Democrazia partecipativa: chi ci crede ancora?

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di Pino Cosentino

Il punto 19 del “Contratto per il governo del cambiamento” reca il titolo “Riforme istituzionali, autonomia e democrazia diretta”. 

Di questo quasi nessuno ha parlato. Eppure qui il governo del cambiamento si assume impegni precisi, tre dei quali inizierebbero a cambiare il nostro sistema politico molto di più di un’ipotetica nuova legge elettorale che “permetta agli italiani di sapere chi governerà il paese la sera stessa degli scrutini”. Sono tre semplicissime innovazioni: abolizione del quorum per la validità dei referendum, istituzione del referendum propositivo, tempi certi per la discussione in Parlamento delle proposte di legge di iniziativa popolare.

Sono promesse elettorali, insincere, specchietti per le allodole? Possibilissimo. Ma in questo caso ancora di più sarebbe necessaria la massima mobilitazione per costringere il governo giallo-verde, se arriverà in porto,  a mantenere le promesse.

Ma la questione veramente importante è: queste riforme sono la soluzione dei problemi che affliggono l’Italia? Risponderei così: queste riforme sono le uniche, tra tutte quelle proposte, che facciano parte del percorso di cambiamento che introdurrebbe l’Italia (e non solo l’Italia) in una epoca storica nuova, che avrà i suoi problemi, ma a un livello di vita pubblica e privata più felice, autenticamente felice dell’attuale. 

Il problema alla radice di ogni altro è la falsità del dibattito pubblico, la sua natura oggi intrinsecamente ideologica, che induce una produzione continua di idee, proposte, programmi necessariamente sfalsati rispetto alla realtà. E’ nella natura stessa della democrazia rappresentativa l’impossibilità di produrre letture oneste (cioè non pregiudizialmente partigiane) della realtà. Poiché lo scopo del dibattito pubblico non è la ricerca di soluzioni, ma riuscire vincitori nella competizione tra schieramenti contrapposti, con qualunque mezzo. Le idee non valgono perché vere o false, ma per la loro efficacia nell’acquisire consensi, in un contesto di tifoserie desiderose di prevalere, costi quel che costi.  La dialettica politica effettiva nasce dalla risultante tra questa tendenza, e la controtendenza, solitamente meno potente, all’onestà e alla verità che comunque opera negli esseri umani, siano popolo, siano rappresentanti eletti. La controtendenza può prevalere e diventare tendenza se si passa da un sistema politico “rappresentativo” a un sistema di democrazia partecipativa.

Recentemente due termini sono entrati nel lessico politico, usati polemicamente nei confronti di correnti politiche sgradite. Sovranismo: è generalmente esecrato come “nazionalismo”, esaltazione dell’interesse nazionale, cioè particolare, contrapposto a quello generale dei popoli europei, organizzati nel’Unione. Senza nulla togliere alla critica verso questo movimento, bisognerebbe osservare che tutta la costruzione europea è oggi in crisi a causa del “sovranismo” effettivo del suo pilastro, la Lotaringia (Germania e Francia, con l’appendice Benelux). Chissà perché, il perseguimento dell’interesse proprio diventa sovranismo quando è praticato dai membri deboli dell’UE. Mentre l’imposizione della legge degli usurai e del debito illegittimo (vedi Grecia) è considerato magari un errore, ma comunque espressione di spirito “unionista”, per quanto malinteso. Populismo: significa strumentalizzare il popolo per perseguire fini di potere propri; ma ciò è proprio di tutti i partiti, nessuno escluso. Anche i partiti comunisti, a ben vedere, sono populisti, in quanto strumentalizzano il conflitto di classe per ottenere potere e privilegi per sé.

Nessun governo può realmente fare gli interessi del “popolo”, intendendo con questo termine la massa di chi vive esclusivamente o prevalentemente del proprio lavoro. In generale, è illusorio pensare che un ceto di professionisti esista unicamente per servire qualcun altro. La democrazia rappresentativa è la forma politica del dominio pienamente realizzato del capitale, come la democrazia partecipativa è (sarà) la forma politica del postcapitalismo.

Ma oggi nessuna formazione politica presente sulla scena pubblica ha una strategia informata realmente, nei fatti, alla democrazia partecipativa. La sottovalutazione dell’importanza strategica degli strumenti di partecipazione e delle condizioni per renderli realmente utilizzabili ne è un’ulteriore prova.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 34 di Maggio – Giugno 2018: “L’epoca del rancore. Nuove destre e nuovi razzismi

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