Chi finanzia la guerra? Segui il denaro

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di Marco Bersani (Attac Italia)

La guerra è il massimo dell’incuria.

Distrugge vite, famiglie e  relazioni. Devasta territori e ambiente. Sradica le esistenze delle persone, esaspera le disuguaglianze sociali, ingabbia le culture, sottrae la democrazia.

Questo vale per la quasi totalità delle persone. Ma per alcuni la guerra è un grande affare.

Segui i soldi diceva il giudice Giovanni Falcone, che voleva ricostruire la trama dei legami tra le famiglie mafiose e le aree grigie dei complici, documentando i pagamenti, gli scambi di denaro, gli investimenti.

Nel settore militare non occorre essere il giudice Falcone per sapere chi prospera con la guerra. La produzione, il commercio e l’esportazione di armi sono attività quasi interamente legali, considerate persino strategiche per l’economia e la società.

Secondo quanto riportato dall’International Institute for Strategic Studies (Iiss)[1], la spesa mondiale per la difesa è cresciuta del 9% nel 2023, raggiungendo un record di 2.200 miliardi di dollari.

Un’analisi condotta dal Financial Times[2] ha rivelato che il volume degli ordini per nuovi sistemi d’arma ha raggiunto livelli record nel 2022 e nella prima metà del 2023.

La crescita della spesa pubblica ha suscitato l’interesse degli investitori nel settore. Nel 2023, l’indice globale Morgan Stanley Capital International (Msci) World [3] per le azioni del settore è aumentato del 25%, mentre l’indice europeo Stoxx per le azioni aerospaziali e della difesa è cresciuto di oltre il 50% nello stesso periodo.

 

Ma chi finanzia tutto questo?

Secondo il database[4] della Campagna Banca Armata durante il periodo 2020-2022 gli Istituti finanziari – che comprendono le principali banche, le maggiori società di assicurazioni, i Fondi di investimento, i Fondi sovrani, i Fondi pensione e le Istituzioni pubbliche – hanno sostenuto l’industria della difesa con più di 959 miliardi di dollari attraverso diverse forme di finanziamento, quali prestiti, detenzione di obbligazioni, partecipazioni azionarie e sottoscrizioni.

Nello specifico, le azioni costituiscono più della metà degli investimenti totali nel settore (660 miliardi di dollari), mentre le obbligazioni rappresentano meno dell’1% del totale. Si tratta di cifre enormi, ma sicuramente sottostimate, perché si basano su dati pubblici limitati.

 

Investimenti in aziende produttrici di armi.

I primi 12 Istituti finanziari che investono nei produttori di armi sono tutti statunitensi, contribuendo con quasi 500 miliardi di dollari, più della metà dell’investimento totale stimato nel settore.

In testa a questa barbara classifica troviamo Vanguard (92 miliardi di dollari), seguita da State Street (68 mld), Blackrock (67 mld), Capital Group (55 mld), Bank of America (45 mld), JPMorgan Chase (33 mld), Citigroup (28 mld), Wellington Management (27 mld), Wells Fargo (25 mld) e Morgan Stanley (24 mld).

I primi dieci investitori europei – che complessivamente hanno contribuito con 79 mld di dollari (8% del mercato globale) – vedono sul podio BNP Paribas (14 mld), Deutsche Bank (13 mld) e Credit Agricol (10 mld).

Per quanto riguarda l’Asia e il Pacifico, i cinque maggiori investitori sono tutti giapponesi (in testa Mizuho Financial con 13 mld) e hanno investito 45 mld di dollari (5%).

Nessun investitore fra i primi cento del pianeta proviene dall’Africa o dall’America Latina.

 

Investimenti in produzione di armi nucleari.

Per quanto riguarda gli investimenti in armi nucleari, nel triennio 2021-2023 sono stati resi disponibili da 287 Istituti finanziari un totale di 820 miliardi di dollari in favore delle prime 24 aziende quotate in borsa coinvolte nella produzione di armi nucleari.

Più della metà degli investitori proviene dagli Usa (154) e contribuisce con oltre il 70% dell’investimento totale. La classifica ricalca l’elenco sopra descritto con qualche piccola variazione nel posizionamento in classifica (si parte dai 73 miliardi di dollari di Vanguard per arrivare ai 19 mld di Morgan Stanley). Altri investitori sono presenti nel Regno Unito (17), in Cina (16), in Canada (13), in India (12) e in Italia (9).

 

Investimenti in bombe a grappolo e mine antiuomo

Sono 123 gli Stati che hanno attualmente aderito alla Convenzione sulle munizioni a grappolo (Ccm), approvata nel 2010, che vieta l’uso, la produzione, il trasferimento e lo stoccaggio di munizioni a grappolo e qualsiasi forma di assistenza a tali attività.

Un mercato che si è dunque molto ridotto, ma non ancora estinto. Tanto è vero che nel 2020 sono ancora 88 gli Istituti finanziari che hanno investito quasi 9 miliardi di dollari in sette aziende produttrici di munizioni a grappolo, con sede in Brasile, India, Cina e Corea del Sud. Gli investitori sono ovviamente concentrati in Stati che non hanno firmato la Convenzione, con particolare prevalenza in Cina (31%), Corea del Sud (30%) e Usa (24%).

