Checchino Antonini
Mentì per salvarsi dal pantano della Diaz, secondo i giudici genovesi della Corte d’appello. De Gennaro, si legge nelle motivazioni della sentenza appena depositate, aveva «con evidenza l’interesse a non far trapelare un suo diretto coinvolgimento nella vicenda Diaz». Dunque, l’allora capo della polizia si adoperò per alterare «l’accertamento dei fatti, delle loro modalità, delle responsabilità politiche e penali dei fatti posti in essere durante l’operazione», nella notte tra il 21 e 22 luglio 2001 nella scuola che servì da dormitorio ai manifestanti anti G8 sfollati dai campeggi dal nubifragio dei giorni precedenti. E per questo è stato condannato a un anno e quattro mesi, nella costernazione bipartisan, da una corte coraggiosa che ha ribaltato la precedente assoluzione di primo grado, per aver istigato alla falsa testimonianza l’allora questore di Genova, Francesco Colucci, «persona a lui sottoposta gerarchicamente», «in ciò abusando della funzione pubblica esercitata e connessa al suo ruolo di direttore generale del dipartimento di pubblica sicurezza». Fatto particolarmente grave, si sottolinea nelle 69 pagine di conclusione, «per il ruolo pubblico dell’imputato». Cosa che non gli ha impedito di salire di livello, nel frattempo, fino ai vertici dei servizi segreti controriformati dall’irrimpianto governo Prodi. «E i suoi uomini – aggiunge Vittorio Agnoletto che, all’epoca era il portavoce del Gsf – sono quelli che stanno ancora gestendo l’ordine pubblico. Anche i cortei di mercoledì prossimo».
Da un punto di vista processuale, De Gennaro entra in scena dopo alcune sbobinature delle telefonate di Spartaco Mortola, ora questore vicario a Torino. Nell’ambito delle indagini sulle false molotov, Mortola, imputato per la Diaz, fu intercettato mentre chiacchierava con Colucci che gli riferiva i complimenti del «Capo» dopo la sostanziale ritrattazione di fronte ai pm che indagavano sulla mattanza cilena. In pratica a Colucci fu consigliato di non fare menzione delle telefonate di quella sera col Viminale. Contrariamente a quanto dichiarato nella blanda indagine conoscitiva svolta alla Camera subito dopo i fatti, l’ex questore spiegò in tribunale che era stato lui a chiedere la presenza a Genova di Roberto Sgalla. Costui, attuale capo della polizia stradale, era il capo ufficio stampa del Viminale. Fu lui a bloccare ai cancelli legali, parlamentari e stampa sostenendo che era una «normale perquisizione». Sempre lui a esibire le false prove in una conferenza stampa di sapore birmano dove non erano ammesse domande dei cronisti. «Queste motivazioni si sovrappongono con quelle scritte alla pagina 299 delle motivazioni della sentenza Diaz: anche lì si dice chiaramente che l’ordine venne da Roma, dal “Capo”», conclude Agnoletto che sta partecipando alla preparazione delle iniziative per il decennale di quei giorni.
Fonte: www.ilmegafonoquotidiano.it