Giulio A. Maccacaro e la prevenzione

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di Marco Caldiroli (Presidente di Medicina Democratica)

“La medicina deve essere preventiva nel senso più genuino e intrepido non esaurendosi nella diagnosi precoce di malattie già accettate nel momento in cui sono accertate; promuovendo, invece, e difendendo la salute umana da tutte le offese dell’ambiente di lavoro e di vita fino a piegare queste a quella e non viceversa.”

Parlare dell’approccio e del percorso che porta all’affermazione della prevenzione nell’ambito dell’impegno di Giulio A. Maccacaro per una nuova medicina non è né semplice né agevolmente sintetizzabile tanto più se l’obiettivo è quello di attualizzare quel pensiero e quella proposta in una epoca “sindemica” come quella che viviamo. Si consideri il decennale impoverimento dei contenuti della riforma sanitaria del 1978 basata su una risposta al bisogno di salute mediante la prevenzione, la cura e la riabilitazione, universalistiche come accesso e partecipate come metodo che costituivano una seppur parziale risposta a quell’impegno condiviso da larga parte della società.

Ma è possibile ovviare almeno in parte a questa difficoltà passando in rassegna alcuni capisaldi del pensiero di Maccacaro aiutandoci con delle citazioni cercando di inquadrarle nella attuale contingenza.

Un passaggio fondamentale, nel far emergere un nuovo paradigma di prevenzione, è la critica della scienza. Si parte da una analisi delle condizioni di salute nel passaggio all’epoca della rivoluzione industriale per identificare le “varianti” della malattia sulla quale la medicina moderna si trova ad nascere e operare : «Questo tipo di medicina, che è quella che noi usiamo oggi, impariamo, insegniamo e pratichiamo, nasce dagli albori della rivoluzione industriale, quando ancora le malattie dominanti a livello di massa, erano soprattutto rappresentate dalle malattie infettive, dovute ai parassiti, ai germi, ai virus che producevano pesti e calamità. Vi era qualcosa di assolutamente rovinoso e insopportabile per ogni progetto di investimento, di sviluppo e di profitto. Per questo la rivoluzione industriale e l’avvento dell’egemonia borghese hanno voluto dire un grande impegno dal punto di vista tecnico e scientifico, della sanità perché era impossibile programmare lo sviluppo del capitale accettando l’irrazionalità della malattia naturale … Quando invece arriviamo alle società contemporanee ad alto sviluppo industriale, le patologie di quel tipo vanno relativamente scomparendo. … Un’altra patologia di oggi ci tormenta : sono malattie dovute non più a cause naturali, ma a cause umane, che derivano, cioè, dai modi di produzione .. Sono le malattie da usura, da lavoro, da modo di vita e di convivenza: sono i ritmi, la scomposizione del lavoro, l’inquinamento delle città, l’affollamento, la catena di montaggio, la pendolarità, la monotonia, la costrizione e l’alienazione» Dallo svelamento di questo sviluppo funzionale della medicina la condanna di Maccacaro e di altri “tecnici” come Franca Ongaro Basaglia della “medicina del capitale” : è “nell’accettazione passiva del carattere naturale delle condizioni di vita degli uomini, che la medicina muove i primi passi e consolida la natura del suo intervento” arrivando a definire la malattia come sofferenza individuale occultando il legame con la situazione che la fa insorgere “che viene così confermata come inalterabile e immodificabile” (non è casuale l’impegno a modificare l’istituzione universitaria affinché non continui a costituire un “imprinting” dei nuovi tecnici al modello funzionale alle esigenze produttive, con proposte di radicale modifica dei corsi della facoltà di medicina).

Sembra oggi di assistere ad una nemesi di queste considerazioni. Gli impatti ambientali della produzione industriale-capitalista basate sulla estrazione incontrollata e intensificata  di materie “produttive” dal pianeta come se fossero inesauribili, con tardive e insufficienti limitazioni, e il ritorno sotto forma di rifiuti di quelle materie in una economia ancora quasi del tutto lineare, stanno “scatenando”, in forma rinnovata e con frequenze sempre più ravvicinate, malattie “naturali” da  virus accentuate dalla loro forma pandemica dovuta alla quasi totale interconnessione delle comunità umane.

Ma non si tratta di un “ritorno al passato” quanto di una sommatoria di effetti nefasti ove il Covid-19 rappresenta l’ultima chiamata per una inversione di tendenza nello sfruttamento del pianeta e del 99 % dell’umanità.

La critica di Maccacaro si pone in un momento, gli anni ’60-’70, quando si rende evidente che la scienza, contrariamente alle aspettative anche del movimento operaio e delle realtà di cultura socialista, non è di per sé indice di progresso ma può essere (e spesso lo è) causa di miseria, alienazione e soggezione nelle fabbriche come nella società. È l’uso della scienza che ne condiziona i risultati e, nel capitalismo, determina disastri.

