Grüne al governo.

Inoltre, dopo la pandemia non è più tornata quella ampia dimensione generazionale che aveva caratterizzato gli scioperi del 2019, quando le mobilitazioni sul clima incontravano altre istanze caratterizzanti delle nuove soggettività giovanili in formazione, laddove alla crisi climatica si affiancano fattori socioeconomici e culturali che aumentano l’incertezza e la precarietà del futuro.

Si assiste quindi ad un quadro europeo di movimenti per la giustizia climatica che è certamente dinamico, ma risulta frammentato anche a livello di immaginario di futuro e di lotta. La sfiducia e gli immaginari apocalittici si impongono facilmente, tanto sulle generazioni più giovani come su quelle più anziane. Tuttavia, nemmeno gli immaginari apocalittici appaiono gli stessi per tutt*. Talvolta, e specialmente in Italia, si ha l’impressione che le paure per il collasso climatico e per l’escalation bellica appartengano a generazioni differenti e rimangano distinte. Come due catastrofi che non si parlano, ma che abitano il Vecchio continente immerso in una spirale economica negativa.

In questo senso, lo sviluppo di un immaginario di convergenza eco-sociale risulta come la via di fuga più promettente, che lavora sottotraccia in mezzo a grandi difficoltà. Per questo la reinvenzione del sindacalismo e della produzione verso una reale transizione ecologica, portata avanti dagli operai ex-GKN con la creazione della cooperativa GFF, risulta un esempio stimolante in tutta Europa dal lato sindacale e, ancor di più, da quello dei movimenti per il clima.

Persino la recente ondata di mobilitazioni contadine che ha scosso l’intero continente dimostra – non senza rischi e frizioni – l’inestricabile nesso tra questioni ecologiche e sociali. Nesso che siamo chiamati a riconoscere, come ben spiegano Imperatore e Leonardi ne “L’era della giustizia climatica”.

Per orientarsi in questa nuova e caotica “era”, dobbiamo abbandonare l’immagine che la giustizia climatica si esaurisca nei cartelli degli scioperi studenteschi. D’altra parte, la stessa Greta Thumberg non si limita più a quei cartelli, ma si fa arrestare a difesa di Lützerath e si schiera contro la strage di Gaza, con tanto di kefiah al collo. La giustizia climatica, infatti, è anche questo “navigare nella tempesta”.

Foto 1: “Lakshmi Thevasagayam und Luisa Neubauer in Lützerath” di Stefan Müller (CC BY-NC 2.0 DEED)

Foto 2: “Greta Thunberg spricht bei Demonstrtion gegen die Räumung von Lützerath für den Braunkohleabbau.” di Stefan Müller (CC BY-NC 2.0 DEED)

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 52 di Febbraio-Marzo 2024: “Europa: a che punto è la notte?

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