di Raphael Pepe
Dopo 15 anni, la Francia si sveglia di nuovo con l’incubo di trovare Le Pen al secondo turno delle elezioni presidenziali. Il 21 aprile 2002, molti francesi sono caduti dalle nuvole, quando hanno visto che stava accadendo quello molti ritenevano impossibile. Dopo cinque anni di governo Jospin caratterizzati dal completamento dei processi di privatizzazioni, il 17% dei francesi sanzionava quest’ultimo con il voto a Jean-Marie Le Pen.
La data del 21 aprile 2002 ha cambiato profondamente il quadro politico francese, e da questa data, si é imparato tanto. Per poter capire le posizioni di gran parte della sinistra francese in questi giorni, occorre fare un po’ di chiarezza ricordando quello che è successo dopo quel 21 aprile, o meglio, dopo il 5 maggio, giorno del voto al secondo turno.
All’epoca tutti i candidati, ad eccezione di Arlette Laguiller, Lutte Ouvrière e Olivier Besancenot della Ligue Communiste Révolutionnaire, chiamarono esplicitamente i propri elettori a votare Chirac, ma fu in particolare la sinistra a mobilitarsi.
Per quanto mi riguarda, a 17 anni, ho vissuto quel momento come un trauma, mi sono svegliato scoprendo che la Francia multiculturale, la Francia antirazzista e antifascista nella quale pensavo di vivere fosse una farsa. Vivevo anche molto male l’impossibilità di poter votare, considerando la mia minore età; ma durante i 15 giorni tra i due turni, mi mobilitai insieme a tanti studenti per “bloccare il fascismo”! Disertai la scuola per alcuni giorni per fare assemblee e organizzare la mobilitazione.
Oggi però, sapendo quanto é successo dopo queste elezioni, sono contento di non avere avuto l’età giusta per votare Chirac, sono felice di non aver potuto esercitare questo “diritto”, che ha portato a 10 anni di attacchi ai ceti sociali più deboli di questo paese, ad una politica reazionaria e una repressione che forse non si vedeva dal ‘68.
I primi anni del governo Raffarin, venne creato mediaticamente un personaggio che sarebbe poi diventato presidente, quello che si faceva chiamare allegramente “le premier flic de France” (il primo poliziotto di Francia): Nicolas Sarkozy.
In quegli anni vivere in una banlieue o essere maghrebino significava non poter incrociare una pattuglia senza dover esibire il proprio documento. Nella mia vita, penso di non essere mai stato controllato così tanto dalla polizia come nei tre anni successivi a questa tornata elettorale.
Ma la repressione non colpiva solo giovani “banlieusards” perché il primo provvedimento del governo, una sorta di “pacchetto sicurezza”, se la prendeva soprattutto con prostitute o mendicanti, “contro il degrado” si diceva. (In questo devo dire che la Francia, ha anticipato di parecchio quanto sta accadendo negli ultimi anni in Italia).
Il 23 aprile 2017, l’incubo francese si ripete, con delle varianti però: abbiamo alle spalle dieci anni di dura crisi economica e di scellerate politiche di austerità, il Parti Socialiste ha dimostrato in modo palese di essere un partito neo-liberista, e soprattutto, ci siamo fatti le ossa, e abbiamo imparato tanto dal 2002.
Stavolta non é più il vecchio guercio a rappresentare il FN, ma la figlia Marine, e a sfidarla c’é un personaggio visto da molti (almeno dal 23% dei francesi), come espressione di una “nuova politica”. Giovane, bello, ambizioso, Macron non dice di non essere né di destra né di sinistra, perché sostiene di prendere il meglio da entrambi gli schieramenti. In molti pensano che in fin dei conti bisognerebbe lasciare un’opportunità a questo ragazzo di 39 anni, ma forse non hanno capito chi è Macron, oppure lo hanno dimenticato.
