DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA, il granello di sabbia n. 14, luglio-agosto 2014

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di Pino Cosentino, da il granello di sabbia n. 14, luglio-agosto 2014

Marina Savoia mi manda una riflessione sulle tre domande con cui si è aperta questa rubrica (cfr. Granello di maggio). Ogni risposta pone le premesse della seguente, perciò forse è più chiaro invertire l’ordine e partire dall’ultima: “l’organizzazione sociale e la società stessa per come si configura nella distribuzione delle risorse, nella distribuzione dei ruoli, nelle modalità produttive e di consumo, nello stile e negli stili di vita, non sono certo neutre rispetto alla forma politica”.

Marina individua nella partecipazione dei cittadini l’elemento dinamico, il motore della vita democratica. La partecipazione non è mera forma giuridica, è invece lo scorrere della vita che incessantemente modella la forma giuridica, la adatta alle proprie esigenze, alle mutevoli situazioni. Perciò è fondamentale la motivazione delle persone, che sorge dalle loro condizioni di vita: “La partecipazione si motiva a partire da interessi concreti, dagli aspetti della vita reale, che il singolo condivide con la collettività. Su questo si ricostruisce l’idea e il senso della “comunità”…. I percorsi e le strategie per costruire un sistema a DP si possono avviare proprio attorno alla questione della tutela e della gestione dei Beni Comuni, ben radicati nel locale e nel reale”.

E’ un rovesciamento di prospettiva che getta nuova luce sui problemi posti dalle prime due domande, spostando l’accento dagli aspetti formali alla vivente sostanza sociale: “ogni strumento (il “sorteggio” o l’”elezione di portavoce transitori” per citare forme contenute nella rubrica di giugno) può essere più o meno utile ed efficace, ma non è comunque di per sé sufficiente perché ciò che rende sostanziale la democrazia e la mantiene in essere, è la “partecipazione” politica della società civile, che non è garantita da alcuna forma istituzionale o struttura per quanto ispirata a principi democratici, perché implica una volontarietà e, direi anche, una necessità e un interesse da parte dei membri della collettività”.

Questo contributo introduce la dinamica delle forze sociali e delle correnti politiche. La dinamica che nasce dal conflitto tra interessi materiali e ideali di gruppi, classi, ceti…sottesa al sistema politico, poco visibile, ma in ultima analisi determinante. Si affacciano nuove domande: è possibile immaginare una radicale semplificazione, cioè una vasta area sociale definibile come “popolo”? Esistono le condizioni oggettive e soggettive perché quello che oggi è un coacervo eterogeneo di individui isolati possa diventare una comunità, un soggetto capace di esercitare effettivamente, non solo simbolicamente, i propri diritti politici?

Il concetto di “beni comuni”, opportunamente richiamato da Marina, è indispensabile per superare di slancio le teorizzazioni sugli stakeholder (portatori di interesse),che accetta e anzi sacralizza una visione neocorporativa funzionale allo stato di cose esistente. I

l popolo, un aggregato di individui che oggi riusciamo a definire solo in opposizione a “oligarchia”, può trasformarsi in una comunità informata, consapevole e propositiva? E come? Abituandosi a prendersi cura dei beni comuni? La democrazia partecipativa sarebbe dunque la forma politica di un’organizzazione sociale imperniata sulla relazione comunità-beni comuni.

Da popolo a comunità: è questo il grande salto che renderebbe possibile una forma politica in cui la rappresentanza sia un servizio reso alla comunità, non un ulteriore strato privilegiato sul collo dei ceti popolari. I problemi posti da questa prospettiva sono numerosi e tutti di grande portata. Il “popolo” è oggi un concetto dal contenuto incerto, sicuramente controverso. In prima approssimazione possiamo trattarlo come una realtà residuale: è ciò che non è oligarchia. Un grande contenitore dove si può trovare di tutto. Ma soprattutto, lo conosciamo? L’egemonia della cultura dominante si manifesta anche come assenza, o carenza, di comunicazioni orizzontali interne al popolo. Rispetto al quale anche i movimenti rischiano di essere un corpo specialistico, separato e incapace di intrattenere una relazione autentica. I movimenti non rischiano anch’essi di essere autoreferenziali, quando emettono messaggi, ma non comunicano (non sono aperti ai feedback)? Dalle ricerche di Elinor Ostrom risulta che i beni comuni sono gestiti efficacemente quando sono curati da una comunità all’interno della quale esistono conoscenze condivise e canali di comunicazione appropriati. E’ questa la direzione verso cui rivolgere i nostri sforzi? La costruzione dell’alleanza sociale e politica tra movimenti va in questa direzione? 

Dalla prossima “puntata” di questa rubrica cercheremo tutti di compiere uno sforzo per iniziare a ragionare sulle situazioni concrete e mettere alla prova quanto abbiamo discusso in astratto, confrontandoci con i dati che l’attualità ci offre. Che agosto porti a tutti idee e spunti con cui riprendere il discorso a settembre, aiutati anche dall’università popolare, che verterà su questi temi. Arrivederci a Cecina.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 30 di Settembre-Ottobre 2017: “Democrazia Partecipativa”