Nessuna tassazione senza partecipazione – Dai Comuni al mondo

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di Pino Cosentino 

“Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”.

Così il secondo comma dell’articolo 75 della Costituzione italiana esclude la possibilità per il popolo di intervenire sulle materie più rilevanti e caratteristiche dell’azione di governo. A cascata, la medesima inibizione ricade su tutti gli strumenti di partecipazione, a livello regionale e comunale, allargandosi dai referendum alle proposte di legge regionali e alle delibere comunali di iniziativa popolare e finanche a petizioni e istanze.

Queste proibizioni sono rivelatrici di un retro pensiero neppure nascosto dai padri costituenti: il popolo è un sovrano minorenne, che deve essere guidato da un tutore. Il tutore non può essere che la classe politica. Come in ogni monarchia ben organizzata, il sovrano regna, ma non governa. Il governo è un mestiere, il più difficile che ci sia. E’ compito di specialisti, di persone qualificate, dotate di conoscenze tecniche, di inclinazione e talento, di esperienza, di personalità equilibrata e solida. Per ragioni tra loro opposte, di regola i titolari della sovranità non possiedono queste caratteristiche. Il monarca, perché il diritto dinastico non coincide se non occasionalmente con la capacità e la volontà di applicarsi al governo. Il popolo, perché è una bestia dalle moltissime teste, che quando agiscono insieme perdono ogni ragionevolezza e cadono facilmente in comportamenti estremi, trascinati da mestatori e demagoghi.

Se questa idea poteva avere qualche giustificazione 70 anni fa, oggi appare decisamente superata.

Oggi è la classe politica (ben diversa da quella costituente, selezionata dalla tragica esperienza della dittatura, della guerra e della Resistenza) la bestia dalle mille teste, formata per lo più da personalità fragili e inconsistenti, moralmente, culturalmente e caratterialmente. La “morte delle ideologie” ha lasciato spazio alla cialtroneria come qualità distintiva del politico di successo. Nei più grandi Stati definiti democratici (tra cui il nostro)  il ceto politico (dovunque screditato e detestato, a parte le clientele) conserva la sua posizione di preminenza rispetto al popolo perché c’è un altro sovrano,  sopra-ordinato sia al popolo sia alla rappresentanza politica: il potere economico (i “mercati”) che ha interesse a mantenere in vita l’attuale sistema politico proprio per evitare una rivoluzione democratica che lo distruggerebbe. Oggi assistiamo – grazie anche all’innalzamento del livello culturale medio della popolazione, all’avanzata del terziario/quaternario e delle professioni intellettuali, alle diverse ondate di rivoluzioni culturali, dalla femminista all’ambientalista fino alla vegana, che hanno affinato le sensibilità, prima ancora delle capacità cognitive – ad un clamoroso ribaltamento tra popolo e classe politica: tra i due appare più irrazionale, destabilizzante, irresponsabile e pericolosa la seconda che il primo.

Così quella proibizione appare non solo superata, ma nociva. Perché impedisce al sovrano relativamente più saggio di  interferire nelle materie dove più ce ne sarebbe bisogno, che invece sono lasciate al totale arbitrio di una rappresentanza politica che, con ogni evidenza, ha fatto e fa di questo suo monopolio l’uso più sciagurato e sconsiderato.  E che oggi nel suo insieme costituisce, senza distinzioni tra un partito e l’altro, la longa manus del sovrano effettivo, nemmeno tanto occulto: l’alta finanza occidentale.

E’ necessario e urgente un profondo cambiamento, una rivoluzione democratica che dia finalmente l’effettivo potere decisionale al sovrano costituzionale, mettendo la rappresentanza eletta al servizio del popolo, e non viceversa. La rivoluzione democratica da qui dovrà partire. Le risorse pubbliche debbono essere sottratte al controllo esclusivo della rappresentanza politica. Debbono essere i cittadini in prima persona a decidere, sebbene in confronto dialettico con la rappresentanza, come debba essere distribuito il carico fiscale e a stabilire le priorità di spesa, a livello statale, regionale e comunale.

Bisognerà cambiare la Costituzione, impresa quasi impossibile. Ma anche riuscendoci, non basterebbe, tanto è potente e incombente il sovrano effettivo, così lontano, così vicino. Se il sovrano effettivo appare irraggiungibile, annidato com’è negli spazi trascendenti della globalizzazione finanziaria, e ben protetto dalla preponderante talassocrazia USA (che include anche il dominio dei cieli) con la sua rete planetaria di basi militari, allora l’unica possibilità è ripartire dai territori. Più precisamente dai Comuni. E qui costruire con paziente, inflessibile tenacia, l’organizzazione popolare a partire dall’autentico bilancio partecipativo, che non è il farraginoso processo  inventato a Porto Alegre per decidere l’uso del …3. o 4 o 5% del budget comunale destinato a investimenti, ma l’impostazione dell’intero bilancio comunale, in un’apposita sessione della durata di qualche mese ogni anno dedicata alla discussione e approvazione del bilancio di previsione.

Risuoni dovunque il motto “Nessuna tassazione senza partecipazione”. E’ giusto, è necessario, è maturo nei fatti, lo diventerà anche nelle coscienze.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 32 di Gennaio-Febbraio 2018: “Debito globale: come uscirne?

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