Finanza e greenwashing all’ONU

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di Marco Bersani*

*articolo pubblicato su  il manifesto del 11 maggio 2024 per la Rubrica Nuova Finanza Pubblica

Quando si dice la pervasività della finanza. Nel 2015, dopo l’Accordo di Parigi, che fissò l’obiettivo di contenere nell’1,5 gradi il tetto di aumento massimo del riscaldamento medio globale, su iniziativa del Global Compact dell’ONU, del World Resources Institute, della Ong Carbon Disclosure Project e del Wwf, venne creata la Science Based Targets Initiative, una campagna rivolta alle aziende per favorire la drastica riduzione delle emissioni climalteranti.

Fra queste vi sono, in quota considerevole, le emissioni Scope 3, ovvero quelle prodotte non direttamente dall’azienda ma dalla sua filiera (ad es. i trasporti, lo smaltimento).

Come denunciato dalla rivista “Valori” (https://valori.it/science-based-targets-initiative-greenwashing/), recentemente il Consiglio di Amministrazione della campagna ha deciso di autorizzare le aziende che partecipano al programma (e per questo sono definite “sostenibili”) di utilizzare i crediti di carbonio per raggiungere gli obiettivi prefissati.

Ovvero, si consentirebbe alle aziende di continuare a inquinare, comprando quote di carbonio attraverso iniziative cosiddette “green” (riforestazione di aree nel sud del mondo etc.).

Si tratta di un vero e proprio ribaltamento della campagna promossa dall’ONU, che dal ruolo di pressione per la modifica dei modelli produttivi delle aziende inquinanti si trasforma in strumento di facilitazione del loro “greenwashing”. Con benefici zero per il clima e massimi per i profitti delle stesse.

Come si sia arrivati a questo ribaltamento lo spiega il Financial Times , rivelando come il documento del CdA sia il frutto di pressioni intense arrivate dall’Earth Fund, il fondo finanziario da 10 miliardi di dollari creato da Jeff Bezos per gli investimenti finanziari in campo ambientale, che è uno dei massimi finanziatori della stessa Science Based Target Iniziative, insieme a Ikea Foundation e a diversi altri fondi finanziari globali.

Il passaggio non è tuttavia passato sotto silenzio, poiché tecnici e scienziati impiegati nella campagna si sono fortemente ribellati a questo mutamento di orizzonte, chiedendo il ritiro della decisione e minacciando in caso contrario di dimettersi dal programma dell’iniziativa.

Quanto sopra scritto stimola alcune riflessioni. La prima potrebbe essere una sorta di ovvietà: difficile pensare che un’iniziativa che, per quanto promossa dall’ONU, trae le proprie risorse dal gotha della finanza mondiale, possa in qualche modo diventare ostacolo agli obiettivi dei grandi interessi finanziari. Ma, approfondendo questo punto, potremmo anche sottolineare come la situazione di crisi profonda del modello capitalistico non consenta più alle lobby della finanza di consentire campagne “indipendenti” il cui obiettivo, tutt’altro che rivoluzionario, non era altro che il cosiddetto efficientamento climatico dell’attuale assetto produttivo.

È come se i grandi interessi finanziari dicessero a chiare lettere che ogni pantomima è finita e che le imprese non solo vanno lasciate totalmente libere di inquinare, ma devono poter intensificare l’accumulazione di profitti attraverso operazioni che incentivano la finanziarizzazione del clima ed estendono le pratiche di greenwashing.

Il tema di fondo è sempre lo stesso. La vera partita in campo non è tanto tra i negazionisti del clima -anche se politicamente questi ultimi sono in ascesa- e i movimenti ecologisti, bensì tra coloro che pensano che la crisi climatica si superi attraverso il mercato e la finanza (e relative innovazioni green e digital) e chi ha invece ben chiaro quanto detto una volta da Albert Einstein: “Non è possibile risolvere un problema utilizzando lo stesso tipo di pensiero che si è usato per crearlo”. Più chiaro di così.

Foto: “Greenwash Guerillas _G106096” di fotdmike (CC BY-NC-ND 2.0.)

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