Il paradosso della crescita delle Borse

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di Marco Bertorello e Danilo Corradi*

*articolo pubblicato su il manifesto del 24 maggio 2025 per la Rubrica Nuova finanza pubblica

Foto di Kelly Sikkema su Unsplash

Crisi dell’economia mondiale nel 2008, poi quella dei debiti sovrani, pandemia, guerra in Ucraina e, infine, guerre commerciali. Nel mezzo i tassi di crescita economica sono stati anemici, in particolare nei paesi di più antica industrializzazione. In questo contesto fragile stride la crescita costante delle Borse, ai massimi dal 2008. Non che non ci siano state fibrillazioni finanziarie, ma le difficoltà vengono riassorbite con apparente facilità.

Per esempio, le instabilità create dall’invasione russa e dalla guerra dei dazi sono state superate non appena il conflitto si è cronicizzato o, nell’altro caso, quando si è annunciato un ridimensionamento dello scontro commerciale. Le tensioni geopolitiche non sono affatto risolte e i dazi degli Stati Uniti hanno raggiunto livelli che non si vedevano dall’apparire della globalizzazione, ma le Borse vanno. Evitato il baratro dei vari momenti di crisi, facilmente torna il sereno sul piano finanziario e del grande capitale.

A fronte di una perdurante stagnazione economica segnata da crescenti diseguaglianze, crisi e danni ambientali. Com’è possibile? Va chiarito che la mancata crescita dell’economia non significa che alcuni attori non facciano profitti record, utilizzandoli anche per riacquistare proprie azioni alimentandone la crescita dei prezzi. Negli ultimi due anni le cedole dei grandi attori finanziari sono state importanti, comprese quelle del settore bancario italiano, e questo alza il valore delle azioni e di altri prodotti finanziari. Questo apparente disaccoppiamento è frutto di una ridistribuzione al contrario del reddito. Il valore prende sempre più la direzione del capitale e sempre meno quella del lavoro.

Da ultimo, si è approfittato dell’inflazione di questi anni per abbassare ulteriormente i salari reali. Non è un processo frutto semplicemente della finanziarizzazione e dello scollamento dall’economia reale. Le due sfere si sovrappongono fino a coincidere per il grande capitale. L’intreccio è così denso che gli stessi lavoratori raccolgono le briciole di questa dinamica attraverso fondi pensione, assicurazioni, mini-investimenti, diventando cointeressati agli andamenti finanziari.

Nel complesso, però, l’andamento economico resta debole, cicli espansivi, magari frutto di innovazioni tecniche, non si intravedono, e ampi settori sociali vivono processi crescenti di impoverimento. Esistono altri fattori che da quasi vent’anni riescono a sostenere questa euforia finanziaria? Un’ipotesi plausibile è riconducibile alla montante marea di liquidità in circolo a mezzo del debito. L’indebitamento globale, infatti, ha raggiunto la cifra di 324 mila miliardi di dollari, oltre tre volte il Pil mondiale. Di questi, oltre 100 mila miliardi sono di debito pubblico che non è lontano dal 100% del Pil. Dati sistematicamente in crescita. Nel solo primo trimestre del 2025 quello globale è cresciuto di 7.500 miliardi. Le banche centrali dal 2008 a oggi hanno pompato liquidità senza precedenti facendone un elemento di sostegno strutturale alla finanza e ai suoi interessi.

Giappone, Italia, Stati Uniti, Canada, Francia, hanno un debito pubblico superiore al 100% del Pil. La miracolosa Cina ha un debito pubblico stimato attorno al 90% del Pil e uno privato attorno al 200% (nel 1995 erano entrambi meno della metà). Persino la Germania sblocca i limiti all’indebitamento.

Insomma, paesi ricchi di vecchia data e paesi emergenti, paesi che hanno un’economia stagnante e paesi che totalizzano una crescita ancora significativa, tutti impiegano la leva debitoria per reggere l’attuale contesto e la competizione reciproca. Il debito sembra una sorta di droga di cui si nutre l’economia finanziaria e che si riversa, in parte, su quella reale, una leva che sostiene profitti e rendite. E quando si intravvedono nuovi problemi ulteriori dosi sono sempre pronte a intervenire. Un’accumulazione fondata sul prendere tempo redistribuendo al contrario la ricchezza può durare in eterno?

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