Moneta e debito, chi paga il conto?

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Foto: “Wipe our Debt” by Images_of_Money is licensed under CC BY-SA 2.0

di Marco Bertorello e Danilo Corradi, Cadtm Italia*

*articolo pubblicato su il manifesto del 31.10.2020 

Nuova Finanza pubblica. Bce e FMI chiedono che non vengano interrotti gli interventi degli Stati, suggerendo di stabilizzare nel medio periodo le politiche pubbliche di sostegno

Le politiche monetarie non convenzionali sono diventate la convenzione. Ben prima della crisi sanitaria le banche centrali avevano ripreso a pompare moneta nel sistema economico-finanziario e a ribassare i tassi. Nel 2020, all’unisono, Fed, Bce, BoJ e Pbc hanno dilatato i propri bilanci di oltre il 30%: un intervento tempestivo e coordinato, accompagnato da quello degli Stati.

Nei principali paesi i deficit per il 2020 cresceranno del 10-12% sul PilDa una parte pesa la riduzione del Pil, dall’altra le spese per gli stabilizzatori automatici e per il sostegno a redditi e imprese. Questa dinamica è talmente pervasiva da aver incrinato equilibri politici e finanziari consolidati: il Recovery Found, ad esempio, appare una prima mossa, seppur contraddittoria e limitata, verso la condivisione del debito a livello europeo. Il ritorno della pandemia lascia intendere che tutto ciò, per quanto eccezionale, non sarà sufficiente. Bce e FMI chiedono che non vengano interrotti gli interventi degli Stati, suggerendo di stabilizzare nel medio periodo le politiche pubbliche di sostegno.

La seconda ondata renderà queste richieste ancor più necessarie, disvelando oltremodo la normalità dello stato di eccezione. Da più parti, tuttavia, viene denunciato il rischio di ridurre, o addirittura abolire, i meccanismi di mercato. Sussidi, bonus, finanziamenti a fondo perduto, acquisizioni di aziende in crisi, vengono incasellati sotto l’etichetta di un nuovo statalismo. Dato che tali misure si reggono sull’emissione di nuovo debito si evoca, paradossalmente, la minaccia di un «socialismo del debito e assistenziale». Ciò che si rimuove è che sono stati i meccanismi economici neoliberisti ad aver costruito un sistema economico fondato sul debito.

Di vero c’è che questo sostegno all’economia costruito in disavanzo non potrà crescere all’infinito, anche se i limiti di tale politica non sono meccanicamente calcolabili. Oggi la prospettiva sembra nuovamente quella di prendere tempo, iniettare moneta attraverso le banche centrali per sostenere l’indebitamento nella speranza di stimolare un nuovo ciclo inflazionistico. La crescita dei prezzi permetterebbe contemporaneamente di mangiarsi una parte dei debiti e incentivare la crescita di consumi e investimenti. Da qui i cambiamenti nella regolazione delle banche centrali nella direzione di una maggiore tolleranza verso l’inflazione.

Ma sarà sufficiente? Si impone il tema del superamento di un modello economico ormai in crisi strutturale. Un tema di portata epocale che si intreccia con la pressione più pragmatica e imminente su chi pagherà il conto. Come afferma l’economista Thomas Piketty, per ridurre il debito storicamente si sono affermate tre opzioni: l’austerità, l’inflazione e l’imposta sul capitale.

L’austerità in vigore da decenni sembra caduta in disgrazia anche tra molti dei suoi sostenitori. L’inflazione, se ben dosata, può svolgere una funzione utile, come è accaduto per riassorbire i debiti più importanti del passato, ma ha diversi limiti. Oggi l’inflazione potrebbe risultare socialmente ingiusta poiché agirebbe come tassa occulta soprattutto su salario e piccolo risparmio, mentre storicamente si è rivelata vincente a condizione che vi fossero dei meccanismi di crescita economica robusti e autonomi. Piketty sostiene che «la soluzione di gran lunga più soddisfacente per ridurre il debito pubblico consiste nel prelievo di un’imposta eccezionale sul capitale privato».

Un’imposta sui grandi patrimoni privati consentirebbe di raccogliere fino a un’annualità di reddito nazionale. Aumentare le imposte rischierebbe di alimentare la crisi? Dipende da quali imposte. Siamo sicuri che spostare risorse dalla rendita e dalla ricchezza improduttiva all’investimento pubblico e ai consumi non abbia effetti anti-recessivi? Ridurre la sproporzione di ricchezze non ci regalerà un nuovo modello economico, ma potrebbe essere una buona base di partenza.

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