Ispettore delle finanze e poi banchiere presso Rothschild, la sua prima opportunità al governo l’ha avuta all’età di 37 anni, e non certo con un ruolo di poca rilevanza politica: nel 2014 é diventato ministro dell’economia, e ci è rimasto per due anni, il tempo di far passare una bella riforma che porta il suo nome.
La “Loi Macron” è stato un assaggio abbastanza preciso dei progetti del candidato alla Presidenza. Con questa legge è stato facilitato il lavoro di domenica e di notte, che prima era possibile solo per poche categorie, è stato modificato il regolamento dei licenziamenti collettivi alleggerendo restrizioni mal viste dai padroni, sono state vendute per un pugno di miliardi partecipazioni dello Stato di una decina di grandi gruppi francesi, per “risanare il debito”. Si tratta solo di quanto i “socialisti” francesi hanno concesso a Macron che aveva anche altri progetti, per esempio, cancellare le pene per gli imprenditori colpevoli di calpestare il diritto sindacale e imporre una soglia massima di indennizzo per i lavoratori licenziati.
Questo bel progetto, il governo Hollande lo fece approvare nella primavera del 2015, in pieno stato d’emergenza, sull’onda emotiva degli attentati a Charlie Hebdo. Qualche editorialista affermò in modo palese che fosse opportuno sfruttare quel momento per far passare delle riforme “necessarie”. Macron sfruttò alla grande la teoria della “Shock Economy”.
Ecco per chi fanno il tifo, la stampa, i media, i dirigenti di banche e di grandi società, capi di Stato “in nome dell’antifascismo”. Una volta quel sentimento antifascista era comune ad un ampio schieramento politico, ma sembra essere rimasto solo ai Mélenchon e Poutou della situazione. In Francia, non é certo la Le Pen a dare fastidio: nelle ultime settimane di campagna elettorale infatti il martellamento mediatico ha soprattutto insistito sui rischi per i mercati finanziari qualora dovesse passare Melenchon. Ora, tutti rassicurati, i mercati stanno bene, e le borse sono in rialzo.
Sono passati 15 anni, e stavolta il gioco lo si conosce, io sono di quei francesi che si rifiuta di esprimere una preferenza, perché non c’é preferenza possibile, non si può scegliere in che modo essere schiacciati nei prossimi 5 anni, sarebbe come scegliere tra la Thatcher e Pinochet, e so che in molti pensano che se così fosse non si potrebbe non votare la Thatcher. Andatelo a dire ai lavoratori inglesi che negli anni 80 sono stati schiacciati dalla donna di ferro!
Sono uno di quei tanti francesi che non accetta questo gioco e che non darà il voto a Macron. Per molti social democratici, si tratta di un atto “irresponsabile”, “vigliacco”, o addirittura “immaturo”.
Si tratta invece del rifiuto di legittimare una macelleria sociale già in atto e che verrebbe rafforzata. Si tratta del rifiuto di essere “responsabili”, anche se solo con il voto, di politiche vergognose. E’ un atto coraggioso e duro per chi ha sempre lottato con forza contro l’estrema destra, ma non in modo occasionale e opportunista votando per il pagliaccio di turno. Soprattutto, si tratta di una scelta matura. Come molti altri compagni non ho bisogno di pensarci due volte, perché la storia la conosciamo.
La democrazia rappresentativa ha tantissimi limiti, lo sappiamo, ma se si tratta di scegliere che tipo di manganello ci colpirà, parlare di “limiti” della democrazia rappresentativa diventa riduttivo. Diventa doveroso rifiutarsi di partecipare a questa farsa.
Arriveranno anni duri per la Francia, ma per fortuna esiste già un ampio movimento, che dai risultati alle urne rappresenta quasi il 20% dei francesi e che é pronto a difendere valori che si stanno perdendo, come la liberté, l’égalité e la fraternité.
Stavolta nessuno ci venga a dire che chi non vota non si può lamentare!
Chi con consapevolezza sceglie di non votare non è indifferente. Per molti è una scelta partigiana.