La migrazione come strumento di disciplinamento della società

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di Roberto Guaglianone

Crisi finanziaria ed “emergenza migratoria”

Il 2008, anno dell’inizio formale della “crisi finanziaria, segnato dal fallimento della Lehman Brothers e di altre compagnie bancarie statunitensi sanciva anche in Europa, ed in particolare in Italia, l’inizio di una serie di aumenti dei flussi migratori dalla sponda Sud del Mare Mediterraneo.

Il nostro paese affrontava già da una decina d’anni il fenomeno migratorio attraverso politiche di accoglienza, integrazione e tutela per rifugiati, mentre la legge 189/2000 (cosiddetta “Bossi-Fini”) continuava a chiudere ogni possibilità di flussi migratori regolari per motivi di lavoro, indirizzando tutti i flussi di persone assoggettati verso il  traffico malavitoso gestiti – nel loro ultimo tratto – dagli “scafisti”.

La legge “Bossi-Fini, approvata nel 2002, aveva visto pubblicati i suoi regolamenti attuativi solo nel 2005, andando a modificare la c.d. “Legge Turco-Napolitano” del 1998: l’Italia aveva da 10 anni uno strumento aggiornato di pianificazione della politiche migratorie, ma decideva di non avvalersene, optando per la continua riproposizione di provvedimenti di “emergenza”, senza programmare un piano di accoglienza capace di venire incontro al crescente spostamento di persone dall’area mediterranea verso l’Europa.

Il continuo ricorso a strumenti di emergenza per la gestione delle migrazioni forzate creerà, con il passare degli anni (e di governi di ogni colore), le condizioni perché- ad un certo punto – un fenomeno assolutamente strutturale possa essere presentato alla popolazione come la principale delle emergenze.

In questo senso, le forme di disciplinamento sociale “da shock” utilizzate per l’imposizione delle politiche economiche di austerità in ambito europeo non appaiono molto diverse da quelle usate da molti politici europei sul versante delle migrazioni. Anche in questo caso, senza distinzioni di “parte politica” tra centrodestra e centrosinistra, in Italia come altrove. 

Tornano in mente alcune affermazioni su uno dei principali teorici del neoliberismo, contenute in “Shock economy” di Naomi Klein, secondo cui “[Milton] Friedman ha capito che, così come i prigionieri sono ammorbiditi  a causa dello shock della loro cattura, per l’interrogatorio, lo shock dei disastri potrebbe servire per ammorbidire la gente fino ad accettare la sua massiccia  radicale crociata per il libero mercato. Ha informato i politici che immediatamente dopo una crisi, loro dovrebbero spingere  attraverso una serie di azioni dolorose, intese come polizze contro la capacità di riacquistare lucidità, fiducia in se stessi da parte della gente.” 

Come la “crisi economico-finanziaria” è servita al disciplinamento sociale delle popolazioni europee nell’accettazione delle politiche di austerità e degli strumenti del suo  mantenimento, come la trappola del debito, che sono le “polizze contro la capacità di riacquistare lucidità” dei cittadini; così, in un modo molto simile,  la presunta “crisi dell’immigrazione” attraversata dall’Europa nel 2015, ha indotto molti governi a “spingere  attraverso una serie di azioni dolorose”: restrizione di diritti  internazionalmente sanciti, introduzione della “retorica della sicurezza e del decoro urbano”.

2008, iniziano le cosiddette “crisi”: da 10mila a 36mila arrivi in un anno.

Il 2008, anno del fallimento di Lehman Brothers, evento inaugurale della cosiddetta “crisi finanziaria”, è anche – come detto – l’anno della prima cosiddetta “emergenza immigrazione” in Italia (si passa da 10mila a 36mila richieste d’asilo in un anno).

A quel tempo, per accogliere i richiedenti asilo sprovvisti di risorse vi sono i posti del sistema di accoglienza ordinario SPRAR. Si tratta dell’acronimo di Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati: un sistema pubblico, perché in mano ai Comuni italiani coordinati da ANCI; virtuoso, anche nelle modalità di controllo e verifica delle spese, sottoposte a severe rendicontazione; efficace, in termini di avvio all’integrazione sociale dei rifugiati nei territori, dove sono presenti in modo equamente distribuito. Si trattava, in quell’epoca, di nemmeno 2000 posti di accoglienza, insufficienti per garantire accoglienza alle persone che dall’inizio del decennio presentavano in Italia 10000 domande d’asilo ogni anno.

Con l’arrivo di un flusso tre volte maggiore ed un sistema di accoglienza del tutto impreparato, nella primavera-estate del 2008 si lasciano creare tendopoli ovunque, soprattutto in zone rurali del Sud Italia, per tutta la primavera fino all’inizio dell’estate, per poi intervenire con decretazione d’urgenza e assegnazione di servizi (“Centri di accoglienza”) senza nemmeno effettuare regolari gare d’appalto , motivo per il quale sarà indagato capo-dipartimento del Ministero dell’Interno, prefetto Morcone, poi archiviato.

