di: Roberto Guaglianone
Con un Parlamento ormai esautorato di fatto da ogni funzione legislativa, sono i decreti-legge a caratterizzare le scelte dell’esecutivo Lega-5 stelle.
Il “decreto (in)sicurezza”, compattamente votato in Consiglio Dei Ministri qualche giorno fa, non è che l’ultimo dei provvedimenti governativi a collocarsi in un continuum di norme “anti-poveri”.
Aveva iniziato il cosiddetto “decreto dignità” a colpire, non mettendo in discussione l’impianto del “Jobs act”, a partire dal non ripristino degli ammortizzatori sociali (articolo 18 in primis) demoliti da Renzi.
Aveva proseguito Di Maio, annunciando che il (per ora) fantomatico “reddito di cittadinanza” sarebbe stato riservato ai soli cittadini italiani.
Ma è con il “decreto sicurezza” (di cui al momento si possiede la bozza di schema) che compie la sintesi delle misure di “guerra ai poveri” proposte da questo governo. E altre, si può immaginare, ne arriveranno.
Esaminando il decreto, saltano all’occhio una serie di vessazioni, che non risparmiano i cittadini autoctoni, oltre a colpire pesantemente quelli stranieri, in violazione di Costituzione e diritto internazionale.
Lo strumento del decreto-legge – contro il cui abuso i pentaleghisti tuonavano dai banchi dell’opposizione – deve contenere presupposti di necessità e urgenza. Vediamo come queste vengano giustificate:
- “prevedere misure volte ad individuare i casi in cui sono rilasciati permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario”: ma la legislazione precedente o prevedeva già;
- “di norme idonee a scongiurare il ricorso strumentale
Nel capo primo (articoli 1-16), si rinvengono alcuni passaggi che “chiudono il cerchio” della strategia di “immigrazione zero”, che caratterizza la proposta leghista sin dalle origini, ma che è stata fatta propria dall’intera maggioranza di governo, in parziale continuità con l’operato del governo Gentiloni-Minniti. Ricapitoliamo quanto finora già attuato dagli ultimi governi (attuale incluso):
- Fermare i migranti “a casa loro”: accordi di cooperazione militare italiana con il Niger e la Libia, accordi europei con la Turchia.
- Fermare i migranti via mare sulle coste di partenza o in acqua: accordi bilaterali con Paesi della sponda Sud del mediterraneo, accordi specifici con Tunisia, Libia (centri di trattenimento), Egitto.
- Impedire l’approdo dei migranti in Italia: accordi di riaffidamento alla c.d. “guardia costiera libica”, casi “Aquarius”, caso “Diciotti”.
- “Scremare” i migranti all’approdo: legalizzazione (dal 2015) dell’”approccio hotspot” europeo attraverso i centri “hotspot” attualmente operanti.
Vediamo cosa prevede il “decreto (in)sicurezza”:
- Peggiorare la qualità dell’accoglienza dei richiedenti asilo (obbligatoria per il recepimento di una direttiva UE), attraverso:
- aumento dei casi di trattenimento coatto
- invio dei richiedenti ai soli Centri Governativi (i Cara, come la scandalosa struttura da 4000 posti di Mineo, in provincia di Catania; e i Centri di Accoglienza Straordinaria o CAS: gestione prefettizia, poco controllo sui servizi offerti, gestione opaca)
- Aumentare le risposte negative alla richiesta di protezione internazionale, cancellando il “permesso di soggiorno per protezione umanitaria” e diminuendo la durata da 2 a 1 anno, più difficilmente rinnovabili) dei permessi sostitutivi, che ne riducono di molto la platea dei titolari.
Il “combinato disposto” di questo decreto con la riduzione di un grado di giudizio (legislazione speciale) contro le decisioni negative sulla protezione internazionale già previsto da Minniti ridurrà le risposte positive in secondo grado, con l’effetto di creare più presenze irregolari sul territorio.
- Presunto “giro di vite” (sempre dichiarato e mai attuato anche in passato) sulle espulsioni, con maggiori risorse finanziarie ad hoc, ma soprattutto con il raddoppio (da 90 a 180 giorni) dei tempi di possibile trattenimento dei cittadini irregolari nei discussi Centri per l’espulsione (CPR).
- Ridurre drasticamente il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, in capo a centinaia di Comuni italiani, escludendone i richiedenti asilo e i titolari dell’ex protezione umanitaria, che ad oggi ne costituiscono più dell’80% dei beneficiari (su 36000 posti del sistema che la legge continua a chiamare “ordinario” e “prioritario” (ma i CAS hanno 130000 posti, anche se “straordinari”…) e che si occupano con successo di integrazione, a fronte di un rigoroso controllo sulla gestione contabile.
- Impossibilità per i richiedenti asilo di chiedere la residenza anagrafica nel territorio di accoglienza.
- Impossibilità per i titolari di tali permessi di iscrizione al Servizio Sanitario nazionale.
- Aumento delle fattispecie di revoca del permesso di soggiorno per protezione internazionale
- Maggiori difficoltà nell’ottenimento della cittadinanza italiana.
Uno spettro di scelte a tutto campo per rendere sempre più difficile non solo l’arrivo, ma anche la regolare permanenza nel breve e nel medio-lungo dei cittadini stranieri sul territorio italiano, che si aggiunge alla mancata approvazione della legge sullo “ius soli” e alla mai abrogata “Legge Bossi-Fini”, primo banco di sperimentazione di quella “fabbrica di clandestini” che tanto ha giovato a mafiosi caporali e sfruttatori di manodopera in genere, laddove possono contare su un numero crescente di persone non regolarmente presenti sul territorio nazionale e quindi ricattabili su tutti i fronti, lavorativo in primis, coi noti effetti di dumping salariale. A chi giova tutto ciò?
Certamente alle formazioni razziste, di chiara ispirazione fascista e ai loro fiancheggiatori su questi temi, governativi o di opposizione che siano. Avere una “fabbrica di clandestini” attiva a pieno regime potrà sempre consentire loro di invocare la “caccia allo straniero” e guadagnare ulteriori consensi elettorali.
Ma giova anche alle crescenti politiche di repressione urbana, dato che è soprattutto nelle maggiori città che si andrà a concentrare la presenza di persone irregolari. Tra queste, peraltro, si andrà a sommare un sempre maggiore numero di cittadini italiani, oggetto dell’inasprimento dei provvedimenti noti come “DASPO urbano”, introdotti dai “decreti Minniti” (anch’essi collegati a quelli contro i migranti) e rafforzati dal “decreto Salvini” con il pretesto dell’antiterrorismo (art. 21: sperimentazione della pistola elettrica Taser alle Polizie Municipali) e del c.d. “decoro urbano” (art.23: DASPO urbano anche ai senza tetto, che spesso si rifugiano nei posti di pronto soccorso).
Infine, giova alle varie forme di criminalità – organizzata e non – che da sempre rappresentano il principale beneficiario delle politiche di “proibizionismo migratorio”, ma anche più generalmente di “riduzione delle tutele dei lavoratori”.
A questo proposito, va ricordato che le stesse norme del “decreto Salvini” relative al presunto “contrasto alla criminalità organizzata” hanno ricevuto durissime critiche dalle organizzazioni antimafia, per il fondato timore che la criminalità si riappropri dei beni che le sono stati confiscati, in assenza di strumenti efficaci di controllo sulla loro rimessa sul mercato da parte dello Stato.