Debito, chi paga il conto?

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di Marco Bertorello e Danilo Corradi, CADTM Italia*

*articolo pubblicato su il manifesto del 10 dicembre 2023 per la Rubrica Nuova Finanza Pubblica

Foto CC di Mike Cohen

L’aumento dei tassi d’interesse fa crescere il costo dei debiti pubblici, il rallentamento dell’inflazione riduce l’effetto crescita nominale del Pil e il conseguente beneficio nel rapporto con il debito. Anche grazie alle politiche monetarie restrittive, la crescita ristagna, appesantendo ulteriormente i bilanci statali. I debiti pubblici tornano a preoccupare e riparte la discussione sul che fare. Sulle colonne de La Stampa Veronica de Romanis ha rilanciato l’idea che bisogna abbattere il debito pubblico se si vuole davvero difendere gli strati sociali più poveri. L’autrice in passato aveva individuato l’austerità come unica strada per la crescita economica da cui trarre benefici a cascata per tutti. Mettendo in fila gli argomenti, la de Romanis ammette che negli ultimi anni la povertà in Italia è aumentata, e per ottenere meno povertà è necessario avere meno debito.

Quest’ultimo, se elevato, riduce la possibilità di politiche anticicliche, interventi sociali, provvedimenti per lo sviluppo e sostegno alle imprese. La spesa per interessi ha nuovamente raggiunto gli 80 miliardi annui, superando la spesa per l’istruzione pubblica. Questa spesa, afferma, è tra le più inique, in quanto rende interessi agli investitori in titoli di Stato che non sono da annoverare tra le fasce socialmente deboli. Più interessi, dunque, e meno risorse per sanità, scuola, trasporti o per riequilibrare gli effetti negativi dell’inflazione che ricadono sulle fasce popolari. Per non dire che un paese con debito elevato è più vulnerabile ai potenziali (e possibili) shock ancora da venire. Per la De Romanis scommettere sulla crescita è necessario, ma non sufficiente. Contemporaneamente si deve ridurre la spesa magari con interventi selettivi. Certo «tagliare la spesa non piace a nessuno. E così la parola debito scompare non solo dalle interviste, ma anche dal dibattito politico».

La ricetta, apparentemente di buon senso, è la solita. Abbattere il debito attraverso il taglio a sprechi e maggiore crescita viene proposto da oltre trent’anni. Il problema è che avere una crescita significativa da un paio di decenni è diventato un puro miraggio per il nostro paese, e progressivamente anche per economie come quella tedesca. La realtà è che questa crescita da prefisso telefonico è stata ottenuta con dosi importanti di debito privato e pubblico, che non sono il risultato di semplici sprechi, ma fattore strutturale necessario per tenere a galla l’economia dentro la logica dell’attuale accumulazione. Persino la Cina in pochi anni ha raggiunto livelli d’indebitamento non dissimili dalle principali economie mondiali, sebbene registrasse aumenti del Pil ben superiori all’Europa. Se una crescita propulsiva e non assistita non è dietro l’angolo, anche ridurre gli sprechi non sembra esattamente una soluzione facile da perseguire.

Forse perché gli sprechi non sono ormai così tanti? Indubbiamente si può spendere meglio, ma la realtà è che molti settori pubblici hanno necessità di risorse, dalla scuola alla sanità. La soluzione fondata sul binomio sprechi-crescita è figlia di una logica che apparentemente non vuole scontentare nessuno, ma che finisce per scaricare tutto il peso del debito sugli strati popolari che subiscono tagli al welfare. Considerati i problemi strutturali dell’economia contemporanea questa strada non appare credibile per ridurre il peso degli interessi e della povertà. Si tratta, invece, di fare scelte chiare, decidere chi deve pagare almeno una parte del conto. Ecco allora che se veramente ci preoccupa la povertà crescente, dovremmo partire dall’aumento dei salari diretti e indiretti, avendo il coraggio di intaccare i profitti.

Se vogliamo ridurre significativamente il debito e il suo costo senza tagliare la spesa sociale, dovremmo ridurre gli sprechi, ma soprattutto prelevare risorse da chi le ha, non avendo timore ad avanzare proposte che redistribuiscano una ricchezza mai così polarizzata.

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