2011, l’attacco alla Libia e la cosiddetta “emergenza Nord Africa” del 2011

Nel 2009-2010 i flussi tornano a dimensioni “ordinarie”, ma l’esperienza del 2008 non porta ad una modificazione delle politiche di accoglienza: anzi, il ministro dell’interno Maroni si rende protagonista, insieme al suo governo, dei “respingimenti in alto mare” di potenziali richiedenti asilo che costeranno all’Italia una condanna da parte delle massime istituzioni giudiziarie europee.

Tre anni dopo, nel 2011, la rivoluzione tunisina porta all’apertura delle frontiere marittime: migliaia di giovani di quel Paese cercano di ricongiungersi con familiari già presenti soprattutto in Francia, via Italia.

Pochi mesi dopo, i bombardamenti occidentali sulla Libia innescano l’economia della fuga per decine di migliaia di cittadini dell’Africa Sub-sahariana, che inaugurano la “rotta italiana”. 

Nulla si è fatto, in tre anni, per regolarizzare e stabilizzare il sistema di accoglienza ordinario (che si amplia, ma fino a soli 9000 posti), dopo la chiusura della fase straordinaria del 2008.

Nel 2011 ci saranno 37350 domande d’asilo, sostanzialmente lo stesso numero del 2008, ma per l’accoglienza dei richiedenti asilo si ritorna ai centri straordinari, con gare d’appalto in deroga alla normativa e scarsissimi controlli di gestione. 

2015, la  cosiddetta “crisi europea dell’immigrazione”

Il 2011 è anche l’inizio della guerra in Siria. Un conflitto (tuttora) devastante, che lascia da subito presagire la possibilità di flussi molto importanti di persone in fuga dalle operazioni militari. Ciononostante, la guerra siriana fa implodere il “sistema di accoglienza “europeo, totalmente inadeguato ai flussi in arrivo dall’est Europa, oltre che dall’Est e dal Centro del Mediterraneo.

La  situazione “emergenziale” che viene presentata giustificherà gli accordi illegali dei governi europei con la Turchia (Paese terzo non sicuro), scritti sulla falsariga di quelli con l’altrettanto “non sicura” Libia (saltati insieme a Gheddafi nel 2011). Anche per via di questi accordi, che mirano a chiudere l’ingesso in Europa da Est via Turchia,  la crisi siriana ha forti ripercussioni soprattutto sull’Italia: per un triennio gli ingressi in Italia superano quota 150mila. Molti meno i richiedenti asilo, fino al 2016, anche se la maggior parte transita.

Il sistema ordinario SPRAR contava allora su nemmeno 15mila posti di “accoglienza integrata” (non solo “un letto e un tetto”, ma anche iniziative di inserimento socio-economico). Ad oggi lo SPRAR arriva a quota 36mila posti, comunque inadeguata alle nuove esigenze.

Impazza, invece, il sistema straordinario, che – contraddicendo la stessa legge,nel frattempo varata (D. Lgs. 142/2015) – sovrasta lo SPRAR con 170mila posti. Appalti sì, controlli pochi, accolti solo i richiedenti asilo. 

Di “emergenza” in “emergenza”: come ti creo lo shock sociale

Ricapitolando: 

– nessuno dei tre flussi “straordinari” era imprevedibile, data la situazione geopolitica;

– nessuna politica migratoria (non solo sull’asilo, ma anche sulle migrazioni “non forzate”), anche europea, è stata attuata, dai governi succedutisi tra il 2008 e il 2015;

– l’Italia (più in generale, gran parte dell’Europa) si è fatta trovare incredibilmente impreparata a gestire questi flussi, assolutamente considerabili strutturali e numericamente molto inferiori alle presenze verificatesi negli stessi anni nei Paesi limitrofi alle zone d conflitto (Libano, Turchia, Giordania, Iran).

Ci sono tutte le condizioni perché vengano “suggerite” – direbbe Friedman – alcune politiche “shock” per ridurre i flussi migratori, nonostante si sia in presenza  di un fenomeno prevedibile, non solo dai soliti agitatori politici delle politiche razziste chiuse alle migrazioni, ma anche da quelli considerati “moderati”: ed è questa la vera novità degli ultimi anni. Vediamole, in un’ottica schematicamente solo italiana, accompagnate dai nomi dei protagonisti nostrani.

Le politiche shock per ridurre i flussi migratori

1) STOP A “MARE NOSTRUM”

Viene chiusa il 31 ottobre 2014 (governo: Renzi, Ministro dell’Interno: Alfano) la missione “Mare nostrum”, istituita dal governo Letta dopo le stragi di Lampedusa dell’ottobre 2013, con la previsione dell’utilizzo della Marina Militare italiana per una missione per una volta davvero umanitaria: il salvataggio di vite umane nel Canale di Sicilia e al largo delle coste libiche. 