L’incontro di questa critica radicale della scienza, medicina inclusa, con i movimenti emergenti di quegli anni (mi riferisco a soggetti collettivi come il Gruppo di Prevenzione e Igiene Ambientale della Montedison di Castellanza e persone come Luigi Mara) salda le lotte che criticano dall’interno la produzione capitalista e i suoi fondamenti “scientifici/tecnologici”, l’una coinvolge e condivide con l’altra obiettivi e metodi del cambiamento.

Alle lotte contro la monetizzazione del rischio e la nocività nei luoghi di lavoro si innesta la critica della medicina del lavoro che diviene l’ambito per la definizione di un nuovo ruolo della medicina, della “scienza medica” al servizio degli obiettivi (e diritti) di salute universale e non una tecnica per mantenere produttivo un lavoratore/lavoratrice “manutenendolo” nelle parti ove si verificano dei guasti come una qualsiasi attrezzatura produttiva da rigettare nell’agone della condizione morbigena da cui proviene e che è stata causa della malattia. Un vizioso e mortale cortocircuito contro il quale la prevenzione agita dai diretti interessati diventa un fattore di produzione di salute.

In questo senso la critica della medicina clinica, finalizzata alla cura delle malattie (fino al riduzionismo della riparazione di organi malfunzionanti senza considerare la persona nella sua interezza), si ribalta nella medicina che cerca le cause delle malattie ovvero di come evitarle. In questo caso è la salute in primo piano e non la malattia. Allora e oggi si utilizzavano per distinguere i diversi livelli di prevenzione le seguenti definizioni: “primaria, rivolta ad abbattere gli agenti patogeni; secondaria, intesa ad arrestare la genesi della malattia e terziaria, mirata a limitarne o riparane i danni”. Maccacaro individua la primaria come quella effettivamente preventiva e come secondaria quella di tipo predittivo (diagnosi precoce, screening, prevenzione individuale) che ha certamente risultati ove la causa della malattia è specifica (come una malattia infettiva) ma le patologie “moderne” hanno un carattere diverso, di tipo degenerativo quale risultato di un contesto “malato” più ampio (come nel caso del diabete e del cancro). In questo campo la medicina predittiva si ferma alla diagnosi tempestiva, considerato da Maccacaro un “placebo sociale”, una falsa risposta perché lascia immutato “tutto ciò che di patogeno è nel modo di produzione del capitale”.

La medicina clinica invece si intruppa con le “guerre al cancro” o ad altre malattie (allora lanciate dal Presidente USA Nixon) che privilegia la diagnosi-prognosi, la terapia e riabilitazione mettendo in un angolo la prevenzione primaria, come è noto con risultati fallimentari rispetto alle pompose asserzioni e obiettivi. In alternativa, la visione di una medicina che dilata il suo intervento ai temi socio-ambientali quali fattori morbigeni (non a caso le primigenie USSL sono appunto Unità Socio Sanitarie Locali, dove le due esse rappresentano il tentativo di considerazione unitaria dei due aspetti).

Ma non si tratta “solo” di un percorso intellettuale, di uno scienziato critico con la sua stessa origine ed essenza, che arriva alla critica del rapporto tra medicina e potere ma della ricerca di incontro e dialettica con le azioni che arrivano dal movimento operaio : rifiuto della delega, democrazia consigliare, gruppo omogeneo di rischio quale centro di elaborazione di una scienza alternativa a quella capitalista e che ne rovescia gli obiettivi non solo in termini di minore impatto ambientale e sulla salute ma che arriva a metterne in discussione gli scopi (il come, per chi, cosa produrre). Contestazione dei limiti di esposizione, richiesta del MAC Zero = nessun contatto con le sostanze tossiche sono i percorsi che “dal basso” incontrano l’impegno “dall’alto”:”il ruolo dell’intellettuale scientifico che abbia fatto una scelta di classe non è quello di porsi come il pensiero ma nel pensiero della classe operaia : cioè inserirsi nell’esperienza della classe per condividerne la lotta di recupero della sua soggettività, per assecondarne l’espansione e l’espressione di una ragione scientifica lungamente negata”.

Da qui un particolare impegno che ha unito i due mondi, l’accademico e quello del lavoro; se la medicina deve cambiare obiettivo deve andare oltre la semplice analisi e conoscere l’uomo fino a denunciare le cause della malattia e contribuire a mettere in discussione i determinanti sociali e ambientali.

L’uomo va sempre e comunque difeso e l’onere della prova sta tutto e sempre sulle cose, soprattutto su chi le produce e le immette nell’uso umano, nell’ambiente di vita ed in particolare di lavoro” è un altro sintetico e folgorante assioma di Maccacaro fatto proprio dal movimento dei lavoratori di allora. Possiamo sintetizzarlo in altri termini come la condizione per cui non sono le vittime che devono dimostrare la causa della loro condizione (esposizione a sostanze chimiche tossiche per esempio) ma le cose (le sostanze, per rimanere all’esempi) devono dimostrare di non essere nocive (di non determinare rischi) e quindi essere “compatibili” con l’esistenza umana e la tutela dell’ambiente anziché essere esclusivamente funzionali al profitto. Con l’approccio sperimentale (anziché quello epidemiologico ex post) era possibile già allora riconoscere le sostanze pericolose prima della loro immissione sul mercato (individuazione ex ante del rischio). Per non dire dell’emersione del ruolo degli effetti sinergici a seguito delle interazioni all’esposizione di più sostanze presenti nell’ambiente come è nella maggior parte delle condizioni di lavoro e di vita; l’obiettivo prevenzionale cambia l’approccio e il ruolo dei “tecnici” nella produzione e  mercato delle sostanze e degli agenti pericolosi.

