L’attualità di un referendum tradito

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di Tommaso Fattori (ex Consigliere regionale Toscana e attivista del Forum Italiano dei movimenti per l’acqua)

– Il decennale e la pandemia

L’assoluta attualità del referendum tradito è rivelata dalla pandemia. La prima lezione che ci viene da questa crisi multiforme è che i servizi pubblici sono essenziali per la vita stessa e che il futuro della società non può essere deciso dal mercato. Avremmo affrontato diversamente l’epidemia se negli anni passati non avessimo de-finanziato il sistema sanitario e la scuola, se non avessimo smantellato la ricerca pubblica e privatizzato la gestione di servizi essenziali, dal trasporto pubblico locale alle RSA, se non avessimo distrutto i diritti del lavoro rendendolo normalmente precario e semischiavizzato. E se non avessimo ucciso sul nascere ogni forma di democrazia partecipativa e manomesso i meccanismi della democrazia parlamentare, al punto che oggi un governo di larghe intese procede a suon di cabine di regia tecniche e decreti legge.

L’importanza di avere un sistema sanitario pubblico e servizi essenziali gestiti secondo la logica dell’interesse collettivo, non del profitto di pochi, è ormai evidente a chiunque. Hanno fatto bene i sindacati a ribadire come il lavoro dei dipendenti dei servizi pubblici fondamentali, dalla sanità all’acqua, ai trasporti, abbia permesso agli ospedali di funzionare e al Paese di andare avanti. I servizi pubblici sono funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali di tutti noi.

E la battaglia per l’acqua culminata con il referendum del 2011 – simbolica testa d’ariete per aprire una più universale campagna di riappropriazione dei beni comuni, cura del mondo,  ricostruzione di legame sociale – è confermata nella sua piena attualità proprio dall’oggettivo intreccio delle tante dimensioni di questa crisi pluridimensionale, che non è solo sanitaria ma anche ecologica, economica e sociale.

Fra la straordinaria vittoria referendaria del 2011 e questa pandemia c’è stato un altro evento, tragico, che ha rivelato nuovamente questa diffusa consapevolezza: la reazione collettiva al crollo del Ponte Morandi. Per quanto centrosinistra e centrodestra abbiano per decenni privatizzato i servizi essenziali e regalato ai privati le infrastrutture e i settori strategici del Paese, è diventato sempre più raro trovare esponenti politici che difendono apertamente le privatizzazioni. Il senso comune è ormai cambiato e oggi persino il  progetto di riassorbire i gestori dei servizi idrici entro le grandi Multiutility del centro nord viene paradossalmente spacciato all’opinione pubblica come un percorso di rafforzamento della gestione pubblica. Ormai l’assioma neoliberista “pubblico = inefficiente, privato = virtuoso” si è sbriciolato sotto i colpi dell’esperienza vissuta e dell’evidenza empirica.

– Dieci anni e venti anni

Sono dunque ormai passati 10 anni dai referendum del 2011, vero e proprio spartiacque nella cultura del nostro Paese. E sono passati quasi 20 anni dal primo Forum Mondiale Alternativo dell’Acqua tenutosi a Firenze nel 2003, sull’onda lunga delle giornate di Genova 2001 e del Forum Sociale europeo del 2002. Erano gli albori del movimento per l’acqua, che in quella primissima fase portò alla formazione di un Forum regionale in Toscana e all’elaborazione collettiva della prima legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato, allora su scala regionale, che raccolse 43 mila firme in pochi mesi. Negli anni seguenti si formò il Forum italiano, capace di tenere assieme le tante lotte per l’acqua diffuse nel paese, e poi si strutturò quell’ampissima coalizione che preparò l’imponente vittoria referendaria del 2011, dopo aver tentato senza successo, anche su scala nazionale, la strada della legge di iniziativa popolare, che pure raccolse oltre un milione e quattrocentomila firme in breve tempo. Una legge mai discussa dal Parlamento e poi trasfusa in un testo di legge di iniziativa parlamentare rimasto a sua volta insabbiato, malgrado fosse (e sia a tutt’oggi) sostenuto dalla prima forza parlamentare e di governo, almeno formalmente.

Cosa è successo in vent’anni? Certamente siamo stati facili Cassandre, considerato che una gestione privatistica del servizio idrico ha come obiettivo primario il profitto e che il profitto si ottiene aumentando le tariffe, precarizzando il lavoro e riducendone il costo, non effettuando gli investimenti necessari, abbassando la qualità del servizio e aumentando i consumi. Questo accade con le Spa dell’acqua e accade con le grandi Multiutility, che soffrono anche le diseconomie di scala.

