Democrazia e reti

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di Christophe Aguiton

Questo articolo si occuperà di un modo nuovo di rappresentanza politica e sociale, basato sul funzionamento in rete e su modi consensuali di decisione. Una modalità di rappresentanza che non si sostituisce alle modalità precedenti, ma ne erode la legittimità.

Il movimento mondiale di contestazione del sistema che si è affermato a Seattle e si allarga ad ogni appuntamento, in particolare in occasione dei Forum sociali di Porto Alegre, Firenze e, domani, Parigi e St Denis, è caratteristico di tale nuovo modo di funzionamento. Questo movimento mondiale è capace d’integrare componenti del tutto diverse, in termini di tematiche curate, importanza numerica o tipo di funzionamento: sindacati, partiti, ONG, movimenti informali, intellettuali, ecc. Ed il solo funzionamento possibile per un’alleanza di questo tipo è la rete e modi consensuali di decisione. Molti analisti pensavano, all’inizio, che tutto ciò non sarebbe andato avanti e che un tale sistema fosse votato alla paralisi dopo lo scoppio sotto il peso dell’eterogeneità delle sue componenti. Questi ultimi anni hanno mostrato, al contrario di tale pronostico, che quel movimento poteva estendersi geograficamente ed allargarsi socialmente, e che era ugualmente in grado di far proprie nuove tematiche e reagire a importanti cambiamenti della congiuntura. Gli stessi che non credevano alla permanenza del movimento “per un’altra globalizzazione” avevano affermato che non sarebbe sopravvissuto al’11 settembre 2001. Il “Wal Street Journal” titolava così uno dei suoi editoriali nell’ottobre del 2001: “Addio Seattle”. Ma il movimento si è allargato ed è stato all’origine delle più importanti mobilitazioni contro la guerra che questo mondo avesse mai conosciuto: la data del 15 febbraio 2003, quando più di 10 milioni di manifestanti hanno sfilato nel mondo intero, è stata proprio decisa in occasione dei Forum sociali di Firenze e di Porto Alegre.

Se il funzionamento in rete è caratteristico di questo movimento di contestazione mondiale, lo si ritrova in molte altre sfere di attività umana e dapprima nel capitalismo stesso. Le imprese conoscono pure un rapido cambiamento sotto la costrizione della globalizzazione liberista: le “reti” tra chi dà gli ordini ed i subappaltatori divengono la norma. Reti molto gerarchiche, i cui centri stanno nei paesi del Nord, ma che segnano una rottura importante con le imprese verticali e integratrici che noi conosciamo: è l’ora di imprese senza impianti né operai, sul modello della Nike o di Cisco, come pure dell’Alcatel, imprese per le quali il “marchio” e il logo divengono valori essenziali. E sono queste trasformazioni ad aver imposto ai sindacati, di fronte alla delocalizzazione dei centri di produzione nel Terzo mondo, di stringere legami con le ONG ed i movimenti giovanili, per portare avanti campagne contro società come Gap o Nike e tutto ciò trovando nuovi bersagli, come il logo, e lanciando campagne di tono morale che si sono rivelate efficaci. Queste pratiche nuove vengono dagli Stati Uniti, ma l’appello al boicottaggio della Danone dopo i licenziamenti a Lu (Ndt : produttore di biscotti famosa in Francia acquistato da Danone) dimostra che possono essere generalizzate. Le istituzioni internazionali conoscono evoluzioni analoghe. L’FMI o la Banca mondiale, create nel 1943, funzionano con una forma di suffragio censitario dove ciascuno Stato pesa in funzione del proprio apporto finanziario. All’ONU ciascun paese possiede un voto, ma il Consiglio di sicurezza ed i suoi 5 membri permanenti detengono le chiavi del sistema. L’OMC, creata nel 1995, funziona diversamente. Sulla carta, si tratta di un’ONU democratica: un paese un voto, ma senza Consiglio di sicurezza né predominanza formale dei “grandi”. Ma, scotto di un sistema dove nemmeno si può immaginare che gli Stati Uniti o l’Unione europea siano messi in minoranza da una coalizione di piccoli paesi, nell’OMC non c’è mai un voto e non ci sarà mai: il consenso è la regola.