 

E in Italia?

Anche nel nostro Paese il banchetto armato è molto ricco e a imprimere un deciso colpo di acceleratore è stata l’approvazione del Decreto Legislativo n. 105/2012, che ha eliminato l’obbligo per gli Istituti di credito di chiedere l’autorizzazione del ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) per le transazioni bancarie legate a operazioni in tema di armamenti.

 

Finanziamenti e garanzie bancarie

Secondo la relazione annuale del ministero dell’Economia e delle finanze[5], nel 2022 tra finanziamenti e garanzie si è raggiunta la cifra di 9,5 miliardi di euro (+26% rispetto al 2021).

Al vertice di questa classifica troviamo due banche tedesche: Bayerische Hypo – Und Vereins bank (2,7 mld) e Deutsche Bank (2,6 mld), subito seguite da Unicredit (1,4 mld).

In realtà, a comandare la reale classifica è proprio Unicredit, perché nel 2005 Bayerische Hypo – Und Vereind bank è stata acquisita nel 2005 da Unicredit (oggi si chiama Unicredit Bank Ag), per cui la quota totale di Unicredit è pari a 4,1 miliardi di euro (il 43% del totale).

Unicredit è in cima alla classifica anche delle transazioni bancarie legate all’export definitivo, con 2,5 mld, pari al 47% dell’ammontare complessivo. Al secondo posto troviamo Banca Intesa, seguita da Deutsche Bank e – sorprendentemente – dalla Banca Popolare di Sondrio (quasi 250 mln di euro).

Poco più del 75% dell’ammontare complessivo delle esportazioni definitive ha interessato in particolare tre aziende: Leonardo (62,36%), Fincantieri (8,43%) e Iveco defence vehicles (4,75%).

Nel 2022 oltre l’87% dell’ammontare complessivo delle esportazioni definitive legate ai servizi bancari si è diretto verso Medioriente, Paesi Osce (Ue, Nato, Svizzera), Asia.

In Africa subsahariana l’export italiano ha raggiunto il valore di 128,5 milioni di euro. In Nordafrica di 341,1, ma con l’Egitto che la fa da padrone con 282,1 milioni di euro (83%).

 

Export di armi

Il capitolo dedicato alla vendita di armamenti appare anche questo roseo per l’industria italiana: nel 2022, il valore complessivo delle autorizzazioni per movimentazioni di materiali d’armamento è stato di 6,017 miliardi di euro, dei quali 5,289 in uscita dall’Italia (erano 4,67 nel 2021) e 728 milioni in entrata.

Il valore dei trasferimenti intracomunitari e delle esportazioni verso i Paesi Nato è stato pari al 61,54% del totale (1.536 autorizzazioni).

La classifica dei Paesi destinatari è guidata dalla Turchia (598,2 milioni di euro), seguita dagli Usa(532,8 mln) e dalla Germania (407,2mln). Al quarto posto il Qatar con 255,7 milioni di euro, seguito da Singapore (176,7 mln).

Con riferimento alle esportazioni 2022 per area geografica, al primo posto i Paesi Ue e membri europei della Nato (46,13%) seguiti dall’Africa settentrionale e Medioriente (18,17%); poi America settentrionale (16,07 %); Asia (13,89%); America centromeridionale (2,69%); Oceania (2,09%) per cento; Africa centromeridionale (0,61%).

“La guerra si alimenta da sola” [6]come si diceva già oltre  2200 anni fa.

 

[1] IISS, The Military Balance. The annual assessment of global military capabilities and defence economics: 2024 (February 13, 2024)

[2] Sylvia Pfeifer, Eri Sugiura (2023), Global defence orders surge as geopolitical tensions mount, Financial Times (December 27 2023)

[3] Msci, nata come Morgan Stanley Capital International e diventata indipendente nel 2007, è una società di servizi finanziari che commercializza strumenti di ricerca e di analisi per gli investitori istituzionali. È leader mondiale sugli indici di mercato, che pubblica con il marchio MSCI. MSCI World, il più noto in assoluto, è un indice ponderato per la capitalizzazione delle società quotate in borsa in una ventina di paesi economicamente sviluppati. Comprende più di 1.600 titoli rappresentativi dei principali settori dell’economia mondiale. Tra gli altri indici MSCI, l’MSCI Europe riflette la performance dei 15 principali mercati dell’Unione europea.

[4] Dati ricavati dal Rapporto Finanza per la guerra. Finanza per la pace, a cura di Fondazione Finanzaetica e Global Alliance for Banking on Values https://finanzaetica.info/wp-content/uploads/2024/03/RICERCA-Finanza-per-la-guerra.-Finanza-per-la-pace-1.pdf

[5] https://www.banchearmate.org/banche-armate-2023-rel-2024/

[6] Marco Porcio Catone, detto il Censore, uomo politico (234-149 a.C.), citato da Tito Livio, Storia di Roma, libro XXXIV.

Immagine: Campagna di pressione alle banche armate – banchearmate.org

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 53 di Maggio – Giugno 2024: “Chi fa la guerra non va lasciato in pace

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