L’alternativa è l’inferno dell’IPCA dove “gli scienziati fanno gli scienziati, i chimici industriali scoprono nuovi metodi di produzione, i medici di fabbrica fanno quello che è stato loro insegnato di fare, l’INAIL applica le disposizioni di legge, gli industriali non sono tenuti ad occuparsi di quanto succede dentro la fabbrica, i dirigenti eseguono gli ordini. Mentre gli operai dell’IPCA morivano o si ammalavano di cancro, ciascuno dei tecnici faceva il proprio dovere come impone il ruolo che ciascuno ha nella nostra società. E’ la linea di difesa degli imputati di Norimberga: la differenza è puramente quantitativa”.

Se il principio dell’onere della prove sulle cose e non sulle vittime entrasse nelle aule dei Tribunali (anche senza arrivare a nuove Norimberga) molte sentenze assolutorie, per esempio, relative a patologie amianto-correlate si squaglierebbero smentendo le profumatamente pagate consulenze a fior di cattedratici chiamati, come diceva Luigi Mara, a mettere in discussione anche la formula dell’acqua pur di confondere (appunto) le acque e allontanare dai propri clienti responsabilità che la storia ha da tempo “certificato”. Anche questa è “scienza del capitale” guarda caso presentata come indiscutibile e “non democratica” anche da soggetti che, in epoca Covid, hanno dato una pessima presentazione di sé: anziché ammettere le incertezze di fronte alla sindemia e al virus si sono combattuti come galli nei media passando dall’una all’altra posizione apodittica o esattamente contraria.

Il principio della prova sulle cose è in parte assunto nella normativa europea (in particolare nel regolamento REACH sulle sostanze chimiche) ove sono previsti, oltre ad obblighi di informazione e registrazione prima della immissione sul mercato di nuove sostanze, per quelle maggiormente problematiche (cancerogene, teratogene, mutagene, cumulabili, disturbatori endocrini) un “processo” che si può concludere (in alcune decine di casi finora) alla espulsione dalla produzione o introducendo forti limitazioni d’uso. Come pure, anche se solo per alcune forme di impiego (sostanze intermedie non isolate), l’obbligo dell’uso in “condizioni strettamente controllate” la cui definizione è a un passo da quella di MAC Zero.

Un’ultima annotazione, oggi nel PNRR e fuori si parla molto di telemedicina e più in generale (e genericamente) di innovazione nella medicina, anche su questo terreno Maccacaro fu nello stesso tempo un pioniere e un critico per evitare deviazioni.

Nella sua visione la introduzione di nuove tecnologie di elaborazione automatica come pure di analisi deve essere il risultato di una valutazione delle loro potenzialità e una loro applicazione non meccanicistica riducendo il tutto a una questione di calcoli più minuziosi ma amplia la visuale agli obiettivi della estensione ed evoluzione tecnologica come strumenti che possono risultare utili agli obiettivi di prevenzione quali la ricerca/osservatorio epidemiologico, la raccolta ed elaborazione di dati ai fini di definire lo stato di salute.

Da ultimo, ma questo apre una ulteriore necessità di ripresa del pensiero di Maccacaro nelle attuali ambasce, in particolare per un rilancio di una visione della salute quale risultato dei determinanti  individuali e collettivi del lavoro, ambiente e luoghi di lavoro che devono essere rivendicati come salubri nell’ambito di un servizio sanitario pubblico, universalistico, gratuito (pagato dalla fiscalità generale) e partecipato; in sintesi una “medicina democratica” nell’ambito di una “democrazia sanitaria”.

 

Letture consigliate :

Giulio A. Maccacaro “Per una medicina da rinnovare. Scritti 1966-1976”, Feltrinelli, 1979.

Franca Ongaro Basaglia Salute/Malattia. Le parole della medicina, Einaudi, 1982,

Maria Luisa Clementi “L’impegno di Giulio A. Maccacaro per una nuova medicina”, Medicina Democratica, 1997;

Atti del Convegno Internazionale, Università degli Studi di Milano “Conoscenze scientifiche, saperi popolari e società umana alle soglie del duemila : attualità del pensiero di Giulio A. Maccacaro”, Medicina Democratica, 1997.

Enzo Ferrara “L’umanità di uno scienziato. Antologia di Giulio Alfredo Maccacaro”, edizioni dell’asino, 2011

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Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 46 di maggio-giugno 2021:  “La salute non è una merce

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