Negli ultimi tempi è ritornata in campo la questione delle pensioni.
Da una parte una Direttiva Europea sulla non discriminazione ha dato il pretesto per rilanciare l’innalzamento dell’età pensionabile per le donne del pubblico impiego. Evidentemente il fatto che la non discriminazione non sia solo una questione di migliore vendibilità sul mercato del lavoro e che i differenziali si possano ridurre a vantaggio dei lavoratori, abbassando l’età pensionabile, non viene nemmeno preso in considerazione.
Dall’altra ritornano insistenti le richieste di riforma del sistema pensionistico allo scopo di reperire risorse per misure anticrisi. Lo chiedono il FMI, la Commissione Europea e Confindustria, mentre esponenti governativi annunciano una revisione dei coefficienti di trasformazione per il 1° gennaio 2010, che porterebbe ad una decurtazione delle pensioni tra il 6 e l’8%.
Secondo questi soggetti, e non solo questi, la crisi dovrebbe quindi essere pagata dagli stessi che, pur non avendo alcuna responsabilità nella sua esplosione, ne subiscono più pesantemente gli effetti, dagli stessi che da decenni subiscono gli effetti delle politiche neoliberiste che hanno avuto parte non secondaria in questa crisi.
Tutta la discussione delle pensioni sembra prescindere dalla realtà che vive la stragrande maggioranza delle persone.
Si parla d’innalzamento dell’età pensionabile nel momento in cui le fabbriche chiudono e diventa difficile anche per i più giovani trovare un lavoro, dopo che per decenni un quarantenne veniva già considerato un rottame di cui disfarsi per assumere giovani più produttivi.
Si vuole proseguire nella controriforma delle pensioni nel momento in cui le controriforme portate avanti sin’ora con il taglio delle pensioni pubbliche e la consegna del futuro dei lavoratori ai mercati finanziari tramite i Fondi Pensione mostrano i loro effetti più nefasti.
Il crollo dei mercati finanziari è anche il crollo degli investimenti dei Fondi Pensione.Questo si combina con un aumento delle persone che stanno andando in pensione Per i sistemi a prestazione definita, come quelli generalmente presenti nei paesi anglosassoni, questo significa passivi per i Fondi Pensione, per i sistemi a contribuzione definita riduzioni dell’entità delle pensioni erogate dai Fondi.Solamente per quanto riguarda i Fondi Pensione che le agenzie di rating hanno gratificato con la “tripla A” ( cioè in teoria i migliori) stime riportate dal “ Sole 24 ore” parlano di 400 miliardi deficit tra il valore degli asset investiti e il denaro usato per pagare le prestazioni pensionistiche.
Ma anche per i rendimenti dei Fondi Pensione Italiani le cose non si mettono bene. Già in un ottica di lungo periodo questi sono stati battuti dal rendimento del TFR. Secondo un’analisi fatta su dati COVIP da Sergio Ceseratti, dal 1999 al 2008 i fondi pensione negoziali hanno avuto un tasso di rendimento finanziario del 2, 59%, contro un 1,38 % dei fondi aperti e contro un 2,98% del TFR. Il rendimento nel 2008 è calato dell’ 8,4 % e lo stesso presidente della COVIP parla di una situazione simile per il 2009. Considerando che non si può assolutamente dare per scontato che questa crisi si risolva a breve ed ancor meno che si possano tornare a vedere periodi di alti rendimenti finanziari come negli anni passati il futuro è tutt’altro che roseo
Tutto questo dimostra la sempre maggiore irrazionalità di un sistema che si basa sulla massimizzazione dei profitti, invadendo con le privatizzazioni- anche quelle pensionistiche – nuovi campi vitali per l’esistenza delle persone, piegandoli alla propria razionalità che sempre meno risponde ai bisogni sociali e che peggiora la vita della stragrande maggioranza delle persone, non riuscendo peraltro neanche a garantire periodi stabili di accumulazione.
E’ necessario pensare ad un’altra società, a cominciare anche dalla questione delle pensioni.
Il ritorno a pensioni pubbliche che garantiscano una reale esistenza dignitosa delle persone e che non determinino una riduzione del tenore di vita al momento del pensionamento non risponde solo ad una minima norma di giustizia sociale, è una necessità impellente di fronte al rischio che le controriforme delle pensioni degli ultimi decenni hanno determinato e che questa crisi rende concreto e cogente, di un futuro di indigenza per gran parte della popolazione. L’esistenza futura delle persone non può essere l’esito di una scommessa nei mercati finanziari ma deve essere un diritto inalienabile per tutte/i garantito dal pubblico. E, dopo tutti i soldi che vengono elargiti a finanzieri, banchieri ed industriali, non ci vengano a dire che non ci sono le risorse.
Fabrizio Valli
Attac Italia