Si potranno trovare evoluzioni simili nelle strutture politiche locali, quelle che gestiscono la cooperazione nei comuni, oppure nel mondo scientifico e tecnico che deve tenere conto, come mostra l’esempio degli OGM, di una pluralità di aspirazioni e pressioni. Quest’aumento in potenza delle reti appare proprio mentre le strutture di decisioni tradizionali, basate sugli stati nazione, e le procedure di decisioni maggioritarie perdono la loro legittimità e la loro credibilità, cosa che comporta due tipi di reazioni: l’apologia della rete, in quanto permette una reale implicazione cittadina o il suo rifiuto radicale, in generale in nome della difesa della “democrazia” assimilata al sistema tradizionale di rappresentanza politica. Coloro che respingono le reti ne criticano generalmente l’opacità, l’assenza di controllo dei mandanti, in breve l’assenza di procedure democratiche. Ma spesso senza chiedersi ciò che è una procedura democratica!

Il riferimento è quasi sempre al voto maggioritario e alla democrazia rappresentativa. Un riferimento che dimentica che, ben prima che fossero messi in causa il peso dei grandi burocrati o dell’establishment, i filosofi illuministi spiegavano che l’elezione tramite il voto non poteva giungere che alla selezione di élite ed all’avanzata verso il professionalismo e l’istituzionalismo. È per questo che gli Illuministi preferivano il vecchio modello antico, quello dei Greci e dei Romani, basato sull’estrazione a sorte, un sistema che continua ad esistere sotto forme antiquate, con i tribunali popolari, ma che si vede ritornare con la proposta di forum ibridi e di conferenze di cittadini per le prese di decisioni sulle questioni scienziati e tecnologici. Le critiche fatte alle reti non sono tutte pertinenti, così non è vero che la rete dà specialmente del potere all’esperto: questo problema non è specifico della rete, esiste sempre ed ovunque. In compenso, due problemi più gravi esistono nel funzionamento delle reti. Innanzitutto il carattere “escludente” del consenso. Le reti non sfuggono alle logiche dei rapporti di forza ed al peso relativo delle sue componenti. Ma ciò si fa con altre regole che quelle del voto e della maggioranza. Nel sistema rappresentativo basato sul voto, la maggioranza deve regolare il problema delle minoranze, ad esempio garantendo i loro diritti d’espressione. In una rete, occorrono più tempi, più “negoziati” per arrivare ad uno consenso che se si utilizzasse il voto maggioritario, e ci si accorge che il consenso è anzitutto quello delle componenti più importanti della rete. I criteri che determinano l’importanza di uno membro della rete possono essere diversi, inclusa l’importanza simbolica, come quella di un gruppo particolarmente oppresso.

Ma una volta che il consenso è trovato, attenzione ai guastafeste! La seconda debolezza di funzionamento in rete attiene alla debole leggibilità delle sue scelte, anche per i suoi stessi membri. La rete è più opaca del sistema del voto maggioritario, che permette di esplicitare le scelte possibili in modo più chiaro.

Il vantaggio decisivo delle reti è la capacità di iniziativa autonoma. Nel sistema del voto, una volta che la “volontà generale” è stata stabilita tutti la devono applicare e la regola della maggioranza è valida per tutte e tutti. Le minoranze, allora, debbono soltanto preparare la prossima elezione o il prossimo congresso, se si tratta di un sindacato o di un partito politico. A questa posizione d’attesa si aggiunge una subordinazione a strutture verticali e direttive. Il sistema del voto regola due problemi allo stesso tempo:stabilisce una posizione e sceglie i dirigenti – le élite – incaricati di metterla in opera. Non bisogna stupirsi che tale sistema riproduca le élite e garantisca il dominio maschile come quello di età, seppure sono stabiliti dei correttivi, come la parità, per rispondere alle proteste delle vittime di questo sistema. Nella rete, le cose non avvengono allo stesso modo. Per tornare al mondo dei militanti, se un gruppo, o anche un individuo, vuole fare qualche cosa, lanciare una nuova campagna o provare una nuova forma d’azione, lo fa. Questa caratteristica dà alle reti un vantaggio molto netto. Per dirla brevemente, la rete offre molte più possibilità d’auto-emancipazione che il sistema di voto maggioritario: in materia d’apprendistato e di appropriazione attraverso l’iniziativa, la rete offre delle possibilità senza equivalenti. La rete permette ad esempio i gruppi, sul modello del femminismo così come funzionava negli Stati Uniti o anche in Europa negli anni 70, o di ciò che poteva esistere negli ambienti libertari nel diciannovesimo secolo. La rete ricicla queste forme pregresse allargandone il campo d’azione e dando loro una spinta nuova.