2) ACCORDI BILATERALI – LIBIA

Vengono stipulati a fine gennaio 2017 (governo: Gentiloni, Ministro dell’Interno: Minniti) Dieci mesi dopo l’UNHCR li definirà “disumani”, per le condizioni di permanenza dei rifugiati in Libia e la tratta degli stessi verso l’Italia.

3) “PACCHETTO MINNITI”

Decretazione d’urgenza del 2017 (governo: Gentiloni, Ministro dell’Interno: Minniti) su vari aspetti (anche “decoro urbano”), tra cui la riduzione di un grado di giudizio  (appello) nella procedura per attribuire lo status di rifugiato. Viene anche introdotto un “protocollo” obbligatorio per le ONG impegnate dei salvataggi in mare, con pesantissime restrizioni al loro operato.

4) MISSIONE MILITARE IN NIGER

Prevista da accordi bilaterali (camere chiuse, governo in carica per gli affari correnti: Gentiloni, Ministro dell’Interno: Minniti), si è formalmente svolta tra gennaio e settembre 2018.

5) POLITICA DEGLI “SBARCHI ZERO”

A partire dall’entrata in carica del nuovo esecutivo, il 31 maggio 2018 (Governo: Conte, Ministro dell’Interno: Salvini) viene ripetutamente violato il diritto marittimo, alcune convenzioni sui diritti umani e la legge italiana, impedendo l’approdo a porti sicuri di alcune imbarcazioni d salvataggio, sia di ONG che della marina Italiana.

6) BOZZA “DECRETO SALVINI”

In fase di emanazione (settembre-ottobre 2018), prevede l’abolizione della protezione umanitaria (oggi accordata a oltre un quarto dei richiedenti asilo in Italia) e altre restrizioni al diritto di asilo e al sistema SPRAR, cui è temporaneamente sospeso il rifinanziamento dei progetti, oltre che – a leggere la bozza del “decreto sicurezza” del settembre 2018 – a limitarne la capacità di accoglienza ai soli titolari di protezione.

7) ANCORA IN NIGER

“Agire in Africa, esattamente a sud della Libia e in particolare al confine con il Niger e sul suo stesso territorio. Il ministro dell’Interno e vicepremier, Salvini, ha indicato ancora prima del Consiglio europeo la strada che potrebbe percorrere l’Italia nel fronteggiare l’emergenza migranti.  Che pare che passi proprio dal Niger. Ma nel paese africano sono già presenti militari italiani della missione MISIN, autorizzata durante il precedente governo e iniziata formalmente a inizio 2018, per terminare a fine settembre 2018.” Così la ben informata Eleonora Lorusso, su Panorama del 28/06/2018. Contemporaneamente, il ministro Salvini inasprisce le misure di “decoro urbano” (circolare sugli sgomberi).

Alcune (apparenti) contraddizioni

Oltre alle palesi violazioni dei diritti umani sanciti sia da convenzioni che da consuetudini, l’operato shock dei ministri italiani, ed in particolare di Minniti e Salvini, porta con sé diverse contraddizioni:

  1. La mancata manomissione di quel che resta della Legge Bossi-Fini provoca tuttora l’impossibilità di ingresso per lavoro de facto in Italia.
  2. L’imminente abolizione della protezione umanitaria provocherà, tanto quanto la Bossi-Fini per i migranti lavoratori, un importante incremento di persone irregolarmente presenti sul territorio.
  3. La volontà di non rifinanziare il sistema SPRAR a gestione ANCI-Comuni, unico funzionante (ma fautore di integrazione e quindi inviso), rilancia ulteriormente il ruolo dei Centri governativi a gestione prefettizia, dove per lo scarso controllo si annida la maggior parte dell’estrazione di valore dalle vite dei richiedenti asilo, spesso favorendo la gestioni criminali.

In ultima analisi, il “decreto sicurezza” in firma al Presidente della Repubblica mentre scriviamo “chiude il cerchio” delle restrizioni ad una vita regolare delle persone straniere presenti sul nostro territorio per motivi di protezione internazionale, laddove a “precarizzare” i lavoratori stranieri ci aveva pensato la mai “rottamata” legge Bossi-Fini.

Ma la “preparazione” di queste “politiche shock” è, come si vede, in gestazione da anni e ha i “genitori” più apparentemente disparati, da Napolitano a Bossi e Fini, da Maroni ad Alfano, da Minniti a Salvini.

Gli stessi, a ben pensarci, che hanno decretato e tentano tuttora di capitalizzare – in termini di disciplinamento sociale – il disastroso esito sociale delle politiche di austerità, costruendo nella figura del rifugiato il “capro espiatorio” perfetto su cui far ricadere le colpe delle politiche di impoverimento di massa.

VIDEO: L’intervento di Roberto Guaglianone all’Università estiva di Attac 2018.

SCARICA LA PRESENTAZIONE DELL’INTERVENTO [.pdf 1284KB] 

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 36 di Settembre – Ottobre 2018: “Crisi: 10 anni bastano

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