di Manuela Gualdi
Sono una fiera donna, di sinistra e italiana. Ho partecipato quasi per caso, grazie ad un illuminato invito e prenotando con largo anticipo come il mio solito, all’ Università estiva di Attac Italia dal 13 al 15 settembre 2019 a Cecina Mare (LI).
Ho adorato tutto e da subito l’incontro nazionale intitolato “La società che vogliamo”: c’erano i pini marittimi, le pause pranzo che permettevano una nuotata pre-picnic, un bungalow che mi ricordava l’infanzia e tante persone con occhi buoni.
Il gruppo di partecipanti, circa una settantina, si è amalgamato evidenziando le peculiarità del singolo, tutti sembravano apprezzarsi, anche se non si conoscevano, la gentilezza ed i sorrisi imperavano sui volti di tutti e tutte.
Ho toccato con mano, finalmente, uno stile politico che mi piace, dal greco antico politikḗ ossia “che attiene alla pόlis“, la città-stato. Venivamo tutti da città diverse che si riferiscono ad un unico Stato. E per tre giorni abbiamo fatto politica.
Non ho la Tv da 5 anni nella mia casa-nido e mi è piaciuto che a Cecina non si è svolto intrattenimento telenovistico al gusto di politica-gossip. Si sono affrontati invece temi veri, crudi, olistici, palpabili in merito a noi, alla società che abitiamo e alla politica che ci governa.
Non apprezzo sempre “gli altri”: io sto bene sola, sono solo mia e anche se non è una realtà sempre facile, è bella; invece questa università ha scardinato le mie certezze, ha aperto in me rivoli d’acqua che trasportano pensieri comuni e comunitari, come foglie in autunno nei torrenti rumorosi che galleggiano, spesso salvando esseri viventi. Attac ha ricreato in me fiducia nell’altro e mi ha fatto venire voglia di allearmi, di accoppiarmi, di confrontarmi con i miei simili.
Sono donna, e apprezzo la donna a prescindere, ma questa scuola estiva mi ha fatto piacere anche l’uomo, quello che mi illumina riguardo al fatto che il lavoro non produce più ricchezza e quindi se non vogliamo realizzare una società volta a controllare l’attivazione meccanica di tutti i soggetti per renderli falsamente produttivi, dobbiamo credere in un supporto di base incondizionato per i cittadini, che come strumento di liberazione permetta loro di seguire le proprie vocazioni perché saranno degne di valore.
Se è vero che il denaro diventa capitale quando è in più rispetto alle necessità, trasformandosi in potere, accetto di cambiare il valore scambiato, usiamo il tempo che quello non si accumula! Oppure deleghiamo (con veri strumenti di cittadinanza e partecipazione attiva) a un garante, magari proprio il nostro Stato (maschio anche lui) che permetta a cittadini e imprese di perseguire solo alcune “mission” e “vision” nella società che vogliamo e obblighi a rinvestire in esse (femmine plurali finalmente) gli eventuali utili derivanti.
Una donna all’Università, ha detto con forza che la crisi ecologica è stata creata dal capitalismo, ma è un uomo che ha rincarato la dose, affondando le radici antiche di questa colpa nell’Androcene antropocentrista.
A gran voce tre muse, mistiche e sciamane hanno detto alla platea che violentare una donna è violentare la natura e mi è scesa una lacrima quando un uomo ha spiegato che hanno ragione perché non si può profanare ciò che, sul nostro pianeta, crea.
E se questo mio marcato uso delle parole uomo e donna vi infastidisce, sappiate che se prima dell’Università il mio cervello non ci faceva caso, ad oggi ricerca insistentemente le diversità per trovare in loro un unico valore comune: l’essere umano.
Ho imparato che il linguaggio è alla base delle nostre narrazioni, che possono portare a rivoluzioni, e che le cose esistono solo se le nominiamo. Non è una nominazione come categorizzazione, che ha portato il diritto di dominio le une sulle altre categorie e quindi la violenza di metterle in gerarchia, ma come manifesto di necessità per definire delle regole comuni di partecipazione.
A livello di riflessione sull’Europa, mi è piaciuto molto il concetto di unire e internazionalizzare le lotte. La lotta, anticamente “lutta”, dal latino lŭcta, consiste infatti nel combattimento corpo a corpo tra due avversari ed in particolare descrive la scena nella quale essi finiscono avvinghiati in contatto diretto. Cosi li vorrei, l’uomo e la donna, per creare qualcosa di nuovo e conseguente, garantendo l’autodeterminazione delle parti.
In questa metafora l’uomo e la donna non sono più un Bispensiero (Orwell), ossia una parola che contiene in sè il suo significato ed il suo opposto, ma devono allearsi, partecipare (anche se stanca) alla vita pubblica e rivoluzionare insieme il concetto stesso di essere umano, rendendolo inclusivo davvero per entrambi i sessi, senza esclusioni di nessun “genere” appunto. Assumendo per vero che la co-gestione è l’abilità di produrre, e in caso di necessità cambiare, le regole per garantire un’autogestione collettiva che non può prevedere l’inclusione totale; dobbiamo dunque lavorare su un’esclusione fondativa basata sui valori ed i principi condivisibili da tutti. La cogestione della società che vogliamo, deve avere fondamenta, come quelle dei beni comuni- è un concetto filosofico e va esteso il più possibile-, in informazioni condivise di base: antirazziste, antifasciste e antisessiste.
Per concludere, fate attenzione agli “Iperleader” politici che permettono di identificarci in loro, prestate invece cura ai movimenti dal basso. Siamo esseri umani diversi e incontrollabili e solo delle utopie, trasformate in ucronie se proviamo ad esserne fautori, possono unirci verso gli orizzonti politici ai quali ambiamo.
Attac mi ha fatto capire che servono delle informazioni, della formazione, degli strumenti e del tempo per delineare una rotta e che solo insieme si possono issare le vele quando c’è il vento adatto per seguirla.
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 41 di Settembre – Ottobre 2019. “La società che vogliamo“