L’emergere delle reti perturba il funzionamento e le tradizioni di partiti, sindacati ed organizzazioni tradizionali. Li perturbano tanto più che, nello stesso tempo, le prospettive di trasformazione sociale appaiono più sfocate e più lontane che mai e che si smembra la coerenza tra livelli d’azione politica, economica e sociale. La sinistra, con tutte le sue correnti insieme, aveva costruito il suo pensiero strategico e le sue prospettive politiche nel sistema degli stati nazione che si sono strutturati alla fine del XIX secolo, sulla base dello smantellamento del periodo di globalizzazione di libero scambio che ha avuto corso in Europa dal 1850 al 1880/1890. Un pensiero strategico in fase con economie centrate sulle nazioni, con lo sviluppo di un capitalismo industriale basato su grandi imprese taylorizzate e con lo sviluppo di servizi pubblici e di infrastrutture centralizzati. Prima che Lénine dichiari che il socialismo è “i soviet più l’elettricità ” Kautsky, il teorico della Seconda Internazionale, proclamava che “il socialismo è l’amministrazione delle ferrovie allargata alla scala della società”.

L’emergere delle reti procede parallelamente alla globalizzazione delle economie e l’indebolimento – relativo, l’intervento americano in Iraq lo ha appena ricordato! – del ruolo degli stati nazione. Di fronte a questi rivolgimenti, la sinistra è sottoposta a due rischi: quello della nostalgia dei modelli precedenti e quello dell’adattamento al capitalismo liberale, in nome del carattere inevitabile della globalizzazione ed alle necessità della costruzione europea. Dal cambiamento in corso, di cui fa parte l’emergere delle reti, appare tuttavia una rottura completamente innovatrice con la logica di profitto capitalista. La comparsa e lo sviluppo dei software liberi, come il sistema operativo Linux, prende una tale ampiezza che Microsoft lancia una controffensiva per lottare contro ciò che descrive come “il cancro dell’innovazione nell’economia capitalista” e prova ad imporre l’estensione dell’ambito dei brevetti alla creazione di software. Questi software sono messi a punto e migliorati gratuitamente – sulla base del dono, del piacere dell’innovazione e della creazione, della cultura della gratuità – da parte di una comunità di sviluppatori, professionisti o abili dilettanti, che funziona sul piano internazionale, nel rifiuto più totale di qualsiasi costrizione statuale e di ogni pianificazione dirigista.

Per Proudhon, la lotta contro il capitalismo industriale passava per la difesa delle mutue e delle cooperative, ma anche dell’artigianato e della piccola proprietà contro la concentrazione industriale. Più tardi, i teorici della Seconda Internazionale hanno pensato il socialismo in relazione con gli sviluppi tecnici e sociali della loro epoca, come si ricorda. Lo sviluppo dei software liberi si iscrive in questa genealogia. Offre un modello totalmente altro di rottura con la legge del profitto, legato alle tecnologie di oggi, che sono anche quelle, con Internet e le tecnologie della comunicazione, che permettono l’estensione delle reti. Un modello in fase con un mondo aperto, che rifiuta i ripegamenti nazionali come le regolamentazioni dirigiste. Una rottura che non risponde ovviamente all’insieme delle necessità sociali – avremo sempre bisogno di un’amministrazione delle ferrovie e di una scuola dove il ruolo degli insegnanti dovrà andare crescendo – ma che mostra che l’alternativa non si riassume nel dualismo tra economia progettata versus economia di mercato. Ma lo sviluppo dei software liberi è interessante per un altro motivo, in riferimento all’attualità politica. È uno dei settori dove si conduce la battaglia sulla proprietà intellettuale, in parallelo con quella sulle medicine generiche e la brevettabilità della vita. E il rischio è grande di vedere i responsabili europei, Pascal Lamy in testa, accettare un irrigidimento delle regole della proprietà intellettuale che sarebbe pregiudizievole tanto per i paesi del Sud che per i “militanti” dell’Internet associativo e del software libero. Pensare la democrazia nell’ora delle reti e pensare un’altra rottura con la logica del profitto capitalista sono due cantieri importanti che chiederebbero la visione incrociata di militanti politici, di ricercatori e di responsabili di associazioni e sindacati.

Traduzione a cura di Antonio Pandolfi

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