Avevamo previsto pure il progressivo peggioramento della qualità delle acque di falda e di superficie, frutto di un modello di sviluppo distruttivo e dell’incapacità di preservare il ciclo delle acque nella sua integrità e di garantire, attraverso i  piani di bacino, il giusto equilibrio tra prelievi e capacità naturale di ricostituzione della risorsa. Nulla è stato fatto per restituire la vegetazione alle aree che abbiamo inaridito, né per riprogettare le città e le abitazioni contemplando aree verdi, sistemi di immagazzinamento di acqua piovana e reti cosiddette duali. Una visione sistemica che è purtroppo mancata e che invece è fondamentale anche per contrastare il caos climatico.

Infine avevamo previsto il progressivo processo di mercificazione e finanziarizzazione dell’acqua, ormai da tempo scambiata sui mercati finanziari come una merce qualsiasi. Esistono svariati Etf (N.d.R. Exchange-Trade Fund) che riflettono l’andamento di titoli legati a questo bene vitale e c’è persino qualche fondo specializzato. Inoltre, da pochi mesi, il Cme Group, la più grande piazza finanziaria globale dei contratti a termine, ha creato il primo “future” al mondo sull’acqua, ossia uno di quei contratti derivati che consentono di acquistare un prodotto ad un prezzo prefissato, in un periodo differito nel tempo. Anche l’acqua è quindi oggetto di speculazione finanziaria da parte di investitori che scommetteranno sul fatto che in futuro il suo prezzo possa salire o scendere sui mercati, e che si arricchiranno giocando su queste oscillazioni, come già accade per svariate materie prime.

– Spa e Multiutility: istituzioni postdemocratiche

Nei 10 anni che ci separano dalla vittoria referendaria si è andato consolidando il modello post-democratico di governo dei beni comuni e dei servizi pubblici attraverso Spa miste e Multiutility quotate in borsa. Un modello nel quale i luoghi decisionali sono sottratti al controllo democratico e dove le catene di responsabilità appaiono sempre più difficili da ricostruire. Questo modello di sostanziale privatizzazione della “presa di decisioni” garantisce allo stesso tempo la deresponsabilizzazione del ceto politico amministrativo, che pur mantiene un piede all’interno dei CDA di cui nomina una parte dei componenti.  Le Spa sono oggi le nuove istituzioni postdemocratiche che decidono dei beni e dei servizi di tutti e i loro CDA sono le opache arene nelle quali vengono elaborate le nuove politiche pubbliche territoriali, al posto dei consigli comunali e delle altre assemblee elettive. Cordate di imprenditori e banche locali, rappresentanti di multinazionali, figure nominate da capi e “ducetti” politici locali compongono la nuova arena decisionale la cui missione non è più l’erogazione di un servizio pubblico ma la vendita di una merce. Con la creazione delle grandi Multiutility e delle mega Holding, l’allontanamento dei centri decisionali dai territori e l’affrancamento dalla democrazia locale è totale.

– La speranza, l’impegno, la vittoria

In tutti questi anni il movimento per l’acqua bene comune ha dimostrato una considerevole capacità di resistenza. Sono apparsi sulla scena altri movimenti fratelli, come i Fridays for Future, e altre reti sorelle, come la Società della Cura. Apparentemente meno strutturato e meno visibile, sta prendendo forma anche un movimento che utilizza i beni comuni come elemento unificante e capace di dare un orizzonte di senso a percorsi e pratiche fra loro diverse per dimensione e oggetto, che vanno dal recupero di immobili abbandonati alla coltivazione collettiva di terre, dalla produzione di beni comuni digitali alla reinvenzione di nuovi modelli di gestione partecipativa dei servizi pubblici. Ciò che unisce questi mondi è il ‘commoning’, ossia l’attività di condivisione, autonormazione e autogoverno che crea legame, relazioni e comunità aperte. E che genera esternalità ambientali e sociali positive, cura e riproduzione di beni condivisi.

Assai più statico e pericolosamente regressivo è invece il panorama della politica istituzionale, in stretto rapporto con i grandi poteri economico finanziari. Resta incolmato l’abisso fra la volontà espressa nel 2011 dalla grandissima maggioranza degli italiani e l’opposta volontà della quasi totalità del mondo politico, che continua silenziosamente a perpetuare la mercificazione dei beni comuni e dei servizi pubblici. Una frattura che non potrà continuare a lungo, dato che ogni volta che la tragedia delle privatizzazioni si manifesta, magari in forma limpidamente assassina come nel caso del crollo del Ponte Morandi, nella popolazione crescono rabbia e consapevolezza. Ecco perché non smetteremo per un solo istante di impegnarci, di organizzarci e di lottare finché non ci saremo ripresi i beni comuni e finché non avremo ottenuto una legge che attui ciò che il popolo italiano ha stabilito con il voto referendario di 10 anni fa.

Photo Credits: Manifestazione nazionale per la difesa e la gestione pubblica e partecipata dell’acqua e dei beni comuni Sabato 15 dicembre 2012 – Reggio Emilia

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 47 di luglio-agosto 2021:  “20 anni di lotta e di speranza

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